In una gelida notte di marzo del 2010 cento esperti di marketing finlandesi
si sono riuniti nel ristorante Sea Horse di Helsinki con l’obiettivo di
trasformare un paese di medie dimensioni e piuttosto isolato in un’attrazione
turistica mondiale. Il problema era che la Finlandia era considerata un posto
tranquillo e da due anni la commissione incaricata di rilanciare l’immagine del
paese stava cercando qualcosa che facesse colpo. Sorseggiando i loro drink gli
esperti hanno passato in rassegna i punti di forza: insegnanti eccellenti, una
grande abbondanza di funghi e frutti di bosco, una capitale piccola ma
culturalmente vivace. Niente di particolarmente irresistibile. Qualcuno ha
suggerito scherzosamente che la nudità poteva essere una qualità nazionale, un
modo per sottolineare l’onestà dei finlandesi. Un altro ancora ha fatto notare
che la tranquillità non era poi così negativa. E il commento ha fatto
riflettere.
Qualche mese dopo la commissione ha pubblicato un rapporto sul marchio
paese che elencava tutte le caratteristiche nazionali che si potevano sfruttare
per fini commerciali, come l’ottimo sistema scolastico e la scuola di design
funzionale. Uno dei punti principali era completamente nuovo: il silenzio. Gli
esperti facevano notare che spesso la società moderna è insopportabilmente
rumorosa e indaffarata. Il rapporto diceva che “il silenzio è una risorsa”, e
che poteva essere commercializzato come l’acqua pura e i funghi. “In futuro la
gente sarà disposta a pagare per vivere l’esperienza del silenzio”.
Le intuizioni di Nightingale
In effetti questo già succede. In un mondo chiassoso il silenzio vende bene. Le
cuffie per isolarsi dal rumore costano centinaia di euro, una settimana di
silenziosa meditazione perfino alcune migliaia. Nel 2011 l’ente nazionale del
turismo finlandese ha pubblicato una serie di foto di figure solitarie immerse
nella natura, con la didascalia “Silenzio, per favore”. Il consulente
d’immagine britannico Simon Anholt ha proposto lo slogan ironico: “Niente
chiacchiere, solo azioni”. Anche un’azienda finlandese di orologi, la Rönkkö,
ha adottato un nuovo motto: “Fatti a mano nel silenzio finlandese”.
“Invece di dire che la Finlandia è vuota e silenziosa e che qui nessuno
parla mai di niente, abbiamo deciso di usare questa caratteristica in senso
positivo”, spiega Eva Kiviranta, che gestisce le pagine del sito
visitfinland.com sui social network.
Il silenzio è uno strano punto di partenza per una campagna di marketing.
Non è una cosa che si può pesare, registrare o esportare. Né mangiare,
collezionare o regalare. La campagna pubblicitaria finlandese solleva un
interrogativo importante: quali sono gli effetti tangibili del silenzio? La
scienza ha già cominciato a occuparsene. Negli ultimi anni i ricercatori hanno
messo in evidenza la capacità del silenzio di rilassare il nostro corpo, alzare
il volume dei nostri pensieri e farci entrare in sintonia con il mondo. Come ci
si poteva aspettare, tutte queste scoperte sono partite dagli studi sul rumore.
Il rumore inutile è la più crudele mancanza di
attenzione che si possa infliggere a un malato o a una persona sana
La parola inglese per rumore, noise, deriva dal
latino nausea. Secondo lo storico statunitense Hillel
Schwartz, una leggenda mesopotamica racconta di un tempo in cui gli dèi erano
così furiosi per il rumore causato dagli esseri umani che decisero di
sterminarli.
Nel corso della storia l’insofferenza verso i rumori ha fatto emergere
alcuni dei più entusiasti sostenitori dei benefici del silenzio, spiega
Schwartz nel libro Making noise. From Babel to the Big bang and beyond (Zone
Books 2011). Nel 1859 l’infermiera e riformatrice sociale britannica Florence
Nightingale scrisse: “Il rumore inutile è la più crudele mancanza di
attenzione che si possa infliggere a un malato o a una persona sana”. Secondo
Nightingale anche il minimo sbattere di porte o un semplice chiacchiericcio
poteva causare apprensione, ansia e perdita di sonno nei pazienti
convalescenti. Citava inoltre una conferenza in cui si sosteneva che per i
bambini malati “i rumori improvvisi” potevano causare perfino la morte.
Studi recenti confermano alcune affermazioni di Nightingale. A metà del
novecento gli epidemiologi scoprirono una correlazione tra la pressione alta e
l’esposizione a fonti di rumore costante come le autostrade e gli aeroporti. I
risultati di alcune ricerche successive suggerirono un collegamento tra il
rumore e l’insonnia, le malattie cardiache e gli acufeni. Negli anni sessanta
da questo tipo di studi è nato il concetto di “inquinamento acustico”, termine
che implicitamente trasforma i rumori passeggeri in qualcosa di pericoloso e
duraturo.
