martedì 4 agosto 2020

Giorgio Todde, il rigore della nostalgia - Massimo Dadea




Nell’accingermi a scrivere un ricordo di Giorgio Todde, mi sono imposto di evitare di inciampare in tutti quei piccoli “vizi” che accompagnano occasioni come queste. Anche per non incorrere nei rimbrotti di Giorgio di fronte a una prosa ridondante, retorica, infarcita di luoghi comuni, allitterazioni e cianfrusaglie simili. Lui mi avrebbe guardato con quel sorriso ironico, dolce, e avrebbe sollevato il sopracciglio: il massimo della disapprovazione.
Giorgio era lo specchio della sua scrittura: raffinata, asciutta, rigorosa, visionaria. A differenza di tanti altri scrittori, lui non sgomitava, la competizione non gli apparteneva, così come l’invidia. In lui prevaleva una accurata ricerca della parola. Nella convinzione che un uso non appropriato comporti la perdita del suo significato originario. Il rischio – diceva – è che le parole risuonino estranee, perdano il loro timbro e diventino rumori, rumori striduli, dolorosi per chi si sforzi di ascoltarle. La sua passione per la musica gli impediva di violentare la musicalità delle parole. La parola, fa dire a Suor Celestina nell’ultimo suo romanzo, “contiene tutti e cinque i sensi”.
All’uscita de Il mantello del fuggitivo, nel marzo dello scorso anno, mi aveva chiesto di presentarglielo. In quella Nuoro che ci aveva visto muovere i primi passi della nostra professione – lui oculista, io cardiologo – nell’ospedale San Francesco. Quel tragitto era stata l’occasione di una lunga chiacchierata. Un viaggio a ritroso nelle tortuosità delle nostre esistenze. Gli avevo chiesto se vi era qualche aspetto del libro che avrebbe voluto che mettessi in evidenza. Lui mi rispose con un’altra domanda: cosa è per te la nostalgia? Vorrei che tu parlassi di questo.
Il libro era pervaso da un’emozione, un sentimento che coincideva, in parte, con la nostalgia. Un’emozione che non indica solo la sofferenza, lo spaesamento provocato
dallìallontanamento dai luoghi in cui si è nati, ma anche la difficoltà a riconoscersi, al
momento del rientro, in quei luoghi, in quei paesaggi, in quelle persone. Anche perché, nel frattempo, sono irrimediabilmente cambiati, mutati, scomparsi. Quei momenti della memoria non torneranno più. La nostalgia esprime il desiderio del ritorno e il dolore del non ritorno. In definitiva – mi suggeriva – la nostalgia è un pendolo tra malinconia e speranza. Oggi – disse – in questa fase della mia vita prevale la malinconia.
La presentazione fu molto partecipata. Io, come concordato, parlai anche della mia nostalgia di nuorese della “diaspora”. Finita la presentazione chiesi a Giorgio di dedicarmi una copia del libro. Oggi l’ho ripreso in mano e ho riletto quella dedica: “A Massimo, che cagliaritano non sarà mai nello spirito. Mai. Giorgio”.
Dopo appena un mese i primi segni di quel male terribile. “Pensate spesso alla morte?…Thalberg:..si sa che quando si smette di essere bambini non c’è momento che almeno un po’ non pensiamo alla morte. Durante il giorno l’idea della morte appare in proporzione alla gioia. Per ogni gioia un pensiero mortale. E per ogni giorno c’è una notte…”(Il mantello del fuggitivo),
Grazie Giorgio! Un abbraccio.

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