Braccia/1. Raccogliere la frutta nel saluzzese - Fulvio Perini, Davide Said
Due anni or
sono l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e la Fondazione europea
per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound)
pubblicarono il rapporto Working anytime, anywhere: the effects on the world of
the work (“Lavorare in ogni momento e in ogni luogo così come offre – impone –
il mercato”). È la fotografia di una nuova forma di nomadismo necessario per
vivere lavorando nelle reti “corte” del territorio, nelle reti “lunghe”
transnazionali e nelle piattaforme digitali. Una delle forme di nomadismo è
data dall’impiego delle “braccia” nei lavori in agricoltura, nell’edilizia,
nella logistica, nelle imprese di pulizia e nei servizi di ristorazione.
Ciascuna di queste attività ha una sua composizione sociale e, almeno in parte,
etnica, espressione di storie di gruppi di migranti, soprattutto maschi ma
anche donne. Parlare di lavoro oggi impone di aprire una finestra su
questo arcipelago raccogliendo dati, mettendo sotto osservazione gli aspetti
centrali della condizione dei lavoratori, soprattutto migranti, usati per le
loro braccia (il reclutamento, la paga, la sicurezza e l’igiene, il cibo e il
tetto), analizzando la dimensione transnazionale dei lavori e del nomadismo nel
Mediterraneo e in Europa.
La prima tappa di questo percorso riguarda le condizioni dei raccoglitori di
frutta nel saluzzese in questi mesi post Covid.
Quello che
segue è, più che un articolo, un resoconto di quanto abbiamo appreso e capito
nel nostro primo approccio conclusosi il 21 luglio.
Iniziamo dal momento conclusivo, la visita in tarda serata al punto di
accoglienza dei migranti di Lagnasco (centro agricolo a sei chilometri da
Saluizzo): un piccolo capannone (evidenziato dal cerchietto rosso nell’immagine
pubblicata qui accanto), che poteva accogliere più o meno venti persone che in
quel momento si stavano disponendo per la notte posando sul pavimento delle
coperte. Il dormitorio si trova ai confini del paese, separato dalla comunità
dei residenti e collocato in un piccolo spazio tra il muro di cinta del
cimitero e quello di un grande stabilimento di raccolta e stoccaggio della
frutta, nel cui piazzale sono depositati i cassoni per contenere la frutta
raccolta dagli alberi (quei parallelepipedi blu di 70-120 metri per 15-20 di
altezza evidenziati sempre nell’immagine). I migranti che lavorano dentro lo
stabilimento vivono in una casa, quelli che lavorano fuori vivono nel capannone
in attesa dell’ingaggio che li porterà, se assunti, a vivere nell’edificio sul
lato opposto della strada di ingresso nello stabilimento (evidenziato in
giallo), probabilmente più vivibile.
È stata, per noi, la prima rappresentazione di una organizzazione produttiva
del ciclo della frutta con aspetti modernissimi di organizzazione, che usa
esseri umani per i picchi di lavorazione e poi li getta. Essi sono
indispensabili in quel momento, ma né l’impresa, né la comunità intende farsene
carico. Quindi, più sono marginali e invisibili meglio e la collocazione in un
capannone fuori dell’abitato a ridosso di un cimitero è considerata una buona
soluzione per l’“accoglienza”.
Per
l’ingaggio questi lavoratori si sono rivolti alla OP Lagnasco, un’impresa
cooperativa di produttori con una notevole capacità di raccolta, stoccaggio e
distribuzione dei prodotti. Si è evitato così che ogni singolo produttore si
metta sul mercato da solo, magari in concorrenza con gli altri. Ma imponendo,
non a caso, la concorrenza tra gli esseri umani che vendono le loro braccia e
il loro tempo. OP sta per “Organizzazione Produttiva”. Nel territorio le OP
sono otto, e quattro di queste controllano l’80% del mercato; hanno la forma
della cooperativa o dell’impresa o del consorzio di imprese private.
Divertente è il messaggio pubblicitario dell’OP Lagnasco Group riprodotta
nell’immagine a fianco: “Coltiviamo la bontà”. Buoni con i consumatori, non con
i lavoratori in particolare quelli “usa e getta”.
