giovedì 9 luglio 2020

Sviluppare l’etnocidio - Gustavo Esteva



Il governo del Messico ha confessato, per iscritto, la sua intenzione etnocida. Non si morde la lingua. Citando Rodolfo Stavenhagen, chiama etnocidio “il processo mediante il quale un popolo (…) perde la sua identità a causa di politiche concepite per deteriorare il suo territorio e la fonte delle sue risorse vitali, l’uso della sua lingua e le sue istituzioni politiche e sociali, così come le sue tradizioni, le sue forme di arte, le sue pratiche religiose e i suoi valori culturali. Quando i governi applicano queste politiche, diventano colpevoli di etnocidio”. Questo è ciò che stanno facendo, e finalmente lo confessano. Senza volerlo. Come se niente fosse.
Il governo riconosce i soliti danni dello sviluppo. Invece dei presunti benefici per la gente, ciò che in realtà si è riscontrato con i progetti di sviluppo sono effetti negativi e deleteri per larghe fasce di popolazione, specialmente per i popoli indigeni. Questi danni non sono stati documentati né presi in considerazione in maniera corretta, ma tutti possiamo pensare a danni economici, sociali e ambientali invece che a benefici. È così. Lo sappiamo.
Il governo offende la memoria di Guillermo Bonfil e di Rodolfo Stavenhagen cercando di utilizzarli come copertura ideologica dell’oltraggio. Citano Bonfil richiamando la sua definizione dell’etno-sviluppo come della capacità sociale di un popolo di costruire il proprio futuro, utilizzando a tale scopo gli insegnamenti della propria esperienza storica e le risorse reali e potenziali della propria cultura, secondo un progetto che corrisponda ai propri valori e alle proprie aspirazioni future. Trasformando il progetto in etno-sviluppo, scrivono i funzionari, imprimerebbero una svolta positiva all’etnocidio.
Preoccupati per le critiche, hanno cambiato l’espressione con un’altra ancora peggiore: l’etno-sviluppo sarebbe l’opposto positivo dell’etnocidio, perché il processo di consultazione permetterà che il progetto non solo rispetti e garantisca i loro diritti, ma sia anche conforme ai loro valori e alle loro aspirazioni future, per conseguire così lo sviluppo di comunità sostenibili. Vale la pena di leggere le pagine 404 e 405 del documento del Fondo Nazionale per la Promozione Turistica (Fonatur), che presenta ufficialmente la Fase 1 del Progetto Treno Maya.[1]
Il documento ha il merito di chiamare le cose con il loro nome: definisce come genocidio il piano che intende liquidare i popoli maya. Ma è puro cinismo pretendere che quello sterminio sia un suicidio assistito, a cui gli interessati si consegneranno con entusiasmo. “Nel pieno rispetto della legge e della Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, sarà intrapreso un processo di consultazione libera, previa e informata con tutte le comunità che saranno coinvolte nel progetto (…) con l’intenzione che il progetto porti il massimo beneficio possibile a queste comunità. Il processo è stato realizzato nei mesi di novembre e dicembre 2019, e le procedure di verifica sono in corso”.
Si afferma che si farà una determinata cosa, nel futuro, e subito dopo si dichiara che è già stata fatta. Una consultazione superficiale ed escludente, ampiamente criticata e impugnata, avrebbe trasformato il progetto etnocida in etno-sviluppo. Se osassero mostrare ai popoli indigeni ciò che ora descrivono, che il progetto non consiste in un treno ma nello smantellamento sistematico del loro modo di vivere, potrebbero scoprire ciò che pensano realmente. Verrebbero anche a sapere che a quei popoli non piace che altri decidano per loro, come ha appena scritto al presidente, per la seconda volta, il Chuun T’aan Maya de Yucatán.[2] Malgrado cinquecento anni di un’aggressione costante, che ha distrutto buona parte del loro habitat, sono popoli pieni di dignità che difendono il proprio diritto a continuare ad esistere.
Questi funzionari non sono un gruppo di delinquenti disposti a tutto, come ai tempi di Peña. Sono qualcosa di peggio. Si tratta di una mentalità distorta che pretende di essere benevola. Nascondono decisioni atroci, che qualificano correttamente come genocidio, dietro a discorsi populisti, luoghi comuni e paroloni tecnici. Hanno ottenuto la complicità di un organismo delle Nazioni Unite a sostegno del progetto. Secondo il direttore dell’ufficio per il Messico e Cuba del Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN-Habitat), l’urbanizzazione è sempre accompagnata da sviluppo e prosperità. Il progetto mira ad estendere la prosperità nel sud-est e a migliorare il benessere generale della popolazione. Il suo ufficio aiuterà a vendere il progetto, formulando una descrizione che permetta di parlare di un intervento regionale che porterà la prosperità nazionale nella regione del sud-est (si veda “Opacidad en los convenios para ‘transparentar’ el Tren Maya”, in Proceso, 24 giugno 2020).
Sappiamo bene di che prosperità si tratta. Il Messico genera alcuni degli uomini più ricchi del mondo e molti dei più poveri. Abbiamo salari inferiori a quelli dei cinesi. La miseria e la fame crescono ogni giorno. Questi benefici dello sviluppo si vogliono imporre nel sud-est, contro la volontà di popoli che continuano a costruire un proprio modo di vivere e sanno proteggere la propria dignità e la propria autonomia. Non sono soli e non rimarranno soli in questa lotta per sopravvivere e per affrontare con dignità il nuovo proposito di sterminarli.

Fonte: “El atropello redentor”, 29/06/2020
Traduzione a cura di Camminardomandando


[1] N.d.t. – una linea ferroviaria di interesse turistico e commerciale lungo i 1500 km della penisola dello Yucatan, che avrebbe un pesante impatto sulle popolazioni interessate.
[2] N.d.t. – Un gruppo formato da “uomini e donne maya di diversi popoli dello Yucatán”, che si sono raggruppati per “mettere insieme la loro parola e il loro accordo su ciò che sta succedendo nei loro territori”. Così si definiscono nella lettera inviata al Presidente del Messico il 2 giugno 2020 (“Otra vez se lo venimos a decir: No nos gusta que ustedes decidan por nosotros”).


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