martedì 30 giugno 2020

Africa terra di conquista


La spada europea nel Sahel - Mauro Armanino

L’operazione militare francese nel Mali, il cuore del Sahel, era stata battezzata Serval, nome di un felino selvatico originario dell’Africa sub sahariana. Fermare l’avanzata dei presunti djhadisti verso la capitale del Paese era stato il pretesto dell’intervento, iniziato nel mese di gennaio del 2013 e terminata l’anno seguente. Il mese di agosto del 2014 l’operazione Serval è stata sostituita dall’operazione Barkhane, nome di una particolare duna ‘migrante’ col vento nel deserto sahara-saheliano. Costituita da una forza francese di circa 5 mila militari ha la sua sede principale nella capitale del Tchad, N’Djamena.
Lo scopo affermato dell’operazione è quello di fare in modo che gli Stati del Sahel acquisiscano la capacità di assicurare, in modo autonomo, la loro sicurezza. La strategia riposa, almeno sulla carta, su un approccio globale (politico, sicuritario e dello sviluppo). L’operazione Barkhane è di natura anti-insurrezionale contro i gruppi terroristi armati di ispirazione djihadista. Nel frattempo le forze in campo si sono moltiplicate in modo proporzionale ai soldi, ai militari e ai gruppi armati. Si prospetta una guerra di lunga durata che oltre a migliaia di morti ha creato centinaia di migliaia di sfollati, rifugiati e intere zone abbandonate dallo stato. Il panmilitarismo continua a proporsi come profezia che si (auto) avvera: chi di spada ferisce di spada perisce, sta scritto.
Takouba è il nome attribuito alle forze speciali europee che dovrebbero aiutare quelle maliane nella lotta contro il terrorismo nel Sahel. Ora Takouba è una parola in Tamachek, la lingua dei Tuareg, che significa la spada usata nella tradizione per proteggere l’onore. Il detto tuareg, infatti suona così…che i tuoi schiavi proteggano il gregge e che la tua takouba protegga il tuo onore. In ambito bellico, si sa, l’onore delle armi è tenuto in alta stima, molto più della pace che non interessa a quelli che contano. D’altra parte, per parafrasare, la guerra è una cosa troppo importante per lasciarla nella mano dei generali.
E allora ecco che spunta dal cilindro la forza Takouba. Detta forza era stata annunciata, secondo la ministra della difesa francese, Florence Parly, da Emmanuel Macron in occasione del contestato incontro di Pau. Il ‘summit’ era stato convocato dallo stesso ineffabile Macron che voleva mettere a tacere le voci crescenti di dissenso di una parte della società civile dei paesi africani in guerra contro la presenza francese.  L’epidemia indotta del Covid 19 ha poi messo a tacere chiunque avesse avuto velleità alternative alla guerra totale perché gli interessi economici e strategici erano e sono ingenti. E dunque, oltre l’operazione Barkhane, la forza delle Nazioni Unite ‘Minusma’, la presenza di accordi bilaterali di addestramento e formazione militare, il G5 Sahel, altre migliaia di militari, ecco il prossimo arrivo della forza europea battezzata Takouba.
Secondo la ministra Parly i risultati delle operazioni sono assai incoraggianti in particolare nelle zone delle ‘tre frontiere’, Burkina, Mali e Niger. Proprio in questa regione, si registrano gli abusi più consistenti nei confronti dei civili. Alcuni di questi sono stati discussi giorni fa dalla Commisssione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite che ha invitato i militari a terminare le violenze e i massacri sulle popolazioni locali. Secondo la ministra della difesa, estoni e svedesi sono già della partita, e i cechi hanno dato il loro accordo di principio, mentre altri Paesi manifestano interesse per unirsi alla forza europea Takouba. Un primo contingente dovrebbe essere operativo prima della fine dell’estate e comprenderà un centinaio di militari presi dalle forze speciali. L’Unione Europea esprime la sua inquietudine sulla possibile estensione della crisi ad altri Paesi vicini e a quelli della Costa di Guinea, sull’Atlantico. A questo proposito dall’Unione Europea sono stati promessi altri 194 milioni di euro di rinforzo per le forze di sicurezza.
Non si capisce dunque perché si dovrebbe far cessare una guerra che arricchisce molti e che soprattutto conferma che solo con guerra si potrà generare la pace. In effetti le armi, in Africa, non mancano. Sono stimate, secondo lo specialista George Berghezan in una recente intervista, a circa 40 milioni, per buona parte possedute in modo illecito e una dozzina di milioni di armi in Africa Occidentale. Creare le guerre per vendere le armi e usarle per creare le guerre è una storia troppo conosciuta per stupirsi della perenizzazione dei conflitti armati. Senza dimenticare, last but not least, ultimo ma non meno importante, che la corruzione prolifica laddove ci sono somme cospique di denaro. Il Niger, ad esempio, ha investito miliardi di franchi per la sua difesa ed è di queste settimane l’inchiesta per chiarire nomi e mandanti del misfatto. Le prime stime, filtrate dal rapporto, parlano di circa 116 milioni di euro che mancano all’appello. Chi di spada ferisce di spada perisce, così sta scritto.