Lagnasco è
uno dei quattro Comuni, sui trentadue del territorio, che hanno adottato una
misura per l’accoglienza (abbiamo descritto prima quale). Gli altri 28 non
hanno predisposto nulla: evidenza clamorosa del fallimento del progetto di
accoglienza diffusa che prevedeva diversi punti di accoglienza pubblici,
abbandonati con la motivazione della epidemia da Coronavirus. Ne consegue che
ogni lavoratore deve cercarsi un luogo dove dormire. Ciò fa sì che nel caso in
cui il produttore che intende fare l’assunzione chieda il domicilio la gran
maggioranza dei candidati al bracciantato tra le coltivazioni si trovi
nell’impossibilità di rispondere. La Caritas ha offerto un proprio recapito per
il loro domicilio ma il Centro per l’impiego non ha mai risposto. Quindi ognuno
per sé e, con l’emergenza Covid, le forze di polizia per tutti.
Per
l’incontro tra domanda e offerta di forza lavoro sono a disposizione diverse piattaforme
digitali: quella chiamata “borsa lavoro” (invenzione di un ministro del lavoro
del passato) gestita dal Centro per l’impiego e quelle della Coldiretti e della
Confagricoltura più una rete privata. Ma la domanda di braccia stagna perché
vale l’incontro diretto tra offerta e domanda di forza lavoro: il bracciante
bussa alla porta dell’impresa agricola e si offre. In questo contesto parlare
di “sanatoria” per i migranti è un’ipocrisia anche perché gli imprenditori
cercano di non lasciare molte tracce dei rapporti di lavoro stabiliti
temporaneamente.
Oltre alla
grande questione del rispetto della dignità dei migranti che vengono nel
saluzzese per lavorare ci sono altre due questioni relative al lavoro.
La prima
riguarda la paga e l’orario di lavoro effettivi, quando è noto
come sia abbastanza diffusa la pratica di pagare in modo regolare solo una
parte delle ore effettivamente prestate.
La seconda
riguarda la salute del lavoratore esposto ai rischi di
infortunio e di malattia professionale o correlata al lavoro. La tipologia
degli infortuni prevalenti è nota: il trauma per la caduta dei cassoni di
frutta, la contusione per urto del carrello raccoglifrutta e l’infortunio in
itinere per recarsi al campo molte volte in bicicletta. In tutti
questi casi l’infortunio può comportare medicazioni o interventi del Pronto
soccorso. Mentre l’Inail conosce i dati delle denunce di infortunio, il
servizio sanitario conosce le medicazioni svolte nei suoi centri. Confrontare i
dati è possibile, ma non viene fatto.
Esistono poi
i rischi per la salute derivanti dalla movimentazione dei carichi pesanti e per
la manipolazione con continuità della frutta da staccare dai rami. Ma
soprattutto esiste il rischio di esposizione agli agenti chimici usati durante
la coltivazione, che possono provocare sia danni gravi che sensibilizzazioni
allergiche come dermatiti e asme. Per tutte queste esposizioni l’azienda deve
avere fatto la valutazione dei rischi per i lavoratori interessati, compresi
quelli temporanei per i quali è prevista per legge una specifica valutazione.
Sulla base della valutazione ogni lavoratore deve essere informato sui rischi
effettivamente presenti nel luogo dove andrà a lavorare «previa verifica della
comprensione della lingua utilizzata» e su questa base deve poi essere formato
ed addestrato. Ciò viene fatto anche per i lavoratori “usa e getta”? Cosa ne
pensa il Servizio sanitario preposto alla vigilanza per i luoghi di lavoro?
Il 13 marzo
dell’anno passato la Regione Piemonte annunciava: «Assicurare la regolarità dell’incontro
tra domanda e offerta di lavoro stagionale in agricoltura, affrontando in modo
condiviso i problemi relativi alla sicurezza e salute sui luoghi di lavoro,
alla legalità, al trasporto e all’integrazione sociale e abitativa dei
lavoratori, in gran parte di origine straniera: è l’obiettivo del protocollo
d’intesa sperimentale siglato questa mattina in Sala Giunta tra Regione
Piemonte, Agenzia Piemonte Lavoro, Prefetture piemontesi, Ispettorato del
lavoro, Inail Piemonte, Direzione regionale Inps, Anci Piemonte, organizzazioni
sindacali (Flai Cgil e Cgil Piemonte, Fai Cisl e Cisl Piemonte, Uila e Uil
Piemonte), associazioni datoriali e cooperativistiche del settore agricolo
(Coldiretti Piemonte, Cia Piemonte, Confgricoltura, Lega Coop e Confcooperative
Piemonte), Arcidiocesi di Torino e Diaconia Valdese». A poco più di un anno si
è solo sperimentato di “non sperimentare”.
