I grandi vincitori della pandemia sono state le piattaforme digitali, che oltre a realizzare profitti astronomici
hanno accentuato disuguaglianze e ingiustizie – paradossalmente sotto
l’immagine idilliaca di un mondo in cui siamo tutti collegati. E la programmazione di queste imprese è andata
avanti a ritmi vertiginosi anche nel più grande mercato del pianeta:
l’agricoltura e l’alimentazione. Noi del Gruppo ETC abbiamo
descritto lo sviluppo della digitalizzazione del sistema agroalimentare in un
report intitolato Tecnofusiones comestibles (Tecnofusioni
commestibili).
Le più grandi imprese di entrambi i settori sono
in movimento, sia nel Nord che nel Sud del mondo. Microsoft ha elaborato programmi
speciali per digitalizzare tutto il lavoro agricolo; diverse imprese digitali
hanno stipulato contratti con aziende produttrici di macchinari, come John Deere e CNH, per
raccogliere, attraverso i loro trattori, dati relativi al terreno, alle semine
e al clima, e convogliarli nei loro cloud elettronici. Le più grandi imprese globali che commerciano
in materie prime per l’agricoltura, Cargill, ADM, Cofco, Bunge, Louis Dreyfus e
Glencore, stanno collaborando per sviluppare piattaforme tecnologiche digitali (in
particolare blockchain[1] e
intelligenza artificiale) per automatizzare il commercio globale di cereali.
Lo scorso anno, Walmart ha
acquistato la gigantesca catena di vendite elettroniche Flipkart, in India,
mentre la catena di supermercati Carrefour ha
fatto un accordo con Google per
incrementare le vendite on-line di prodotti alimentari. A sua
volta, la catena francese di supermercati Monoprix ha firmato un accordo di vendite on-line con Amazon. Le imprese cinesi Alibaba e Tencent si stanno contendendo il
controllo dell’enorme mercato di vendite di prodotti alimentari in Cina.
Mentre milioni di migranti,
lavoratori informali e stagionali delle aree rurali e urbane, con la pandemia
sono rimasti senza le loro minime fonti di reddito e sono stati ridotti alla
fame insieme alle loro famiglie, le imprese digitali e agroalimentari hanno
realizzato nell’aprile 2020 ingenti profitti. Amazon, ad esempio, ha registrato 24 miliardi di dollari. Nestlé, la più grande impresa
alimentare del mondo, produttrice di bevande zuccherate e altri alimenti
ultra-elaborati, produttrice seriale di diabete e obesità, è arrivata a 8 miliardi di dollari. Una cifra, ha segnalato GRAIN, superiore
all’intero budget annuale del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni
Unite.
Nonostante questo, le maggiori imprese agroalimentari, come Tyson Foods, la
seconda produttrice mondiale di carne, lamentano di essere colpite dalla crisi
e sostengono che il sistema alimentare è compromesso, per cui hanno bisogno di
sostegno e di esenzioni fiscali da parte degli Stati. Il sistema alimentare agroindustriale è una
vera fabbrica di pandemie ed è già stato un’alta fonte di contagio per i suoi
lavoratori durante la crisi del Covid-19. Ma non si riferiscono a
tale circostanza, bensì a situazioni come quelle che si sono viste negli Stati
Uniti, dove grandi produttori di latticini e uova hanno distrutto i loro
prodotti e altri hanno sacrificato migliaia di polli o di maiali perché non era
economicamente redditizio mantenerli se non era possibile venderli nel preciso
momento in cui raggiungevano le dimensioni e il peso che erano stati calcolati.
Come spiega Michael Pollan, si tratta di sistemi alimentari paralleli
all’interno della produzione industriale di quel paese. Da un lato, le imprese
che riforniscono i supermercati. Dall’altro, quelle che forniscono prodotti
altamente specializzati (ad esempio, uova liquefatte) alle istituzioni
pubbliche, come le scuole, che hanno chiuso durante la pandemia. Invece di tenere gli animali o di vedere come
farli arrivare a chi ne ha bisogno, le imprese hanno deciso di disfarsene,
sostenendo che non era economico fare altro (“The Sickness in Our
Food Supply”, in The New York Review of Books, 11
giugno 2020).
In tale contesto, le imprese
sia digitali che agroalimentari hanno colto una nuova occasione per affermare
che la digitalizzazione di tutta la catena agroindustriale è la chiave per
superare la crisi. Questo ce l’avevano in programma già da prima, ma ora si
basano sul Covid-19 sostenendo che grazie a loro la gente ha potuto fare i suoi
acquisti on-line, che i robot non si ammalano (né scioperano
o chiedono condizioni migliori), che la moneta elettronica non ha bisogno del
contatto personale. Proclamano di
essere indispensabili in quanto fornitori di generi alimentari e convergono con
le imprese di piattaforme digitali nel chiedere che gli Stati garantiscano
dovunque l’accesso a internet, si facciano carico delle infrastrutture,
installino reti 5G per consentire un volume di dati molto maggiore, senza
discontinuità (perché i sistemi di consegna per mezzo di droni o di veicoli a
guida autonoma non subiscano interruzioni), e che si facciano passi decisivi
verso l’internet delle cose nel settore agroalimentare.
Molte prove e testimonianze indicano che i
sistemi alimentari che hanno realmente funzionato e stanno funzionando, che
durante la crisi hanno fornito in maniera sicura la maggior quantità e qualità
di generi alimentari a tutti noi che ne avevamo bisogno, e che generano posti
di lavoro e salute, sono i sistemi contadini e le reti locali campagna-città. Prevengono anche
future epidemie. Questi sono i sistemi che è di vitale importanza sostenere,
non il nuovo attacco all’agricoltura e all’alimentazione.
Fonte: “Comida digital? No, gracias”,
in La Jornada, 20/06/2020.
Traduzione a cura di Camminardomandando
[1] N.d.t. –
La Blockchain è un database decentralizzato costituito da
catene di blocchi di dati che vengono registrati online (contratti,
transazioni, accordi, e altro). Attraverso una particolare tecnologia
informatica che gestisce l’intervento di tutti i partecipanti alla rete, si
ottiene un registro di dati accessibili e non modificabili.
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