Nkosi era nato in un villaggio vicino a Dannhauser, in Sudafrica, nel 1989.
Oggi avrebbe compiuto 31 anni. La sua sfortuna è stata quella di essere stato
concepito da una madre sieropositiva e la sua strada era terribilmente segnata.
Nkosi, da subito, ha capito che la sua vita in compagnia dell’AIDS sarebbe
stata breve e ha deciso di intensificare i secondi, di riempire anche gli
attimi provando a ribellarsi a quello che era un vero e proprio razzismo
strisciante: “Sei sieropositivo, non puoi frequentare le scuole”.
Nkosi Johnson non poteva stare a guardare e seppure bambino, seppure fragile,
seppure con un destino segnato ha avuto la capacità di dire no, di protestare
contro questa terribile discriminazione. La scuola elementare di Melville a
Johannesburg ha ceduto davanti alle rimostranze di Nkosi, del suo padre
adottivo e di moltissime persone che si erano schierate dalla sua parte.
Nelson Mandela lo definì “un’icona della lotta per la vita”.
E’ difficile convivere con l’AIDS, è difficile sapere di essere sieropositivo contro la tua volontà e sapere che non ci sono medicine adatte per respingere quella malattia. Nkosi lo sapeva e continuava a studiare. Fu il relatore principale alla tredicesima conferenza internazionale sull’AIDS e dal palco, quel bambino consapevole di essere molto più di un uomo, pronunciò delle parole bellissime, degne di un piccolo principe: “Abbiate cura di noi e accettateci – siamo tutti esseri umani. Siamo normali. Abbiamo le mani. Abbiamo i piedi. Possiamo camminare, possiamo parlare, abbiamo bisogni come tutti gli altri – non abbiate paura di noi – siamo tutti uguali”.
Sono parole semplici, forse semplicissime ma raggiungono le pulsazioni più profonde dell’animo e ci fanno riflettere. Soprattutto di questi tempi.
Quel “siamo tutti uguali” è la frase più naturale e più semplice che un uomo dovrebbe tenere sempre in tasca e mostrarla quando incontra qualcun altro.
Nkosi è morto il primo giugno del 2001. Sono passati 19 anni e questa piccola storia è grande come l’universo.
Nkosi era un bambino. Semplicemente un bambino. Con le sembianze di un principe: un piccolo principe. Non dimentichiamolo.
Nelson Mandela lo definì “un’icona della lotta per la vita”.
E’ difficile convivere con l’AIDS, è difficile sapere di essere sieropositivo contro la tua volontà e sapere che non ci sono medicine adatte per respingere quella malattia. Nkosi lo sapeva e continuava a studiare. Fu il relatore principale alla tredicesima conferenza internazionale sull’AIDS e dal palco, quel bambino consapevole di essere molto più di un uomo, pronunciò delle parole bellissime, degne di un piccolo principe: “Abbiate cura di noi e accettateci – siamo tutti esseri umani. Siamo normali. Abbiamo le mani. Abbiamo i piedi. Possiamo camminare, possiamo parlare, abbiamo bisogni come tutti gli altri – non abbiate paura di noi – siamo tutti uguali”.
Sono parole semplici, forse semplicissime ma raggiungono le pulsazioni più profonde dell’animo e ci fanno riflettere. Soprattutto di questi tempi.
Quel “siamo tutti uguali” è la frase più naturale e più semplice che un uomo dovrebbe tenere sempre in tasca e mostrarla quando incontra qualcun altro.
Nkosi è morto il primo giugno del 2001. Sono passati 19 anni e questa piccola storia è grande come l’universo.
Nkosi era un bambino. Semplicemente un bambino. Con le sembianze di un principe: un piccolo principe. Non dimentichiamolo.
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