Nei giorni del lockdown abbiamo visto le
acque più limpide, dai fiumi alla Laguna. Ma cosa c'è che le inquina? E con
quali impatti su salute e ambiente? Il dossier di Legambiente dal titolo
"H2O – la chimica che inquina l’acqua" (qui il .pdf) fa il punto sulle sostanze
inquinanti immesse nei corpi idrici, con numeri, dati e un focus dedicato alle
sostanze emergenti: tra queste fitofarmaci, farmaci a uso umano e veterinario,
pesticidi di nuova generazione, microplastiche. Sono 46 le storie raccolte a
testimonianza della contaminazione.
Lo sversamento
incontrollato
In Italia circa il 60% dei fiumi e dei
laghi non è in buono stato e molti di quelli che lo sono non vengono protetti
adeguatamente. Su dati del registro E-PRTR (European Pollutant Release and
Transfer Register), l’associazione ambientalista calcola inoltre che dal 2007
al 2017 gli impianti industriali abbiano immesso, secondo le dichiarazioni
fornite dalle stesse aziende, ben 5.622 tonnellate di sostanze chimiche nei
corpi idrici.
Alla vigilia della Giornata mondiale
dell’Ambiente, l’associazione ricorda che la corretta gestione e la cura della
risorsa idrica devono essere una priorità del Paese insieme alle bonifiche e al
rafforzamento della Direttiva Quadro Acque per mantenere gli obiettivi, senza
nuovi slittamenti e sotto la revisione degli Stati membri. E lancia un appello
al Governo, affinché una parte considerevole dei mille miliardi di euro
stanziati dall’Ue per le politiche ambientali e climatiche finanzi il Green New
Deal italiano per favorire il recupero dei ritardi infrastrutturali,
l’adeguamento ed efficientamento degli impianti di depurazione e della rete
fognaria e acquedottistica, gli interventi di riduzione del rischio
idrogeologico.
"Per anni utilizzati come discariche
dove smaltire i reflui delle lavorazioni industriali, i nostri fiumi, laghi,
acque marino-costiere e falde sotterranee sono stati contaminati da scarichi
inquinanti: ma oggi, alle minacce di ieri se ne aggiungono di diverse e non
meno insidiose". L'obiettivo, in questa Fase 2 che vede ripartire la gran
parte delle attività, è imporre una ripartenza diversa.
A cominciare delle industrie che
continuano a perseguire metodi e attività incompatibili con la tutela
dell’ambiente e delle risorse idriche in particolare, come dimostrano casi
ancora aperti quali gli sversamenti illeciti nel fiume Sarno, in Campania, il più
inquinato d’Europa, o quello del bacino padano, area di maggiore utilizzo
europeo di antibiotici negli allevamenti, i cui residui si ritrovano nelle
acque.
"La riapertura delle attività produttive – commenta Giorgio
Zampetti, direttore generale di Legambiente – ci ha restituito in diverse
situazioni anche la riattivazione di scarichi inquinanti nelle acque. Un
fenomeno che ha un impatto notevole su corpi idrici in molti casi già
compromessi da decenni di inquinamento e oggi minacciati anche dalla presenza
dei nuovi 'contaminanti emergenti', un rischio per la
salute, oltre che per l’ambiente. Di certo non può essere il lockdown la misura
per restituirci acque limpide, ma ora che abbiamo tutti visto come sia
possibile ritornare ad avere fiumi e laghi puliti, occorre puntare sulle giuste
politiche e misure a livello nazionale fin da questa fase di ripartenza".
"Servono un sistema di controllo e
monitoraggio sempre più accurato e uniforme su tutto il territorio nazionale e
un’azione di denuncia degli scarichi illegali. - prosegue Zampetti - Per questo
abbiamo deciso di iniziare a raccogliere le segnalazioni sugli scarichi
inquinanti da parte delle persone che continueranno ad essere sentinelle sul
territorio. Le storie che abbiamo raccolto in questo dossier ben ci raccontano
le pratiche legali e illegali che tutt’oggi continuano ad avvelenare acque,
persone e territori. Condotte che non sono più tollerabili, specie in settori
che dovrebbero essere protagonisti di una nuova fase di transizione ecologica”.
La Direttiva Acque e
gli obiettivi mancati
"Il raggiungimento di una buona
qualità ecologica e chimica dei corpi idrici in Europa, che la Direttiva Quadro
Acque (2000/60/CE) aveva fissato al 2015, non è più procrastinabile –
dichiara Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente
–– Diverse le cause del mancato conseguimento dei risultati, tra cui gli scarsi
finanziamenti erogati, un’attuazione troppo lenta della direttiva da parte
degli Stati membri e un’insufficiente integrazione degli obiettivi ambientali
nelle politiche settoriali. L’Italia, da questo punto di vista, è in forte
ritardo. La piena attuazione della Direttiva Acque, peraltro, è fondamentale
per contrastare i cambiamenti climatici: serve a migliorare lo stato ecologico
dei corpi idrici, restituire spazio ai fiumi, mitigare il rischio alluvioni ed
evitare alterazioni dei corridoi fluviali rispettando la naturalità. Per una
ripartenza post-Covid, occorre che anche le aziende facciano la loro parte”.