Di seguito
riportiamo un appunto di una riunione tenutasi a Saluzzo il 21 luglio tra
soggetti individuali e collettivi che sono in campo. Pressoché tutto quello che
verrà fatto per i migranti dipende e dipenderà da loro. Sono i protagonisti,
assieme ai lavoratori interessati, che stanno svolgendo un’attività per dare
dignità umana e diritto a un lavoro giusto a chi viene da lontano a fare un
lavoro indispensabile ma volutamente svilito. Cercheremo di seguire, raccontare
e sostenere queste battaglie civili e sociali.
Appunto
riunione martedì 21 luglio
Alle 19 c’è
stato l’incontro tra Saluzzo Migrante (branca della Caritas) e Info Sanatoria
Piemonte promosso dal Comitato Antirazzista Saluzzese, per conoscenza reciproca
e per avviare una collaborazione con gli avvocati per le questioni che
riguardano la sanatoria e il rinnovo dei permessi di soggiorno. All’incontro
erano presenti Virginia Sabbatini per Saluzzo Migrante, una delegazione del
Comitato, quattro avvocati dell’ASGI, una delegazione comprendente Carovane
Migranti, CUB, Volere la Luna, due compagni di USB.
Virginia ha
presentato il lavoro che sta svolgendo Saluzzo Migrante esprimendo
considerazioni critiche sulla gestione di questo periodo di ennesima emergenza.
Loro, dopo l’esperienza del Campo Solidale (2014-2016) non si occupano più
dell’accoglienza che è passata alla cooperativa Armonia e al Consorzio Monviso
Solidale. Ci siamo soffermati in particolare sul ruolo della Prefettura e sul
fallimento dell’accoglienza diffusa che, di fatto, non è mai veramente
decollata.
Nei prossimi
giorni apriranno i containers a Verzuolo e Lagnasco, la “Casa
del cimitero” a Saluzzo, un ex CAS per Busca e Tarantasca. A Savigliano ci sono
già i containers, per un totale di 103 posti che non saranno
sufficienti per tutti. L’impressione è che i numeri siano inferiori agli anni
scorsi ma certamente qualcuno resterà fuori dalle accoglienze e gli arrivi
proseguiranno.
Qui sotto il
resoconto che mi ha mandato uno degli avvocati presenti:
«Scrivo un
breve messaggio per provare a riepilogare quanto emerso nell’ incontro che si è
tenuto ieri sera presso la Caritas di Saluzzo, chiedendo poi agli altri partecipanti
di integrare e dare il loro riscontro. A mio avviso l’incontro è stato
interessante e proficuo, nel senso che la rappresentante della Caritas ci ha
illustrato bene la situazione, mostrando di avere effettivamente il polso di
quanto sta accadendo. Oltre a illustrare la situazione e le principali
problematiche, è emersa la volontà di provare a “unire le forze”: attraverso
l’attività che questo nostro gruppo sta già svolgendo, si è proposto di tentare
di dare un supporto alla Caritas e al loro sportello già esistente. Questo
aiuto, nell’immediato e più concretamente, consisterebbe nel prenderci carico
di alcune istanze/domande cui la referente non riesce da sola a far fronte (noi
quindi nell’immediato faremmo: raccolta domande che arrivano al loro sportello,
caricamento sul nostro drive, a turno si risponde come già accade
). Oltre a ciò, se vi è la disponibilità da parte nostra, la Caritas ci darebbe
uno spazio presso il suo sportello (fisico) di Saluzzo così da consentire,
soprattutto ad avvocati Asgi, di turnare ed essere presenti almeno una volta la
settimana. Questo dipende da quanti di noi hanno la possibilità di darsi
disponibili e hanno materialmente modo di recarsi a Saluzzo. Altra cosa emersa:
la volontà e la disponibilità per gettare le basi per una “collaborazione”
anche futura. Le necessità e le problematiche sono tante, quindi sul quel
territorio vi è molto da fare e Caritas da sola non ha i mezzi per fare fronte
a tutto. Ancora, la referente Caritas, in relazione alla questione sanatoria,
ha evidenziato come uno dei problemi maggiori sia rappresentato dalla ritrosia
/ scarsa volontà dei datori di lavoro di fare le domande di regolarizzazione,
unita a una scarsa o errata informazione del tema. La proposta che Caritas ci
ha lanciato sarebbe quella di interloquire con i datori di lavoro e con gli
enti che li rappresentano per dare loro una corretta informazione. Le
tempistiche strettissime (dettate dalla scadenza delle domande al 15 agosto)
sembrano però un grosso ostacolo alla realizzazione di un incontro / tavolo di
discussione».
