L'amministrazione Trump ha dato il via libera per consentire alle compagnie petrolifere di poter fare perforazioni nell’Arctic National Wildlife Refuge, in Alaska, un’enorme area naturale quasi incontaminata che ospita caribù e uccelli acquatici migratori, orsi polari e volpi che vivono lì tutto l’anno. Con questa decisione, l’amministrazione venderà in due aste distinte da 1.600 kmq ciascuna i diritti per il gas e il petrolio su un’area totale di 6.400 kmq lungo la pianura costiera.
L’Arctic
National Wildelife Refuge è l’habitat naturale di oltre 270
specie diverse, tra cui 900 orsi polari, 250 buoi muschiati e 300mila oche
delle nevi. Ci sono montagne e foreste boreali.
via National
Geographicvia National Geographic
La decisione
segue quanto approvato dal Congresso a maggioranza repubblicana nel disegno di
legge sul bilancio 2017 che prevedeva che il Governo federale mettesse all’asta
i diritti sul petrolio e il gas nel rifugio naturale entro il dicembre 2024.
In una
dichiarazione ufficiale, il segretario degli Interni USA, David Bernhardt, ha
affermato che, secondo la timeline, la prima asta si terrà entro il 22 dicembre
2021, ma che è possibile che si possano anticipare i tempi e possa tenersi
entro la fine del 2020.
Questa
decisione segna un passo importante verso il rilancio dello sviluppo dei
combustibili fossili in un’area rimasta intatta per tre decenni e consente
all'amministrazione Trump di raggiungere un obiettivo perseguito dai
Repubblicani da circa 40 anni, ignorando le richieste di ridurre il consumo di
energia proveniente da fonti fossili a causa del cambiamento climatico. «Il
Governo federale ha posto fine a più di 30 anni di impasse», ha commentato
Bernhardt, aggiungendo che il piano di perforazioni petrolifere è stato
«accuratamente adattato» per ridurre al minimo il suo impatto sull’ambiente
circostante.
I funzionari
dell’Ufficio per la gestione del territorio del Dipartimento degli Interni sono
giunti alla conclusione che la creazione di una rete di pozzi e condutture non
rappresenterebbe una minaccia alla fauna selvatica che dipende dal rifugio per
la sua sopravvivenza. Il progetto prevede la costruzione di pozzi, quasi 300
chilometri di strade, supporti verticali per le condutture, un impianto di trattamento
dell’acqua di mare e un sito di stoccaggio.
La
concessione dei diritti per le perforazioni nel rifugio rappresenta una delle
decisioni di politica energetica più significative che il presidente Trump
prenderà prima della fine del suo primo mandato, commenta Juliet Eilperin sul Washington
Post. Negli ultimi mesi, l'amministrazione ha ampliato le perforazioni di
petrolio e gas, indebolito gli standard di consumo del gas e annullato quelli
di efficienza energetica per gli elettrodomestici.
Gli
ambientalisti e alcuni nativi dell'Alaska hanno già detto che combatteranno il
piano di trivellazione in tribunale.
«Il nostro
clima è in crisi, i prezzi del petrolio sono crollati e le principali banche
stanno ritirando i finanziamenti per l'Artico. Eppure l'amministrazione Trump
continua la sua corsa per liquidare l'ultima grande regione selvatica della
nostra nazione, mettendo a rischio le popolazioni indigene e la fauna che
dipendono dal rifugio», ha detto il direttore esecutivo dell'Alaska Wilderness
League, Adam Kolton.
«Questo
piano non solo danneggerà i caribù, gli orsi polari e altri animali selvatici,
ma non tiene conto del rapido avanzamento del cambiamento climatico», ha
aggiunto Jennifer Rokala, direttrice esecutiva del Center for Western
Priorities. «Le compagnie petrolifere dovranno rafforzare le loro
infrastrutture per resistere allo scioglimento del permafrost e
all'innalzamento dei mari, con un impatto ancora maggiore».
Stando a
quanto emerso da un'analisi del Center for American Progress, le concessioni
nell’Artico, per tutto il loro periodo di vita, potrebbero comportare il rilascio di
oltre 4,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, pari a circa tre quarti
delle emissioni annuali degli Stati Uniti.
La decisione
è vulnerabile anche legalmente – spiega David J. Hayes, vice segretario degli
Interni sotto Bill Clinton e Barack Obama – perché ha limitato la sua analisi
di impatto ambientale alla fase delle concessioni, mentre la legge approvata
nel 2017 comprende «il noleggio, lo sviluppo, la produzione e il trasporto di
petrolio e gas all’interno del rifugio artico e verso l’esterno. Non puoi fare
la valutazione solo sul primo punto dell’interno piano».
Non è chiaro
quante compagnie parteciperanno all’asta. Per decenni, spiega Politico, tante società
hanno cercato di accedere all’area, ma la decisione dell’amministrazione Trump
arriva in un momento in cui ci sono grandi incertezze. Non si sa quanto
petrolio si trova sotto la superficie del rifugio, non vengono fatti test
sismici per identificare la presenza di potenziali depositi dagli anni Ottanta
e i risultati di nuove indagini non saranno pubblicate prima delle due aste.
Inizialmente il governo aveva stimato di poter recuperare 11 miliardi di
galloni (41 miliardi di litri) di petrolio e di poter ricavare 1,8 miliardi di
dollari in dieci anni dalle concessioni, ma successivamente ha dimezzato le stime.
Va aggiunto
che ultimamente le compagnie petrolifere hanno lasciato l’Alaska a causa degli
alti costi di perforazione e trasferimento del petrolio da un’area così remota
rispetto ai pozzi petroliferi più economici in Texas e North Dakota. A luglio
il gigante petrolifero britannico BP ha ceduto le sue concessioni in Alaska a
società più piccole.
Infine, ci
sono i contraccolpi di reputazione. Alcune banche molto importanti, come
JPMorgan Chase, Wells Fargo, Morgan Stanley, Citigroup e Goldman Sachs, hanno annunciato che non forniranno
finanziamenti per la perforazione dell'Arctic National Wildlife Refuge. Alcuni
attivisti hanno realizzato un'installazione itinerante sul rifugio che ha
girato per New York, Washington e San Francisco, visitata da migliaia di
visitatori che hanno lasciato messaggi vocali agli amministratori delegati
delle compagnie petrolifere esprimendo la loro opposizione alla perforazione.
E, secondo un sondaggio fatto ad aprile dalle università di Yale e George
Mason, il 67% degli elettori registrati ha detto di opporsi all’eventualità di
trivellazioni nella area.
Nonostante
tutto, il Governo federale va avanti imperterrito. «Penso che molte compagnie
faranno offerte per contratti di locazione anche se non ci sono dati sismici»,
ha dichiarato Bernhardt. E il piano non sarà fermato da un eventuale cambio di
amministrazione: «Le aste sono state approvate. Non si potrà tornare indietro».
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