Tra qualche giorno approderà in Consiglio regionale la
cosiddetta nuova “riforma” della sanità. Oramai ogni nuovo governo regionale,
appena insediato, sente come un imperativo categorico quello di cimentarsi per
trovare il modo migliore per “manomettere” la già precaria organizzazione
sanitaria sarda.
In molti hanno sperato che l’esperienza della pandemia
avesse insegnato qualcosa alla giunta regionale. La Germania e il Veneto hanno
dimostrato che solo quelle realtà che, per tempo, si sono dotate di una adeguata
rete di servizi territoriali e di un congruo numero di posti letto di terapia
intensiva, sono state in grado di affrontare con efficacia il Covid-19.
Un governo regionale attento ai bisogni di salute dei
cittadini avrebbe colto l’occasione per iniziare a delineare un nuovo modello
di sanità. Una organizzazione sanitaria articolata su due livelli. Il primo.
Una adeguata rete di infrastrutture di vicinanza: case della salute, strutture
intermedie, poliambulatori, cure post acuto e sub acuto, cure domiciliari.
Il secondo. Un sistema ospedaliero incentrato su
alcune alte specializzazioni e una serie di ospedali a struttura modulare,
diffusi nel territorio, dotati di un congruo numero di posti letto di terapia
intensiva, capaci di adattarsi velocemente a quelle che, con sempre maggiore
frequenza, saranno le future epidemie. Nell’immediato, in molti hanno atteso
che l’assessore della sanità si impegnasse, da subito, anima e corpo, per dare
una risposta ai tanti cittadini che da mesi attendono di poter eseguire una
visita cardiologica o neurologica, una colonscopia, una mammografia e così via.
Niente di tutto questo.
Alle già lunghissime liste d’attesa, si sono aggiunte
quelle derivanti dal blocco causato dal virus: il risultato è che ora i
pazienti invece che mesi dovranno aspettare anni. A meno che, naturalmente, non
si rivolgano alle strutture private. Ecco allora riemergere il vecchio
vizietto: trascurare la sanità pubblica a tutto vantaggio di quella privata. La
sanità bloccata dal virus e l’inerzia di questo governo regionale rischiano di
provocare molti più morti della pandemia.
Invece, in queste settimane, la giunta regionale ha
pensato bene di dedicarsi a quella che sembra la sua attività preferita: come
soddisfare i voraci appetiti clientelari della sua maggioranza. Ed allora,
perché non iniziare dalla moltiplicazione delle poltrone? Dalla ASL unica si
ritornerà a ben otto ASL. Una decisione che comporterà tra l’altro un forte
aggravio di spesa. Per fare questo hanno bisogno di scorporare l’Oncologico e
il Microcitemico dal Brotzu, per trasferirli alla nuova ASL 8 di Cagliari. Due
ospedali che rappresentano un patrimonio di conoscenza, di ricerca, di
professionalità, di qualità assistenziale, trattati come pacchi postali,
sballottati da una parte all’altra per soddisfare il signorotto di turno della
sanità sarda.
Uno strano destino per due presidi ospedalieri che
rappresentano l’eccellenza in materia di patologia oncologica e pediatrica. Chi
se ne frega delle proteste dei cittadini, delle associazioni scientifiche e dei
pazienti, degli operatori sanitari? Chi se ne frega se scorporare questi due
ospedali dal Brotzu, privarlo delle competenze specialistiche in materia
oncologica e pediatrica, significa mettere in discussione il ruolo dell’unico
ospedale di alta specializzazione e di rilievo nazionale? Chi se ne frega dei
bisogni di salute dei cittadini? A questi signori tutto questo importa poco. E’
così che vanno le cose nella Sardegna a trazione leghista e sardista.
da qui
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