Dopo la
riunione, che si è protratta più del previsto visti i numerosi interventi, gli
avvocati sono andati con Virginia e altri a fare un giro per Saluzzo, alcuni di
noi sono andati a Verzuolo e altri a Lagnasco, come avevamo concordato. Abbiamo
distribuito i volantini di Info Sanatoria Piemonte e sentito cosa succede sul
versante lavorativo, prendendo un po’ di contatti con i braccianti che abbiamo
incontrato.
A margine
dalla giornata, Carovane Migranti (https://www.facebook.com/carovanemigranti/) ha proposto di organizzare a
Saluzzo un pezzo della Carovana 2020 che passerà da Torino il 29 agosto
prossimo. Avevamo già collaborato con loro per la carovana 2018 organizzando
l’incontro con i richiedenti asilo del CAS di Paesana che loro ricordano con
entusiasmo. Si tratterebbe di organizzare l’accoglienza a Saluzzo quel giorno
con un incontro con i braccianti e altre testimonianze.
(Lele)
Braccia/2. Lavoro e sfruttamento in Bassa Valle
Scrivia - Antonio Olivieri
Due anni or
sono l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e la Fondazione europea
per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound)
pubblicarono il rapporto Working anytime, anywhere: the effects on the world of
the work (“Lavorare in ogni momento e in ogni luogo così come offre –
impone – il mercato”). È la fotografia di una nuova forma di nomadismo
necessario per vivere lavorando nelle reti “corte” del territorio, nelle reti
“lunghe” transnazionali e nelle piattaforme digitali. Una delle forme di
nomadismo è data dall’impiego delle “braccia” nei lavori in agricoltura,
nell’edilizia, nella logistica, nelle imprese di pulizia e nei servizi di
ristorazione. Ciascuna di queste attività ha una sua composizione sociale e,
almeno in parte, etnica, espressione di storie di gruppi di migranti,
soprattutto maschi ma anche donne. Parlare di lavoro oggi impone di aprire una
finestra su questo arcipelago raccogliendo dati, mettendo sotto osservazione
gli aspetti centrali della condizione dei lavoratori, soprattutto migranti,
usati per le loro braccia (il reclutamento, la paga, la sicurezza e l’igiene, il
cibo e il tetto), analizzando la dimensione transnazionale dei lavori e del
nomadismo nel Mediterraneo e in Europa. È quanto abbiamo deciso di fare, in
questa complessa estate, come “Volere la luna”. La prima tappa di questo
percorso ha riguardato la raccolta di frutta nel saluzzese (https://volerelaluna.it/lavoro-2/2020/08/05/braccia-1-raccogliere-la-frutta-nel-saluzzese/). Con la seconda si
esaminano le condizioni dei lavoratori migranti in Bassa Valle Scrivia.
Nel 2012, la
loro lotta contro il caporalato in Bassa Valle Scrivia era finita su tutti i
media. Una quarantina di braccianti, in gran parte marocchini, stanchi di
lavorare 13 ore al giorno nei campi a raccogliere ortaggi, senza essere pagati
per mesi, si ribellarono allo schiavismo dei padroni Lazzaro, padre e figlio,
proclamarono uno sciopero a oltranza, allestirono un presidio di tende,
avviarono un boicottaggio dei supermercati Bennet acquirenti dei Lazzaro.