La musica nel sangue
Gli studi sulla fisiologia umana ci aiutano a capire come un fenomeno
invisibile può esercitare un effetto fisico così forte. Le onde sonore fanno
vibrare gli ossicini dell’orecchio, che trasmettono il movimento alla coclea. A
sua volta la coclea trasforma le vibrazioni fisiche in segnali elettrici che
invia al cervello. Il corpo reagisce immediatamente a questi segnali, anche
durante il sonno profondo. Dagli studi di neurofisiologia risulta che i rumori
attivano per prima cosa l’amigdala, un ammasso di neuroni che gestisce le
emozioni e la formazione dei ricordi e che si trova nel lobo temporale mediale.
L’attivazione provoca l’immediato rilascio di ormoni dello stress come il
cortisolo. Le persone che vivono in ambienti rumorosi spesso hanno un livello cronicamente
alto di ormoni dello stress.
Come lo sfrecciare di centinaia di auto si trasforma in un sottofondo
continuo e irritante, anche gli effetti fisici del rumore si accumulano. Nel
2011 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha cercato di quantificare i
danni per la salute in Europa, giungendo alla conclusione che i 340 milioni di
abitanti dell’Europa occidentale perdono ogni anno un milione di anni di vita
sana a causa del rumore. L’Oms è arrivata a sostenere che il rumore eccessivo
era all’origine di tremila morti per malattie cardiache.
Amiamo il silenzio per quello che non fa: non ci sveglia, non ci dà
fastidio, non ci uccide. Ma cos’è che fa? Quando accusava il rumore di essere
una “crudele mancanza di attenzione”, Florence Nightingale insisteva anche
sull’importanza del suo contrario: il silenzio fa parte della cura, ed è utile
ai pazienti quanto le medicine e le misure d’igiene. È un’idea strana, ma
alcuni studi la confermano.
Il silenzio ha fatto la sua comparsa nella ricerca scientifica come fattore
di controllo o base di riferimento negli esperimenti sugli effetti del rumore e
della musica. Molti ricercatori l’hanno studiato per caso. Tra loro, l’italiano
Luciano Bernardi, docente di medicina interna, che nel 2006 ha pubblicato
uno studio sugli effetti fisiologici della musica. “Non avevamo pensato
all’effetto del silenzio”, ammette Bernardi. “Non era nostra intenzione
studiarlo specificamente”.
Ma Bernardi ha avuto una sorpresa. Osservando i parametri fisiologici di
una ventina di soggetti mentre ascoltavano sei brani musicali, ha scoperto che
l’effetto della musica poteva essere letto direttamente nel flusso sanguigno,
seguendo le variazioni di pressione, di contenuto di anidride carbonica e di
circolazione del sangue nel cervello. Bernardi e suo figlio sono musicisti
dilettanti e volevano esplorare quell’interesse comune. “Con quasi ogni genere
di musica si verificava un cambiamento fisiologico paragonabile a uno stato di
eccitazione”, spiega.
L’effetto era comprensibile, considerato che un ascolto attivo richiede
attenzione e concentrazione. Ma la scoperta più sensazionale riguardava quello
che succedeva tra un brano e l’altro. Bernardi e i suoi colleghi si sono
accorti che anche i momenti di silenzio inseriti a caso esercitavano un forte effetto,
ma in senso opposto. Una pausa di due minuti si dimostrava molto più rilassante
di qualsiasi brano “rilassante” o di un silenzio prolungato prima dell’inizio
dell’ascolto.
I vuoti che Bernardi aveva considerato irrilevanti erano diventati l’oggetto
di studio più interessante. Il silenzio sembrava essere accentuato dai
contrasti, forse perché dava ai volontari un momento di sollievo dalla tensione
dell’attenzione. “Probabilmente l’eccitazione è un fattore che spinge la mente
a concentrarsi. Quando lo stimolo s’interrompe il rilassamento è più profondo”,
osserva Bernardi.
Nel 2006 l’articolo del ricercatore italiano sugli effetti del silenzio è stato
il documento più scaricato dal sito della rivista Heart. Una delle scoperte
principali – il fatto che il silenzio è accentuato dai contrasti – è stata
confermata dagli studi di neurologia. Nel 2010 Michael Wehr, ricercatore
dell’Università dell’Oregon che studia come il cervello elabora i dati
sensoriali, ha osservato le reazioni nel cervello dei ratti a brevi esplosioni
di suoni. L’inizio del suono provocava l’attivazione di una rete specializzata
di neuroni che si trova nella corteccia uditiva. Ma quando il suono diventava
costante, i neuroni smettevano quasi completamente di reagire. “Si limitano a
segnalare un cambiamento”, spiega Wehr.
