A fronte di un forte aumento
di richiesta di eticità e sostenibilità nel mondo della moda, i
marchi hanno risposto con grandi campagne di marketing e corposi report di
sostenibilità. Nel frattempo però, hanno
continuato a cercare in maniera spietata prezzi sempre più bassi per
la produzione dei propri beni, costringendo i fornitori a lavorare con margini
di profitto ridotti e comprimendo i
salari dei lavoratori già costretti a vivere sulla soglia di
povertà.
I salari da fame sono spesso nascosti in
complesse e segrete catene di fornitura. Per decenni, marchi e distributori
hanno realizzato profitti attraverso un modello a basso costo e ad alta
intensità di manodopera. La mancanza
di trasparenza ha permesso ai marchi di prendere le distanze dai
lavoratori lungo la filiera ed eludere le proprie responsabilità di garantire
salari dignitosi e porre fine allo
sfruttamento nelle catene di fornitura. Inoltre ha impedito ai lavoratori di organizzarsi e
chiedere una retribuzione equa per il loro lavoro.
Le aziende spesso non pubblicano informazioni sulla loro catena di
fornitura perché ciò significherebbe associare il proprio brand ai salari di
povertà che ricevono i lavoratori e le lavoratrici. Questo comportamento è
irresponsabile e non può continuare: per questo motivo la necessità di avere
dati precisi e aggiornati sui fornitori e sui salari effettivamente pagati
lungo la filiera è ormai diventata urgente
“Non abbiamo mai visto dati sui pagamenti dei marchi, sui prezzi che pagano
davvero. Il nostro direttore dice sempre che siamo in perdita. Secondo lui
dovremmo lavorare ancora di più” ci ha raccontato una lavoratrice dalla Croazia.
La pandemia di COVID-19 ha messo ulteriormente a
nudo le disuguaglianze nel settore della moda: i marchi annullano gli ordini e unilateralmente impongono sconti ai
fornitori, costringendo i lavoratori alla miseria. La crisi ha di
fatto frantumato l’immagine
illusoria di una moda sostenibile ed etica creata ad arte dai
marchi negli ultimi anni. I consumatori si informano sempre di più sugli
squilibri di potere nelle catene di fornitura che mantengono i lavoratori in condizioni di povertà.
I lavoratori e le lavoratrici, senza risparmi accumulati, sono vittime delle
chiusure delle fabbriche e dei licenziamenti di massa: la rivendicazione di un salario dignitoso non
è mai stata più urgente.
Il sito Fashion
Checker aumenterà la trasparenza
nell’industria tessile, facendo luce sui bassi salari, sugli
straordinari eccessivi e sullo sfruttamento endemico del settore. Il portale
contiene informazioni dettagliate
sui salari, sulle condizioni delle donne e dei migranti e in generale sulla situazione
di tutti i lavoratori.
Si stima che l’industria tessile impieghi circa 60 milioni di lavoratori,
di cui l’80% donne. I bassi salari hanno pesantemente condizionato le loro
capacità di lottare per migliori condizioni di lavoro e salari più equi,
mantenendo lo status quo.
Accanto alla pubblicazione dei dati, la Clean Clothes Campaign ha elaborato
anche una serie di richieste per i
brand e i decisori pubblici. Le richieste principali riguardano la
necessità di utilizzare parametri
trasparenti e affidabili per il calcolo dei salari e la promozione della dovuta
diligenza obbligatoria in materia di diritti umani lungo tutta la
filiera.
Nonostante un aumento della trasparenza negli ultimi anni, gli attivisti
chiedono ai brand e ai decisori pubblici di pubblicare più dati e velocizzare i processi di trasparenza nelle
filiere internazionali.
· Secondo i Principi Guida delle Nazioni Unite sulle imprese e i diritti umani i marchi sono
obbligati ad assumersi le proprie responsabilità: e ciò nonostante, nel 2020 i
lavoratori e le lavoratrici tessili stanno ancora lottando per diritti umani di
base.
· Nel 2019, su 200 brand intervistati dal Fashion Transparency Index solo il 35% ha pubblicato
informazioni sulle fabbriche e i laboratori di primo livello delle loro
filiere.
La piattaforma contiene informazioni
su 108 brand e centinaia di interviste alle lavoratrici e ai lavoratori in
cinque Paesi produttori. Il sito verrà aggiornato costantemente con
informazioni fornite da lavoratori e attivisti. Ciò consentirà ai consumatori,
ai decisori pubblici e a tutti gli stakeholders di verificare se effettivamente le promesse e le iniziative che i marchi
dichiarano di assumere contribuiscano al raggiungimento dei salari dignitosi per
tutti e tutte.
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