Pagano
quattro soldi per lucrare centinaia di migliaia, quando non milioni di euro, su
beni demaniali come le spiagge.
L’Hotel
Cala di Volpe versa quale canone demaniale 520 euro all’anno, per
tutte le 19 concessioni demaniali marittime in Costa Smeralda (Arzachena)
lo Stato incassa la folle cifra di 19 mila euro di canoni
annuali
Ovvio che
chi ne beneficia ne voglia approfittare fino alla fine dei secoli.
Le
concessioni demaniali – in particolare quelle sulle spiagge – non possono essere eterne,
lo affermano direttive comunitarie, giurisprudenza, buon senso.
Nemmeno possono essere prorogate automaticamente,
eppure così ha deciso il Governo Conte giallo-verde-rosso, prevedendone la
proroga automatica al 2033..
In Sardegna,
per esempio, dopo aver tentato di rendere permanenti i chioschi sulle spiagge
(grazie anche a una segnalazione GrIG la legge regionale n. 3/2020 che lo
prevede è finita davanti alla Corte costituzionale),
la Giunta regionale ha pensato bene di regalare aumenti di
estensione delle concessioni demaniali sulle spiagge (deliberazione Giunta
regionale n. 35/11 del 9 luglio 2020, “Concessioni demaniali marittime con
finalità turistico-ricreativa. Distanziamento sociale per le attività turistiche
‘stabilimenti balneari e spiagge’. Rilascio autorizzazioni temporanee in
estensione alle concessioni esistenti. Procedura”, non visionabile).
Senza uno
straccio di legalità né di decenza, la privatizzazione strisciante del
demanio marittimo continua.
Stiamo,
comunque, verificando la possibilità di segnalare proroga automatica e
ampliamento delle estensioni alla Commissione europea per la palese violazione
del diritto comunitario in materia (direttiva 2006/123/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, la c.d. direttiva Bolkestein).
Gruppo
d’Intervento Giuridico onlus
da Il Corriere della Sera, 9 luglio 2020
Concessioni balneari: quelle spiagge da sogno a 520
euro fino al 2033.
Si proroga (con il no Ue). Il provvedimento del governo criticato dalla
Ragioneria dello Stato: in contrasto con l’Europa e lede gli interessi
pubblici. (Gian
Antonio Stella)
La
Ragioneria dello Stato non è d’accordo? Amen. È questa la risposta del governo
alla strigliata ricevuta sulla ennesima
proroga per altri tredici anni delle concessioni balneari che una direttiva
dell’Ue vieta dal lontano 2006. Quando la Juventus giocava in serie B.
Tutto regolare, per carità: entro certi limiti la politica può fare ciò che
vuole. Anche infischiarsene dei conti e delle regole europee. Il segnale, però,
lascia l’amaro in bocca. Sia chiaro: in questi mesi tremendi per l’economia
dopo il coronavirus neppure gli europeisti più rigidi, i liberisti più
ortodossi, gli ambientalisti più esigenti avrebbero storto il naso se l’Italia,
dopo aver recepito con quattro anni di ritardo nel 2010 la cosiddetta «direttiva
Bolkestein» e avere da allora tirato in lungo di rinvio in rinvio, avesse
deciso una nuova proroga. Limitata nel tempo, però. Con buon senso. Concedere
una dilazione così lunga fino al 31 dicembre 2033 per un totale di ventitré
anni rischia di sembrare una
furbizia a chi quelle regole comunitarie sulle concessioni balneari le ha già
applicate. Come, ad esempio, la Francia. Dove i comuni hanno preteso e
ottenuto di incassare, per le spiagge demaniali che appartengono a loro, assai
più di una volta. A partire da plages celeberrime come quelle della Costa
Azzurra.
La
sentenza della Corte Ue
Una sentenza
della Corte di giustizia Ue del luglio 2016, del resto, è netta: «Il diritto
dell’Unione osta a che le concessioni per l’esercizio delle attività turistico-ricreative
nelle aree demaniali marittime e lacustri siano prorogate in modo automatico in assenza di qualsiasi procedura di
selezione dei potenziali candidati». Molti dei 30 mila concessionari
italiani, che magari hanno quell’unica fonte di reddito, trasmessa a volte di
padre in figlio, rischiano di uscirne con le ossa rotte?
