La pandemia da Covid19 deve essere presa come un
importante segnale d’allarme nello stato dei rapporti tra uomo e natura. Come abbiamo già
scritto, c’è evidenza scientifica di una correlazione tra l’aumento
dei casi di “salto di specie” di virus da animali all’uomo
e la distruzione della natura. E rischi anche più importanti sono
legati all’emergenza climatica: a parte gli effetti
diretti del riscaldamento globale, infatti, gli scenari
realizzati dai climatologi mostrano sia un progressivo ampliamento dell’areale
di diverse patologie infettive, sia il potenziale
riemergere dallo scongelamento dei ghiacci di
agenti patogeni antichi.
Per reagire agli effetti economici della pandemia in atto,
l’Europa sta mettendo in campo risorse economiche come mai prima ed è
essenziale che gli investimenti per la ripartenza, oltre che a sostenere il
sistema sanitario, vadano nella direzione di uno sviluppo più
sostenibile e giusto. La ripartenza dopo il Covid-19 è
un’occasione storica che ci mette davanti a un bivio: ripristinare il vecchio
sistema economico fondato su attività inquinanti e distruttive che hanno
avvelenato noi e il Pianeta, o porre una volta per tutte le basi per consegnare
alle future generazioni un mondo verde, sicuro e pacifico?
Noi non abbiamo dubbi in proposito ed è quanto abbiamo detto al Presidente
del Consiglio durante gli Stati Generali delle settimane scorse, quando ha
ricevuto Greenpeace insieme alle altre organizzazioni
ambientaliste. Le proposte Greenpeace, che abbiamo presentato a Giuseppe Conte,
seguono quattro priorità.
- UNO. La prima riguarda la rivoluzione
energetica necessaria ad azzerare le emissioni di CO2 dell’Italia
e contribuire a combattere la crisi climatica. Per far questo abbiamo
commissionato uno studio,
basato su una metodologia internazionale applicata per la prima volta a un
Paese europeo. I risultati ci dicono che nei prossimi dieci anni, decisivi
per la lotta all’emergenza climatica, è possibile abbattere di circa il 60
per cento le emissioni di CO2 per poi azzerarle nel 2040. Il costo della
maggior produzione da fonti rinnovabili verrebbe coperto grazie ai tagli
alla bolletta energetica per le minori importazioni di gas, petrolio e carbone.
Inoltre, questa prospettiva comporterebbe un aumento netto
dell’occupazione diretta nel settore energetico.
Per raggiungere questi obiettivi bisogna operare diversi cambiamenti. Si tratta di
modificare la logica della produzione energetica e di investire anche sulla
rete elettrica e sugli accumuli per gestire quote crescenti di solare ed
eolico, che sono fonti intermittenti. Allo stesso tempo è necessario sveltire
le procedure burocratiche che di fatto sono oggi il principale ostacolo che
ferma il settore delle energie rinnovabili. Per fare ciò è necessaria anche una
convivenza tra fonti come il solare e attività produttive in campo agricolo (le
tecnologie lo permettono), e un forte sviluppo delle “comunità energetiche”:
cittadini che mettono assieme la propria produzione per alimentare, con le
opportune norme, il territorio circostante. Infine, mettere fine a stupide
opposizioni – come quelle contro le pale eoliche – che finiscono col favorire
le fonti fossili che invece vanno progressivamente eliminate.
Allo stesso tempo, è necessario investire sin da oggi nella seconda
fase della decarbonizzazione quando sarà necessario utilizzare su
larga scala combustibili come l’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili. Oggi,
infatti, per produrre idrogeno si usa il gas naturale – cioè un combustibile
fossile – ma è possibile sviluppare le tecnologie per realizzarlo a partire da
elettricità rinnovabile e acqua. Ci sono già investimenti in questa direzione
in Europa ed è necessario iniziare da subito a costruire un elemento tanto
importante per un futuro verde e sostenibile.
- DUE. Lo spostamento verso una
base energetica al 100 per cento rinnovabile è importante anche per combattere
l’inquinamento dell’aria delle nostre città. Una mobilità
alternativa basata sull’elettricità per i servizi pubblici
e per gli spostamenti individuali (dalle bici ai monopattini alle auto in
condivisione o di proprietà) è un pilastro di una politica mirata a
migliorare la qualità della vita in città. Vanno estese le aree verdi –
anche per mitigare l’effetto delle ondate di calore che aumenteranno per
la crisi climatica – e fatti interventi nelle periferie per renderle più
vivibili. Vanno promossi modelli di produzione e consumo che riducano
l’uso di plastica usa-e-getta.
- TRE. Il tema della produzione
di cibo in modo sano ed ecologico è un’altra priorità
fondamentale. Abbiamo visto e raccontato come gli allevamenti
intensivi siano una sorgente di polveri sottili nella
pianura padana e come un modello alimentare basato su un grande consumo di
carne sia nocivo al clima, oltre che com’è noto alla salute. Tornare a una
dieta mediterranea più equilibrata, produrre cibo in modo ecologico
riducendo l’uso di pesticidi, spostare le risorse che oggi finanziano gli
allevamenti intensivi a un’agricoltura più sana e in equilibrio con la
natura: questo va fatto.
- QUATTRO. La quarta priorità è
quella della forte riduzione delle spese militari. Gli
investimenti attuali rispondono a un concetto di sicurezza che la pandemia
ha messo in crisi: il virus infatti non lo si combatte con le armi, ma con
un sistema sanitario territoriale ben attrezzato e con risorse
sufficienti. In questo senso Greenpeace – in coalizione con la Rete
Disarmo e Sbilanciamoci – chiede che le spese
militari del 2021 vengano spostate sulla Sanità. E che l’Italia
smetta di esportare armi a Paesi il cui standard di democrazia e rispetto
dei diritti umani è basso.
Probabilmente vi chiederete se questi punti non siano un libro dei sogni, una bella utopia ma
non realizzabile. Perseguire sogni di cambiamento è parte integrante della storia
di Greenpeace. Per rimanere a un esempio recente e italiano vorrei
ricordare il successo della Campagna Detox di Greenpeace presso il
settore tessile italiano, e non solo. Molte aziende, infatti, si sono impegnate
a eliminare sostanze e processi inquinanti dai propri prodotti, aiutate da un
Consorzio nazionale che ha sede presso il distretto industriale di Prato.
Abbiamo invitato il Presidente Conte a considerare questa esperienza come un
esempio di rilancio di una “competitività sostenibile” in un settore
fondamentale per l’export italiano. A dimostrazione ancora una volta che tra
ambiente e sviluppo non c’è contraddizione.
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