Furono sostenuti da decine di cittadini e solidali. Il presidio ai bordi della
statale durò 74 giorni. Da quella straordinaria lotta, è nato il Presidio
permanente di Castelnuovo Scrivia, realtà auto organizzata, composta da
braccianti e solidali, che organizza lotte e vertenze in Bassa Valle Scrivia.
Dopo otto anni, peraltro, giustizia non è ancora fatta. Anzi, nonostante la
sentenza del Tribunale di Torino, divenuta esecutiva per mancato ricorso in
Cassazione, che li ha condannati al pagamento di oltre 400 mila euro di salari
arretrati, i Lazzaro non solo non hanno ancora pagato gli ex lavoratori
sfruttati e poi licenziati con un cartello affisso su un palo della luce, ma
richiedono un risarcimento di un milione e mezzo di euro! Chi ha denunciato,
rischia di dover risarcire gli sfruttatori, che, poco prima, hanno patteggiato
una condanna a un anno e otto mesi per sfruttamento di manodopera. Il processo
contro braccianti e solidali riprenderà il 29 ottobre 2020.
Questa
vicenda ha evidenziato un nervo scoperto dello sfruttamento nelle nostre
campagne. In molte aziende agricole della zona, piccole e grandi, esistono
condizioni di lavoro simili a quelle praticate da Bruno e Mauro Lazzaro. Le
retribuzioni orarie, quando vengono pagate, sono ancora di cinque euro l’ora o
poco più; lavoro nero e ricatti sono pratica quotidiana.
Basta citare alcuni interventi della Guardia di Finanza di Tortona, dei
Carabinieri e dell’Ispettorato del Lavoro: uno nei confronti dell’azienda
agricola Balduzzi Fiorenzo e Stefano di Isola Sant’Antonio dove, alcuni anni
fa, sono stati trovati 15 lavoratori in “nero” su 30, 209 casi di lavoro
irregolare in quattro anni e qualcosa come 4mila giornate di lavoro irregolare,
con pure una lavoratrice addetta al magazzino seppur in periodo di astensione
obbligatoria dal lavoro! In questa azienda, due anni fa, durante uno sciopero e
un presidio contro i licenziamenti di tutti i lavoratori iscritti al sindacato,
il padrone, con il suo SUV lanciato a tutta velocità, ha sfiorato e rischiato
di investire un sindacalista e un lavoratore. Ne è seguita una denuncia con
tanto di video e di testimonianze: è di questi giorni, la notizia
dell’archiviazione della denuncia in quanto fatto non rilevante!
Lotte e scioperi sono stati organizzati da lavoratori italiani, marocchini e
indiani della ditta Angeleri & C. di Guazzora per il pagamento dei salari
arretrati da mesi e per avere chiarimenti in merito alle prospettive aziendali.
C’è pure stato l’intervento del Prefetto. Ma niente da fare. Tutto si è
concluso con un misterioso incendio divampato di notte nel capannone della
ditta, alla vigilia delle festività natalizie, seguito dal fallimento
dell’azienda, che ha lasciato per strada una trentina di lavoratori, senza
lavoro e senza soldi. Francesco Angeleri era stato, a suo tempo, anche
denunciato dagli avvocati del Presidio in quanto utilizzava lavoratori “in
nero” e senza permesso di soggiorno nella sua azienda agricola a Castelnuovo
Scrivia. Il risultato è stato il patteggiamento di una pena di un anno di
reclusione e 10 mila euro di multa, con sospensione condizionale. Intanto ai
lavoratori che hanno fatto la denuncia non è stato riconosciuta neppure la
protezione umanitaria, nonostante ne avessero diritto!
Oreste Novelli, per anni ha dato lavoro nei campi ad alcuni stranieri
clandestini: è stato riconosciuto colpevole e condannato alla pena di un anno
di reclusione e 45 mila euro di multa, anche se è stato assolto dall’accusa di
sfruttamento lavorativo per mancanza di prove certe.