Sicuramente. Ed è giusto che chi governa ne tenga conto. Tant’è che la destra pare condividere, per una volta, la
linea giallo-rossa. Anzi, il testo definitivo del Decreto rilancio si
rifà direttamente, in copia incolla, a «quanto disposto nei riguardi dei
concessionari dall’articolo 1, commi 682 e seguenti, della legge 30 dicembre
2018, n. 145».
Un giro
d’affari da 15 miliardi
Per capirci:
la proroga alla fine del 2033 decisa dal governo Conte versione giallo-verde,
fortissimamente voluta dall’allora ministro del Turismo, il leghista Gian Marco
Centinaio, e dal cliente del Papeete Matteo Salvini. Il tutto prima (ripetiamo:
prima) della pandemia. Ma dopo il
dossier di Legambiente sulle 52.619 concessioni demaniali marittime.
Dossier che spiegava come nel 2016 (ultimo anno con dati disponibili) lo Stato
avesse incassato «poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di
un giro di affari stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui». Con casi limite come la Costa Smeralda:
«Per la spiaggia di Liscia Ruja, l’hotel Cala di Volpe paga 520 euro l’anno».
In totale «per le 59 concessioni del Comune di Arzachena lo Stato incamera
canoni 19 mila euro l’anno». Numeri sbalorditivi. Al punto che lo stesso Flavio Briatore spiegò al Corriere
che «gli affitti delle concessioni balneari andrebbero rivisti tutti. E almeno triplicati». «Parlo anche di me», aggiunse
tranquillo, spiegando d’essere partito per il Twiga da un canone
pagato dal vecchio concessionario di 4.322 euro l’anno per salire fino a
17.619». A fronte di un fatturato intorno ai quattro milioni.
La
Ragioneria di Stato
Certo, non è
il caso di migliaia di proprietari
di stabilimenti che tirano avanti con vecchie concessioni e faticano a fare un
po’ di investimenti obbligati. Ma va detto: quanti altri imprenditori
giovani e ricchi di entusiasmo e di idee vengono tagliati fuori per decenni da
proroghe continue, eterne e blindate? Davanti all’ennesima, la Ragioneria dello Stato ha avuto da ridire
ufficialmente: «Le disposizioni in esame non risultano in linea con
l’ottimale utilizzo dei beni pubblici anche in funzione della futura
destinazione degli stessi a fini diversi, nel rispetto dell’interesse pubblico
generale, in quanto consentirebbe la prosecuzione nell’utilizzo dei beni del
demanio marittimo da parte dei medesimi soggetti, anche quando siano stati già
avviati o siano da avviare i procedimenti per la devoluzione», cioè
l’acquisizione diretta «senza alcun compenso o rimborso» delle opere «non
amovibili eventualmente erette sulle aree demaniali». Di più: qualche proroga
«consentirebbe di continuare l’utilizzo i beni del demanio marittimo anche da
parte dei concessionari non in regola con il pagamento del canone di
concessione demaniale, in chiaro contrasto con l’art. 47 c.n. che annovera
l’omesso pagamento del canone tra le ipotesi di decadenza dalla concessione, e
con intuibili ricadute sfavorevoli sul gettito delle entrate».
I
principi di concorrenza
Di più
ancora: una proroga così è «in contrasto coi principi di tutela della
concorrenza e libertà di stabilimento sanciti dal diritto europeo, potendo
suscitare per questo l’avvio di procedure di infrazione potenzialmente forîere
di maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Procedura già avviata. La delibera Ue
spiega infatti: «L’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata
e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico». Parole chiarissime.
Cui il governo ha risposto stralciando solo le proroghe alle concessioni
«pertinenziali» (trecento aziende circa, una minoranza che ora protesta
ferita…) esposti alla revoca «per fatto e colpa del concessionario». Per gli altri, tutto come prima. Anzi,
spiega il leader dei Verdi Angelo Bonelli, la nuova proroga giallo-rossa che
copia quella giallo-verde «non ha altro senso se non frenare i contenziosi
giuridico-amministrativi e premere sui Comuni decisi a rivedere le concessioni
appellandosi alla direttiva Ue». Tanto non servirà niente, assicura l’avvocato
Roberto Biagini, presidente del Coordinamento nazionale per il mare libero e le
spiagge beni comuni: «A partire dal Tar del Veneto e da quello della Campania ci sono già sentenze chiarissime:
proroghe come questa non si possono applicare contro leggi e sentenze europee».
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