L'effetto cocktail
L’Ue ha individuato inoltre 45 sostanze
prioritarie che rappresentano un "rischio significativo per l’ambiente
acquatico o proveniente dall’ambiente acquatico" che gli Stati membri sono
tenuti a monitorare: per lo più nelle nostre acque se ne individuano due
famiglie, sostanze organiche e metalli pesanti, immesse tramite i processi
produttivi o gli impianti di depurazione delle aree urbane
Non meno impattanti, ma considerati emergenti, sono invece le migliaia di contaminanti cui Legambiente dedica un capitolo a parte: inquinanti dai potenziali effetti avversi su salute e ambiente stimati in oltre 2.700 in commercio, in gran parte non regolamentati. Tra questi, fitofarmaci, farmaci a uso umano e veterinario, pesticidi di nuova generazione, additivi plastici industriali, prodotti per la cura personale, nuovi ritardanti di fiamma e microplastiche. Sostanze magari presenti nelle acque in piccole concentrazioni, ma che interagendo per molto tempo possono creare un 'effetto cocktail'.
Allarme pesticidi
Sono 130 mila all’anno, invece, le
tonnellate di pesticidi usate nella filiera agricola italiana: secondo l’Ispra,
quantità significative di principi attivi e metaboliti di questi fitofarmaci si
ritrovano in acque superficiali (67%) e sotterranee (33%), evidenziando la
correlazione fra chimica nelle filiere tradizionali e impatti negativi sul
sistema idrico, come sostenuto da sempre anche da Legambiente.
Altro rischio sanitario deriva dai contaminanti nelle attività agrozootecniche:
una ricerca pubblicata da The Lancet nel 2018 rivela che in
Italia avviene un terzo delle 33 mila morti annue nell’Ue da infezioni da Amr
(agenti resistenti agli antimicrobici). Nel 2019 l’Agenzia Europea del Farmaco
ha evidenziato un uso di antibiotici sproporzionato nei nostri allevamenti:
1.070 tonnellate all’anno, il 16% dei consumi Ue, con il bacino padano area di
maggiore utilizzo europeo.
La mappa dei casi italiani di acque inquinate non è affatto rassicurante. Il
dossier fotografa casi che da decenni aspettano bonifiche e riqualificazioni.
Partendo da Porto Marghera in Veneto, primo sito nazionale da bonificare
individuato nel 1998, passando per la Sardegna con il forte inquinamento da
metalli pesanti nella zona industriale di Portoscuso e quello da sostanze
organiche, solventi clorurati e idrocarburi nella zona industriale di Porto
Torres, per arrivare in Sicilia, a Milazzo, Gela, Augusta Priolo e Melilli,
devastate dalle industrie del petrolchimico.
In mezzo, tanti altri siti d’interesse Nazionale: dalla laguna di Grado e
Marano in Friuli alla Caffaro di Brescia in Lombardia; dai siti toscani di
Piombino, Livorno e Orbetello a quelli marchigiani di Falconara Marittima;
dalla Valle del Sacco nel Lazio ai siti pugliesi di Brindisi, Taranto e
Manfredonia. Tutte aree dove IPA, PCB, metalli pesanti, diossine, pesticidi e
idrocarburi hanno portato a problemi sanitari oltre che ambientali. E ancora,
la Campania, con l’inquinamento del fiume Sarno e delle falde del Solofra, e la
Terra dei Fuochi; la contaminazione del lago Alaco in Calabria, quella delle
acque potabili dei comuni metapontini in Basilicata, del lago d’Orta in
Piemonte o dell’acquifero del Parco Nazionale del Gran Sasso, in Abruzzo, dove
Legambiente è parte civile nel procedimento penale in corso.
L'emergenza Pfas
Sono solo alcune delle decine di casi
segnalati nel dossier, che si avvale dell’apporto dei circoli locali e
regionali di Legambiente. Come per il focus sui pesticidi e sul glifosato in
Emilia Romagna. O, ancora, per gli approfondimenti sull'inquinamento da Pfas
(composti chimici che rendono le superfici trattate impermeabili ad acqua,
sporco e olio), con i casi della provincia d’Alessandria, dove è in fase di
autorizzazione un progetto che prevede l’utilizzo di una nuova sostanza (cC604)
dagli effetti potenzialmente dannosi in un’area in cui “l’eccesso di ricoveri e
di mortalità è segnalato da anni”; del Veneto dove l’inquinamento da Pfas è
storicamente dovuto allo scarico di un’industria chimica e interessa le
province di Vicenza, Verona e Padova, minacciando la salute di 300 mila
persone; della Lombardia, dove l’Arpa ha rilevato Pfas in tutti i bacini della
pianura.
Le proposte di
Legambiente
Oltre all’appello al Governo,
l’associazione ambientalista rilancia alcune sue proposte. Secondo Legambiente,
le microplastiche devono rientrare tra i criteri di valutazione del buono stato
delle acque interne. Serve, inoltre, dare spazio all’innovazione tecnologica e
ridurre drasticamente l’uso di sostanze di sintesi pericolose in agricoltura.
Per farlo occorre approvare i decreti attuativi della Legge 132/2016 che ha
istituito il Sistema Nazionale a rete per la Protezione Ambientale (Snpa),
consentendo di potenziare, uniformare e migliorare i controlli sul territorio
incidendo sulla prevenzione dall’inquinamento.
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