Sono poi
stati scoperti tre casi di caporalato: uno a Castelnuovo Scrivia, dove un tale
Rachid El Farchoi gestiva una “cooperativa” di una quarantina di braccianti che
venivano inviati in aziende agricole della zona; un altro, in Alessandria, al
rione Cristo, in via Campi 17, con la “cooperativa” Ru.ma” di Dimitrovski Jose
e di Dimitrovska Snezana che ingaggiava decine di braccianti che, all’alba, si
presentavano nel piazzale antistante la sede della cooperativa e venivano
trasportati in aziende agricole delle Langhe e dell’astigiano per lavorare in
quelle vigne, patrimonio dell’Unesco, che producono vini eccellenti e costosi,
esportati in tutto il mondo. Ancora. A novembre del 2018, è stato bloccato in
Alessandria, un camion zeppo di braccianti, in gran parte richiedenti asilo
ospiti di cooperative, in partenza per tre aziende agricole, tra Spinetta
Marengo e Pozzolo Formigaro, per la raccolta dei pomodori; bloccati pure due
caporali che reclutavano questa manodopera a bassissimo prezzo – 50 centesimi
alla cassa! – facendoli lavorare fino a dieci ore al giorno, senza alcuna
tutela. Ebbene, di tutte queste vicende, non è dato sapere più nulla, buio
assoluto! Un altro caso è stato accertato in epoca relativamente recente, a
seguito di un intervento ispettivo, nelle campagne di raccolta dell’aglio a
Molino dei Torti e ad Alzano Scrivia, sempre in Bassa Valle Scrivia, dove
risultano coinvolte alcune aziende – la più significativa è l’azienda agricola
Balduzzi Dimitri – con lavoratori “in nero” e senza permesso di soggiorno.
Con le
mobilitazioni e le lotte dei braccianti della Valle Scrivia si è comunque
squarciato il velo di ipocrisia e di omertà che, da sempre, avvolge la nostra
provincia, benché in molti facciano ancora finta di non vedere e di non sapere.
Anche qui nel “civile e progredito” Nord, esistono sfruttamento, caporalato,
traffico di permessi di soggiorno, mafie, estorsioni, violazioni plateali di
leggi e di contratti, lavoro nero e irregolare. Sicuramente si sono
intensificati i controlli, i salari sono diventati un po’ più alti e i
contributi più regolari, è aumentato l’accesso all’indennità di disoccupazione
e sono aumentate le denunce e le segnalazioni di irregolarità, ma il problema
resta, perché è strutturale e riguarda l’intera filiera dell’agroalimentare.
In Bassa
Valle Scrivia, nei comuni di Sale e di Castelnuovo Scrivia, abbiamo aperto, da
poco tempo, due sportelli migranti, con l’obiettivo di dare e di raccogliere
informazioni, ma anche di svolgere le pratiche più urgenti fino a ieri delegate
ai patronati sindacali. Gli sportelli, come le scuole popolari di
alfabetizzazione che da anni abbiamo avviato sul territorio, vogliono essere
momenti di aggregazione delle realtà migranti e di discussione sui problemi
sociali e del lavoro nelle campagne. Siamo attualmente impegnati anche sul
problema della casa, con alcuni casi di sfratti, in una realtà, come quella di
Sale, un piccolo paese di circa 4.000 abitanti, con ben tre case sequestrate
alla mafia, per le quali gli enti preposti, dopo anni, non hanno ancora stabilito
alcuna destinazione sociale, mentre potrebbero essere utilmente destinate
all’emergenza abitativa. Infine, il 14 luglio c’è stato, ad Alessandria, un
incontro con gli avvocati di InfoPoint Sanatoria Piemonte, partecipato e ben
riuscito, organizzato con una rete territoriale di realtà impegnate sul
versante migranti e rifugiati, che si è proposto, non solo di spiegare e far
conoscere i meccanismi dell’odierna sanatoria, ma anche quello di porre sul
tavolo obiettivi politici di prospettiva, ovvero la rivendicazione di una vera
sanatoria estesa a tutte le attività produttive, un permesso di soggiorno a chi
ha già un contratto, un permesso di attesa occupazione a chi non ha un lavoro,
il diritto alla conversione dei permessi temporanei. Il tutto per dire che una
persona non è legale solo fino a quando raccoglie pomodori!
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