Il governo del Messico ha confessato, per iscritto, la sua intenzione
etnocida. Non si morde la lingua. Citando Rodolfo
Stavenhagen, chiama etnocidio “il processo mediante il quale un
popolo (…) perde la sua identità a causa di politiche concepite per deteriorare
il suo territorio e la fonte delle sue risorse vitali, l’uso della sua lingua e
le sue istituzioni politiche e sociali, così come le sue tradizioni, le sue
forme di arte, le sue pratiche religiose e i suoi valori culturali. Quando
i governi applicano queste politiche, diventano colpevoli di etnocidio”. Questo
è ciò che stanno facendo, e finalmente lo confessano. Senza volerlo. Come se
niente fosse.
Il governo riconosce i soliti danni dello sviluppo. Invece dei
presunti benefici per la gente, ciò che in realtà si è riscontrato con i
progetti di sviluppo sono effetti negativi e deleteri per larghe fasce di
popolazione, specialmente per i popoli indigeni. Questi danni non sono
stati documentati né presi in considerazione in maniera corretta, ma tutti
possiamo pensare a danni economici, sociali e ambientali invece che a benefici.
È così. Lo sappiamo.
Il governo offende la memoria di Guillermo Bonfil e di Rodolfo Stavenhagen
cercando di utilizzarli come copertura ideologica dell’oltraggio. Citano Bonfil
richiamando la sua definizione dell’etno-sviluppo come della capacità sociale
di un popolo di costruire il proprio futuro, utilizzando a tale scopo gli
insegnamenti della propria esperienza storica e le risorse reali e potenziali
della propria cultura, secondo un progetto che corrisponda ai propri valori e
alle proprie aspirazioni future. Trasformando il progetto in
etno-sviluppo, scrivono i funzionari, imprimerebbero una svolta positiva
all’etnocidio.
Preoccupati per le critiche, hanno cambiato l’espressione con
un’altra ancora peggiore: l’etno-sviluppo sarebbe l’opposto positivo
dell’etnocidio, perché il processo di consultazione permetterà che il
progetto non solo rispetti e garantisca i loro diritti, ma sia anche conforme
ai loro valori e alle loro aspirazioni future, per conseguire così lo sviluppo
di comunità sostenibili. Vale la pena di leggere le pagine 404 e 405 del documento del Fondo Nazionale per la Promozione Turistica
(Fonatur), che presenta ufficialmente la Fase 1 del Progetto Treno Maya.[1]
Il documento ha il merito di chiamare le cose con il loro nome: definisce
come genocidio il piano che intende liquidare i popoli maya. Ma è
puro cinismo pretendere che quello sterminio sia un suicidio assistito, a cui
gli interessati si consegneranno con entusiasmo. “Nel pieno
rispetto della legge e della Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale
del Lavoro, sarà intrapreso un processo di consultazione libera, previa e
informata con tutte le comunità che saranno coinvolte nel progetto (…)
con l’intenzione che il progetto porti il massimo beneficio possibile a queste
comunità. Il processo è stato realizzato nei mesi di novembre e
dicembre 2019, e le procedure di verifica sono in corso”.
Si afferma che si farà una determinata cosa, nel futuro, e subito dopo si
dichiara che è già stata fatta. Una consultazione superficiale ed
escludente, ampiamente criticata e impugnata, avrebbe trasformato il progetto
etnocida in etno-sviluppo. Se osassero mostrare ai popoli indigeni ciò che ora
descrivono, che il progetto non consiste in un treno ma nello smantellamento
sistematico del loro modo di vivere, potrebbero scoprire ciò che pensano
realmente. Verrebbero anche a sapere che a quei popoli non piace che altri
decidano per loro, come ha appena scritto al presidente, per la seconda volta,
il Chuun T’aan Maya de Yucatán.[2] Malgrado cinquecento anni di un’aggressione costante, che ha
distrutto buona parte del loro habitat, sono popoli pieni di dignità che
difendono il proprio diritto a continuare ad esistere.
Questi funzionari non sono un gruppo di delinquenti disposti a tutto, come
ai tempi di Peña. Sono qualcosa di peggio. Si tratta di una mentalità
distorta che pretende di essere benevola. Nascondono decisioni atroci,
che qualificano correttamente come genocidio, dietro a discorsi populisti,
luoghi comuni e paroloni tecnici. Hanno ottenuto la complicità di un organismo
delle Nazioni Unite a sostegno del progetto. Secondo il direttore
dell’ufficio per il Messico e Cuba del Programma delle Nazioni Unite per gli
insediamenti umani (UN-Habitat), l’urbanizzazione è sempre
accompagnata da sviluppo e prosperità. Il progetto mira ad estendere
la prosperità nel sud-est e a migliorare il benessere generale della
popolazione. Il suo ufficio aiuterà a vendere il progetto, formulando una
descrizione che permetta di parlare di un intervento regionale che porterà la
prosperità nazionale nella regione del sud-est (si veda “Opacidad en los convenios para ‘transparentar’ el Tren
Maya”, in Proceso, 24 giugno 2020).
Sappiamo bene di che prosperità si tratta. Il Messico
genera alcuni degli uomini più ricchi del mondo e molti dei più poveri. Abbiamo
salari inferiori a quelli dei cinesi. La miseria e la fame crescono ogni
giorno. Questi benefici dello sviluppo si vogliono imporre nel
sud-est, contro la volontà di popoli che continuano a costruire un proprio modo
di vivere e sanno proteggere la propria dignità e la propria autonomia. Non
sono soli e non rimarranno soli in questa lotta per sopravvivere e per
affrontare con dignità il nuovo proposito di sterminarli.
Fonte: “El
atropello redentor”, 29/06/2020
Traduzione a cura di Camminardomandando
Traduzione a cura di Camminardomandando
[1] N.d.t. – una linea ferroviaria di interesse turistico e commerciale
lungo i 1500 km della penisola dello Yucatan, che avrebbe un pesante impatto
sulle popolazioni interessate.
[2] N.d.t. – Un gruppo formato da “uomini e donne maya di
diversi popoli dello Yucatán”, che si sono raggruppati per “mettere insieme la
loro parola e il loro accordo su ciò che sta succedendo nei loro territori”.
Così si definiscono nella lettera inviata al Presidente del Messico il 2 giugno
2020 (“Otra vez se lo venimos a decir: No nos gusta que ustedes
decidan por nosotros”).
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