L’Africa e l’italico spettacolo - Mauro Armanino


L’ipocrisia è un’epidemia che passa di solito inosservata tra le pieghe della realtà. Un buon esempio di ciò è la recente celebrazione del compleanno numero 57 dalla creazione dell’Unione Africana da parte delle autorità istituzionali italiane. Etimologicamente la parola ipocrita, derivata dal greco antico, allude all’attore di teatro e a ragione si può affermare che l’ipocrisia è quanto definisce i commedianti, recitino o meno a soggetto.
Il presidente Sergio Mattarella, il ministro degli Esteri Luigi di Maio e la vice ministra agli Esteri Emanuela Del Re, hanno offerto, ognuno a suo modo  e con modalità proprie, un gratuito spettacolo sulla scena nazionale. Cosciente o incosciente, la coreografia scelta in questa circostanza, bene evidenzia l’immaginario che alcune delle massime autorità della Repubblica perpetuano sul Continente Africano. In effetti, se vogliamo essere onesti, dovremmo proprio partire da lì, dal rispetto nei confronti di questo Continente e dalla presunzione di considerare l’Africa come un ‘partner’, per usare la parola delle signora Del Re. Un paese come l’Italia che ha l’ardire di instaurare un’operazione di questo tipo con un continente di 54 paesi riconosciuti e un paio d’altri in condizione di clandestinità amministrativa, recita.
L’umiltà e un atteggiamento più realista, dovrebbero condurre al riconoscimento che non è possibile presumersi come ‘partner’ di un continente così ricco, diverso e plurale come l’Africa e ricondurlo ad una sola ed unica entità. Ridimensionare le proprie ambizioni, accettare i propri limiti e mettersi, semmai, all’ascolto di questo continente, che meglio sarebbe definire ‘Afriche’, appare più onesto. Non confessato o rimosso, invece, riappare sotto mentite spoglie il fallimentare complesso della breve stagione coloniale italiana in Africa. Cinquant’anni nei quali l’immagine dell’Africa è stata ridotta ad una maschera di falsità, tra rigurgiti massonici, fascisti e capitalisti del ‘posto al sole’ per essere annoverati nella corsa per la spartizione del Continente. L’uso dei gas in guerra, deportazioni ed efferati massacri sono stati per decenni espunti dalla storiografia insegnata nelle scuole della penisola a tutto beneficio della favola degli ‘italiani brava gente’. Il frutto di questo immaginario, riassunto dal ritornello “Faccetta nera bell’Abissina…” non è mai stato messo seriamente processato, come del resto sarebbe avvenuto per la storia, sofferta e ambigua dell’emigrazione italiana. “Certo i problemi non mancano – riconosce la vice ministra – e tra tutti il più grave è la sicurezza. Il terrorismo in Africa continua ad essere una piaga devastante“.
La Commedia dell’Arte, in questi frangenti, riscopre il suo particolare stile. Non c’è un copione e gli attori, anziché imparare a memoria le battute, basano la loro interpretazione su una trama e improvvisano in scena. Quanto i ministri in questione hanno affermato per la circostanza non sono altro che improvvisazioni che possono essere credibili e credute solo da chi continua a lasciarsi ‘confinare’ lo spirito e la memoria. Affermare, come sopra menzionato, che il problema principale dei 54 paesi che compongono il Continente è il terrorismo, appare come una commedia che offende la realtà. Semmai, per buona parte dei Paesi, la prima sicurezza è quella alimentare, seguita dall’accesso all’acqua potabile, al lavoro decente, al rispetto della dignità e alla giustizia sociale….”Il legame tra Italia e Africa è saldo: ci riconosciamo gli uni negli altri perché il destino è comune“, conclude Del Re. Provate a chiedere sull’effettiva solidità di questo legame alle politiche di esternalizzazione delle frontiere europee fino ad Agadez, passando dalla Mauritania, al Marocco, alla Tunisia e alla Libia che, assieme al Niger, si sono adattati a trasformarsi in aziende a cui sub-appaltare il controllo dei migranti ‘irregolari’ dell’amato Continente. Il destino è comune ma fino ad un certo punto, finchè conviene ad una delle parti in causa. Questa si chiama ipocrisia e cioè messa in scena.
Di Maio ricorda il forte impegno dell’Italia nella cooperazione allo sviluppo in Africa, ‘strumento utile a rafforzare la stabilità e la crescita locale che ci consente di agire anche sulle cause della migrazione’. Appunto e come per confermare l’agenda più o meno occulta delle politiche di aiuto italiane ed europee: agire sulle cause della migrazione. Questo implicherebbe un cambiamento radicale di sguardo, di politiche e di azioni conseguenti a ciò che la Del Re, definiva ‘destino comune’. Apparentemente non è ‘comune’ nell’ennesima sanatoria per i migranti ‘invisibili’ che rendono però ‘visibile’ l’economia del Paese, accordata per la durata di sei mesi. Ritornerà poi il reato di clandestinità che obbligherà migliaia di persone a recitare la parte che è stata loro attribuita, braccia utili e persone scomode…“Il Mediterraneo potrà essere fedele alla sua vocazione, storica e geografica, di ponte fra i due continenti…”, ricorda il presidente Mattarella. L’ipocrisia è a questo punto senza confini. I campi di detenzione in Libia, le armi italiane vendute tra l’altro all’Egitto, all’Algeria, al Marocco e Israele, appunto nell’area mediterranea, sono tutto meno che ponti e somigliano semmai a fili spinati nei quali restano impigliati i sogni e le vite di coloro che sperano in un mondo differente. L’anniversario dell’Africa di cui le nostre autorità parlano, si è poi tradotto in una ‘maratona video’ organizzata dalla Farnesina. I… “percorsi di cooperazione internazionale promuovendo la pace, la dignità umana e lo sviluppo sostenibile…”, proposti dal messaggio del presidente della repubblica, si realizzeranno il giorno in cui si smetterà di fare spettacolo con la politica. Inizieranno quando cadranno le maschere dalle parole e dagli occhi.




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