Incredibilmente
il Governo ha dato il via libera dal 15 agosto, pur con un rigido protocollo
anti-Covid, alla ripresa delle crociere a Venezia ma MSC e Costa (le
corporations multinazionali della croceristica, che tra l’altro detengono un
cospicuo pacchetto azionario della Venetia Terminal Passeggeri) vi hanno
definitivamente rinunciato per la stagione croceristica 2020, già falcidiata
dall’emergenza Covid. Del resto Costa Deliziosa (che avrebbe dovuto essere la
prima nave a partire da Venezia, il giorno di Ferragosto) è ancora in
quarantena a Civitavecchia per casi Covid tra l’equipaggio.
Alla notizia
della decisione governativa il Comitato No Grandi navi aveva immediatamente
chiamato alla mobilitazione con presìdi per mare e per terra, alla bocca di
Porto del Lido e in bacino di San Marco. Poi, alla rinuncia da parte delle
compagnie, il movimento ha trasformato la mobilitazione in festa per venerdì 14
agosto, alle 18.00 in Punta della Dogana, sul Canale della Giudecca, finalmente
sgombro dalle grandi navi, almeno per tutta la stagione 2020.
L’estromissione
della grandi navi dalla Laguna è una vittoria del movimento, ma già è iniziata
la controffensiva per far cadere tutti nel tranello della contrapposizione tra
diritto alla salute/salvaguardia dell’ambiente e lavoro. Venezia Terminal
Passeggeri (VTP) infatti, all’inizio del lockdown, ha messo in
cassa integrazione i suoi 59 dipendenti, pur avendo chiuso il bilancio 2019 con
lauti utili (come fu per i 4,4 milioni di utili del 2018). Centinaia di
lavoratori sono da allora privi di tutele, senza contare i danni economici
all’indotto per le forniture, visto che Venezia è homeport, cioè un
porto di partenza da dove le grandi navi partono e arrivano e si riforniscono.
Pensiamo ai portabagagli, ai lavoratori a chiamata, hostess e addetti
all’accoglienza con contratti precari o atipici che il crocerismo utilizzava. A
loro va tutta la nostra solidarietà e appoggio per una garanzia del reddito.
Con la crisi
determinata dalla pandemia Venezia è una città allo stremo, con migliaia di
lavoratori del settore del turismo in cassa integrazione, o addirittura senza
reddito, soprattutto chi lavorava in nero o con contratti atipici, che nel
settore turistico e portuale sono purtroppo nella norma. Ma Venezia non può
sopravvivere con la monocoltura turistica (che anzi, nella versione dell’overtourism,
impoverisce la stessa vivibilità, l’ambiente, la salvaguardia della città e
anche il lavoro, sempre più precario e non tutelato) e l’attuale crisi
dovrebbe, per converso, essere utilizzata proprio per impostare un nuovo
modello di sviluppo della città e del lavoro. Invece c’è chi continua a
chiedere che ritorni tutto come prima, dimenticando che il decreto
Clini-Passera dal marzo 2012 vieta il passaggio della grandi navi superiori
alle 40.000 tonnellate di stazza lorda e che in questi otto anni invece le
grandi navi hanno continuato a passare, a dispetto della legge, del buon senso
e degli incidenti che il “Fronte del Porto” negava, ma che poi sono avvenuti (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/06/06/ora-basta-fuori-le-grandi-navi-dalla-laguna-di-venezia/)
.
Sta già
girando il balletto delle cifre sugli occupati diretti e indiretti del porto
croceristico, gonfiati e sgonfiati a dismisura, anche perché molti sono
intermittenti e non stabili. Certo il risvolto economico dell’industria è
rilevante ed è un fatto che essa dà lavoro a una parte della città: stime credibili
indicano in 1.700 gli occupati del settore, che con l’indotto diventano circa
4.000. Già si è detto, infatti, che Venezia è homeport, anche se va
considerato che queste grandi compagnie hanno proprie consociate che a livello
globale forniscono quasi tutto il necessario e quindi i ricavi rimangono quasi
tutti “in casa”, così come le tariffe per approdi e servizi, visto che in quasi
tutti i porti MSC e Costa sono entrate nel pacchetto azionario delle
concessionarie le banchine portuali. Ma già in uno studio del 2013, quando il
business delle crociere era all’apice (https://www.academia.edu/31220121/%C3%88_solo_la_punta_delliceberg_Costi_e_ricavi_del_crocierismo_a_venezia),
il prof. Tattara, docente di economia a Ca’ Foscari, stimava che i ricavi
derivanti dal crocierismo, valutati attraverso la somma dei redditi spesi dai
turisti a Venezia e dalle compagnie di crociera (per servizi di ormeggio, di
agenzia e altro), si aggiravano sui 290 milioni di euro l’anno. I costi sociali
e ambientali delle crociere, considerando l’inquinamento dell’aria e del mare,
venivano a loro volta stimati in una grandezza analoga. Tra l’inquinamento
dell’aria dovuto ai combustibili, il suo effetto sulla salute della
popolazione, sull’ambiente e sui cambiamenti climatici a causa dell’emissione
dei gas serra e l’inquinamento del mare, dovuto allo scarico da parte delle
navi di rifiuti solidi, di acque nere e grigie, di rifiuti pericolosi, infatti,
i costi annui venivano stimati in 320 milioni di euro; e ciò senza contare i
danni ai monumenti per l’alto tenore di zolfo dei combustibili, i danni alle
fondamenta, alla morfologia lagunare dovuti al dislocamento delle immani carene
che provocano erosione e i danni dovuti per lo scavo dei grandi canali
navigabili che stanno trasformando la Laguna in un braccio di mare.
Ciò e le
minacce per il prossimo futuro, determinate dai cambiamenti climatici e
dall’innalzamento del livello dei mari (che renderanno insufficienti, le stesse
paratoie del Mose, se mai dovessero funzionare), impongono cambiamenti radicali
anche nella portualità. In questa situazione voler mantenere il gigantismo
navale all’interno della Laguna è improponibile, assurdo e controproducente,
anche per la comunità portuale stessa. Con le previsioni dell’IPCC (Gruppo
intergovernativo sui cambiamenti climatici) per i prossimi decenni ‒ e
l‘abbiamo visto lo scorso 12 novembre con un’alta maree eccezionale di 1,87 cm.
sul livello medio del mare, la seconda dopo il 4 novembre 1966, che ha causato
danni straordinari in città e in Laguna ‒ le paratie del Mose (sempre se il
sistema funzionerà, di fronte alle innumerevoli criticità e agli improponibili
costi per la manutenzione), dovrebbero essere messe in funzione praticamente
quasi sempre, decretando la morte biologica della Laguna, sottratta al ricambio
con il mare, nonché la fine delle attività portuali.
È evidente
che di fronte a tutto questo sarà inevitabile lo spostamento verso il mare del
porto, mediante avamporti collegati alla terraferma. Ci si doveva pensare ieri,
non oggi, ma c’è chi pensa solo al profitto immediato, allo sfruttamento
estrattivista di Venezia e della sua Laguna, senza una visione per un futuro
sostenibile.
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