Anche il silenzio improvviso è un cambiamento. Questo ha portato Wehr a
fare una scoperta sorprendente. Prima del suo studio del 2010 gli scienziati
sapevano già che, quando cade il silenzio, il cervello entra in allerta. Questo
meccanismo ci permette di reagire a un pericolo, o di distinguere le parole
all’interno di una frase. Ma la ricerca di Wehr ha dimostrato che la corteccia
uditiva ha una rete separata di neuroni che si attivano all’inizio del
silenzio. “Anche l’interruzione improvvisa di un suono è un evento, come lo è
il suo inizio”.
Anche se di solito consideriamo il silenzio un’assenza di stimoli, il
nostro cervello è strutturato in modo tale che, quando rappresenta l’improvvisa
interruzione di un suono, lo riconosce. Il problema è capire cosa succede dopo,
quando il silenzio continua e la corteccia uditiva torna in uno stato di
relativa inattività.
Imke Kirste, un’esperta di biologia rigenerativa della Duke university, ha
cercato di spiegarlo. Neanche Kirste era partita con l’idea di studiare il
silenzio. Nel 2013 stava esaminando gli effetti dei suoni sul cervello dei topi
adulti. Nel suo esperimento ha esposto quattro gruppi di topi a vari stimoli
uditivi: brani musicali, richiami dei loro piccoli, rumore bianco e silenzio.
Kirste si aspettava che il richiamo dei piccoli stimolasse lo sviluppo di nuove
cellule cerebrali. Come Bernardi, anche lei vedeva il silenzio come un fattore
di controllo che non avrebbe prodotto nessun effetto.
Invece dal suo esperimento è emerso che tutti i suoni esercitavano un effetto
neurologico a breve termine, ma nessuno aveva un impatto duraturo. Mentre, con
grande sorpresa, Kirste ha scoperto che due ore di silenzio al giorno
favorivano lo sviluppo di nuove cellule nell’ippocampo, la regione cerebrale
dove si formano i ricordi legati a esperienze sensoriali. Era una cosa
sconvolgente: la totale assenza di stimoli aveva un effetto più pronunciato di
tutti gli stimoli sperimentati.
Kirste ha cercato di dare un senso a quel risultato. Sapeva che un
“arricchimento ambientale”, come l’introduzione di giocattoli o di altri topi,
favoriva lo sviluppo di nuovi neuroni perché costituiva uno stimolo. Forse la
totale assenza di suoni era così artificiosa, pensò, perfino allarmante, da
scatenare nei topi una maggiore sensibilità o uno stato di allerta. La
neurogenesi poteva essere la risposta adattativa a un silenzio inaspettato.
Spesso il silenzio ci sembra una cosa tangibile,
qualcosa di fragile come la porcellana o il cristallo, un oggetto delicato e
prezioso
La nascita di nuove cellule nel cervello non ha sempre conseguenze
benefiche per la salute. Ma in questo caso, osserva Kirste, le cellule
sembravano diventare neuroni funzionanti: “Abbiamo visto che il silenzio aiuta
veramente le nuove cellule a differenziarsi in neuroni e a integrarsi nel
sistema”.
Anche se ammette che i suoi studi sono solo preliminari, Kirste si chiede
se quest’effetto non potrà avere applicazioni interessanti. Malattie come la
demenza e la depressione sono associate a una minore neurogenesi
nell’ippocampo. Se negli esseri umani fosse possibile stabilire un collegamento
tra silenzio e neurogenesi, forse i neurologi potrebbero usarlo come terapia.
Illusione sonora
Anche se è evidente che il silenzio esterno presenta vantaggi tangibili, gli
scienziati stanno scoprendo che dentro di noi il silenzio non esiste. “In
assenza di suoni il cervello tende spesso a rappresentarli al suo interno”,
dice l’esperto di neurologia del suono Robert Zatorre.
Immaginate, per esempio, di stare ascoltando The sound of silence di Simon
& Garfunkel, quando a un tratto la radio si spegne. I neurologi hanno
scoperto che se conosciamo bene la canzone, la nostra corteccia uditiva rimane
attiva come se la musica continuasse. “Quello che ‘sentiamo’ non è generato dal
mondo esterno”, dice David Kraemer, che ha condotto esperimenti del genere nel
suo laboratorio al Dartmouth college. “In realtà stiamo ripescando un ricordo”.
