lunedì 6 luglio 2020

Mangiamo digitale, la crisi se ne andrà - Silvia Ribeiro




I grandi vincitori della pandemia sono state le piattaforme digitali, che oltre a realizzare profitti astronomici hanno accentuato disuguaglianze e ingiustizie – paradossalmente sotto l’immagine idilliaca di un mondo in cui siamo tutti collegati. E la programmazione di queste imprese è andata avanti a ritmi vertiginosi anche nel più grande mercato del pianeta: l’agricoltura e l’alimentazione. Noi del Gruppo ETC abbiamo descritto lo sviluppo della digitalizzazione del sistema agroalimentare in un report intitolato Tecnofusiones comestibles (Tecnofusioni commestibili).
Le più grandi imprese di entrambi i settori sono in movimento, sia nel Nord che nel Sud del mondo. Microsoft ha elaborato programmi speciali per digitalizzare tutto il lavoro agricolo; diverse imprese digitali hanno stipulato contratti con aziende produttrici di macchinari, come John Deere e CNH, per raccogliere, attraverso i loro trattori, dati relativi al terreno, alle semine e al clima, e convogliarli nei loro cloud elettronici. Le più grandi imprese globali che commerciano in materie prime per l’agricoltura, Cargill, ADM, Cofco, Bunge, Louis Dreyfus e Glencore, stanno collaborando per sviluppare piattaforme tecnologiche digitali (in particolare blockchain[1] e intelligenza artificiale) per automatizzare il commercio globale di cereali.

Lo scorso anno, Walmart ha acquistato la gigantesca catena di vendite elettroniche Flipkart, in India, mentre la catena di supermercati Carrefour ha fatto un accordo con Google per incrementare le vendite on-line di prodotti alimentari. A sua volta, la catena francese di supermercati Monoprix ha firmato un accordo di vendite on-line con Amazon. Le imprese cinesi Alibaba e Tencent si stanno contendendo il controllo dell’enorme mercato di vendite di prodotti alimentari in Cina.
Mentre milioni di migranti, lavoratori informali e stagionali delle aree rurali e urbane, con la pandemia sono rimasti senza le loro minime fonti di reddito e sono stati ridotti alla fame insieme alle loro famiglie, le imprese digitali e agroalimentari hanno realizzato nell’aprile 2020 ingenti profitti. Amazon, ad esempio, ha registrato 24 miliardi di dollari. Nestlé, la più grande impresa alimentare del mondo, produttrice di bevande zuccherate e altri alimenti ultra-elaborati, produttrice seriale di diabete e obesità, è arrivata a 8 miliardi di dollari. Una cifra, ha segnalato GRAIN, superiore all’intero budget annuale del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite.
Nonostante questo, le maggiori imprese agroalimentari, come Tyson Foods, la seconda produttrice mondiale di carne, lamentano di essere colpite dalla crisi e sostengono che il sistema alimentare è compromesso, per cui hanno bisogno di sostegno e di esenzioni fiscali da parte degli Stati. Il sistema alimentare agroindustriale è una vera fabbrica di pandemie ed è già stato un’alta fonte di contagio per i suoi lavoratori durante la crisi del Covid-19. Ma non si riferiscono a tale circostanza, bensì a situazioni come quelle che si sono viste negli Stati Uniti, dove grandi produttori di latticini e uova hanno distrutto i loro prodotti e altri hanno sacrificato migliaia di polli o di maiali perché non era economicamente redditizio mantenerli se non era possibile venderli nel preciso momento in cui raggiungevano le dimensioni e il peso che erano stati calcolati.
Come spiega Michael Pollan, si tratta di sistemi alimentari paralleli all’interno della produzione industriale di quel paese. Da un lato, le imprese che riforniscono i supermercati. Dall’altro, quelle che forniscono prodotti altamente specializzati (ad esempio, uova liquefatte) alle istituzioni pubbliche, come le scuole, che hanno chiuso durante la pandemia. Invece di tenere gli animali o di vedere come farli arrivare a chi ne ha bisogno, le imprese hanno deciso di disfarsene, sostenendo che non era economico fare altro (“The Sickness in Our Food Supply”, in The New York Review of Books, 11 giugno 2020).

In tale contesto, le imprese sia digitali che agroalimentari hanno colto una nuova occasione per affermare che la digitalizzazione di tutta la catena agroindustriale è la chiave per superare la crisi. Questo ce l’avevano in programma già da prima, ma ora si basano sul Covid-19 sostenendo che grazie a loro la gente ha potuto fare i suoi acquisti on-line, che i robot non si ammalano (né scioperano o chiedono condizioni migliori), che la moneta elettronica non ha bisogno del contatto personale. Proclamano di essere indispensabili in quanto fornitori di generi alimentari e convergono con le imprese di piattaforme digitali nel chiedere che gli Stati garantiscano dovunque l’accesso a internet, si facciano carico delle infrastrutture, installino reti 5G per consentire un volume di dati molto maggiore, senza discontinuità (perché i sistemi di consegna per mezzo di droni o di veicoli a guida autonoma non subiscano interruzioni), e che si facciano passi decisivi verso l’internet delle cose nel settore agroalimentare.
Molte prove e testimonianze indicano che i sistemi alimentari che hanno realmente funzionato e stanno funzionando, che durante la crisi hanno fornito in maniera sicura la maggior quantità e qualità di generi alimentari a tutti noi che ne avevamo bisogno, e che generano posti di lavoro e salute, sono i sistemi contadini e le reti locali campagna-città. Prevengono anche future epidemie. Questi sono i sistemi che è di vitale importanza sostenere, non il nuovo attacco all’agricoltura e all’alimentazione.

Fonte: “Comida digital? No, gracias”, in La Jornada, 20/06/2020.
Traduzione a cura di Camminardomandando



[1] N.d.t. – La Blockchain è un database decentralizzato costituito da catene di blocchi di dati che vengono registrati online (contratti, transazioni, accordi, e altro). Attraverso una particolare tecnologia informatica che gestisce l’intervento di tutti i partecipanti alla rete, si ottiene un registro di dati accessibili e non modificabili.


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