Amiamo il
corpo malato. Amiamo le cicatrici e i morsi lasciati sulla pelle dalle ferite.
Amiamo il corpo anziano, segnato dal tempo, raggrinzito dal sole, pieno di
ricordi. Amiamo il corpo lento. Amiamo l’imperfezione e lo squilibrio, il
labbro screpolato, l’occhio che vede a malapena, la mano che fatica ad afferrare
l’oggetto, il pene moscio, la gamba più corta dell’altra, la colonna vertebrale
che non può raddrizzarsi.
Amiamo il
vero corpo, fragile e vulnerabile, e non il corpo ideale e tirannico della
norma. Amiamo il corpo poetico, perché il linguaggio è solo uno degli organi
astratti del corpo vivo. E amiamo il corpo in tutte le sue dimensioni organiche
e inorganiche.
Il
linguaggio e la tecnologia sono organi collettivi e politicizzati. Come tutti
gli altri organi del corpo, ci sono stati rubati. Non sappiamo quasi niente del
corpo vivo. Occorre quindi amarlo là dove esso si esprime: nella sua tremula
fragilità.
Senza virtù coloniali e patriarcali
Amiamo sia il corpo che nasce sia quello che si avvicina alla morte, questo corpo considerato già obsoleto, inutile, improduttivo, un corpo che ci viene presentato in termini di spesa pubblica, corpo-debito, cifra nelle statistiche su infettati e morti.
Amiamo sia il corpo che nasce sia quello che si avvicina alla morte, questo corpo considerato già obsoleto, inutile, improduttivo, un corpo che ci viene presentato in termini di spesa pubblica, corpo-debito, cifra nelle statistiche su infettati e morti.
Amiamo
questo corpo che, pure se sull’orlo della morte, è ancora sensibile a un raggio
di luce sulla pelle, a una parola, a un suono. Il corpo vivo in tutte le sue
dimensioni è la nostra unica religione. Di conseguenza più un corpo si fa
corpo, quando non presenta alcuna delle virtù patriarcali e coloniali – forza,
produzione, giovinezza, lusso – più lo amiamo.
E questo
anche perché le istituzioni della sanità pubblica, gli ospedali e le case di
riposo, le prigioni, le scuole e le aziende sono i nostri primi nemici: perché
cercano di ridurre il corpo vivo all’anatomia, all’indicatore di pubblica
sanità, alla redditività dei pensionati, alle cifre sulla prevenzione della
criminalità, al livello d’istruzione, al profitto.
I governi
hanno parlato della guerra al virus, ma in realtà hanno fatto la guerra ai
nostri corpi poetici. La nostra pelle è stata strappata, siamo stati privati di
qualsiasi contatto o cura, siamo stati separati da amici e amanti, e i corpi
preziosi dei nostri cari malati di covid-19 sono stati gettati in una fossa
senza nome, privati del rituale che collega la memoria dei morti ai corpi dei
vivi. Lo stato farmacopornografico si è comportato come un Creonte
neoliberista, che c’impedisce di seppellire i nostri morti perché sarebbero
diventati dannosi per una comunità che sogna di essere immunizzata. Noi, i
figli bastardi di Antigone, esigiamo cure e celebrazione dei corpi dei nostri
amati ammalati di covid, sia vivi sia morti.
Gioiosamente virali
Perché non siamo la comunità immunizzata, siamo la comunità malata. Siamo intossicati e tossici. Il mondo al quale abbiamo appartenuto, questo mondo che non parla d’altro che di sanità pubblica, di prevenzione e d’igiene, non ha fatto altro, dal colonialismo a Hiroshima, passando dall’Olocausto e da Chernobyl, che distruggere il corpo vivo. La religione ha fatto del corpo la prigione dell’anima e il nemico di dio. L’ha fustigato, legato, ha cercato di purificarlo con il tormento e il fuoco. Ha voluto negarlo, dominarlo, sublimarlo. La scienza ha trasformato il corpo in un oggetto anatomico, l’ha sezionato, l’ha diviso in organi e in funzioni, ha voluto conoscerlo e controllarlo.
Perché non siamo la comunità immunizzata, siamo la comunità malata. Siamo intossicati e tossici. Il mondo al quale abbiamo appartenuto, questo mondo che non parla d’altro che di sanità pubblica, di prevenzione e d’igiene, non ha fatto altro, dal colonialismo a Hiroshima, passando dall’Olocausto e da Chernobyl, che distruggere il corpo vivo. La religione ha fatto del corpo la prigione dell’anima e il nemico di dio. L’ha fustigato, legato, ha cercato di purificarlo con il tormento e il fuoco. Ha voluto negarlo, dominarlo, sublimarlo. La scienza ha trasformato il corpo in un oggetto anatomico, l’ha sezionato, l’ha diviso in organi e in funzioni, ha voluto conoscerlo e controllarlo.
Lo stato
liberista moderno ha fatto del corpo un bene e una merce, una responsabilità e
una proprietà privata dell’individuo. L’ha disciplinato, normalizzato,
uniformato. Il capitalismo coloniale ha fatto del corpo una forza lavoro, l’ha
schiacciato, gli ha preso non solo tutta la sua energia vitale, ma anche tutto
il suo potere creativo. Ha voluto catturarlo, comprarlo, venderlo, trarne
profitto. Il patriarcato ha trasformato il corpo in forza di riproduzione. L’ha
violentato, lo ha ingravidato. Nel neoliberismo questo corpo distrutto,
devastato, espropriato, catturato… dal quale è stata estratta ogni forza
vitale, è ancora negato. Al suo posto, un avatar edulcorato viene presentato
come un’immagine elettronica condivisa. Ma il corpo resiste.
La distanza
sociale che ci viene imposta riguarda le pratiche politiche e poetiche. Non
possiamo né manifestare né riunirci per amare, per dibattere o per creare. Ma
possiamo incontrarci per produrre e procreare. La società è morta: restano solo
la tele-fabbrica e la famiglia, due sfere nelle quali il corpo vivo è ancora
negato e sfruttato.
Ma noi,
contro ogni legge, amiamo il corpo sieropositivo, tumorale, obeso,
tubercolotico, sterile, claudicante, lebbroso, ansioso, depressivo,
nevrastenico, psicotico, il corpo consumato dalla cirrosi, il corpo sconvolto
dalle crisi cardiache, il corpo in attesa del trapianto di un qualsiasi organo,
vivo o immaginario. Amiamo il corpo malato di covid-19. Vogliamo, come fanno
ogni giorno infermieri e operatori sanitari, accompagnarlo. Siamo
anti-igienici, gioiosamente virali, e contagiosamente vivi.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Nessun commento:
Posta un commento