Non sono sempre i suoni a produrre sensazioni, a volte è una nostra sensazione
soggettiva a produrre l’illusione di un suono.
Questo ci ricorda il grande potere immaginativo della mente. Nel vuoto
sensoriale del silenzio la mente può suonare le sue sinfonie. Ma ci ricorda
anche che, perfino in assenza di input sensoriali come i suoni, il cervello
resta attivo e dinamico.
Nel 1997 un’équipe di neuroscienziati della Washington university stava
raccogliendo dati da un gruppo di volontari sottoposti a scansione cerebrale
mentre svolgevano vari compiti mentali, come calcoli o giochi di parole. Uno
dei ricercatori, Gordon Shulman, notò che pur producendo picchi di attività in
alcune zone del cervello, un intenso sforzo cognitivo provocava anche una
minore attività in altre. Inoltre, paradossalmente, quando il soggetto era in
una stanza silenziosa e non faceva assolutamente nulla, si rilevava chiaramente
un’attività cerebrale di fondo.
Il direttore della ricerca era Marcus Raichle, che ha voluto analizzare in modo
approfondito quei dati. Gli scienziati sapevano già da decenni che l’attività
di fondo del cervello consuma la maggior parte delle sue energie. Compiti
difficili come il riconoscimento di schemi o i calcoli matematici aumentano di
pochissimo il suo consumo di energia. Questo ha portato i neurologi a pensare
che l’attività di fondo nascondesse qualcosa di importante. “Quando comincia”,
spiega Raichle, “quasi tutte le altre attività si riducono”.
In profondità
Nel 2001 Raichle e i suoi colleghi hanno pubblicato un saggio fondamentale
sulla cosiddetta modalità di default della funzione cerebrale (situata nella
corteccia prefrontale e attiva durante le operazioni cognitive), grazie alla
quale il cervello a riposo rimane sempre attivo e continua a raccogliere e
valutare informazioni. La concentrazione, in realtà, interrompe questa attività
di fondo. La modalità di default, concludevano Raichle e gli altri ricercatori,
ha “un significato evoluzionistico abbastanza ovvio”. Percepire la presenza di
un predatore, per esempio, doveva essere un’operazione automatica che non
richiede energia o intenzionalità ulteriori.
Ricerche successive hanno dimostrato che la modalità di default entra in
gioco anche quando si riflette su se stessi. Nel 2013 Joe Moran e i suoi
colleghi hanno pubblicato sulla rivista Frontiers in Human Neuroscience un
saggio in cui sostengono che “è più facile osservare la rete cerebrale alla
base della modalità di default quando una persona sta riflettendo sulla propria
personalità e le proprie caratteristiche, piuttosto che, per esempio, durante
l’autoriconoscimento, o quando pensa al concetto di sé o all’autostima”. In
quel momento, quando è a riposo, il nostro cervello integra le informazioni
interne ed esterne in un unico “spazio di lavoro cosciente”. A quanto pare
l’assenza di rumore e di compiti finalizzati a uno scopo unisce il silenzio
esterno a quello interno, consentendo al nostro spazio interno di fare il suo
lavoro e scoprire qual è il nostro posto nel mondo. Questo è il grande potere
del silenzio.
Noora Vikman, un’etnomusicologa che ha collaborato alla ricerca di un nuovo
marchio per la Finlandia, conosce bene il potere del silenzio. Vive nell’est
del paese, in una zona di laghi e foreste. In quel posto remoto e silenzioso,
dice, scopre pensieri e sentimenti che le sfuggono durante la frenetica vita
quotidiana. “Se vuoi conoscere te stesso devi stare con te stesso, parlare e
discutere con te stesso”.
“Silenzio, prego” è stato lo slogan più apprezzato della campagna pubblicitaria
per rinnovare l’immagine della Finlandia, e la pagina su questo tema è una
delle più popolari su visitfinland.com. Forse il silenzio si vende bene perché
sembra una cosa tangibile, qualcosa di fragile come la porcellana o il
cristallo, un oggetto delicato e prezioso. Vikman ricorda una rara esperienza
di silenzio quasi assoluto. Immersa nella natura finlandese, ha dovuto tendere
le orecchie per cogliere anche il minimo suono prodotto dagli animali o dal
vento. “È strano come si cambia”, dice. “Abbiamo il potere di rompere il
silenzio anche con il più piccolo suono, ma non vogliamo più farlo. Vogliamo stare
nel silenzio più profondo possibile”.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è stato pubblicato sul numero
1078 di Internazionale. Era stato pubblicato sulla rivista
Nautilus con il titolo This is your brain in silence.
https://www.internazionale.it/notizie/daniel-a-gross/2019/12/06/silenzio-cervello
Nessun commento:
Posta un commento