Come nel
libro dell’Esodo: l’ottava delle dieci piaghe d’Egitto, l’invasione delle locuste. Ma non
siamo nel regno dei Faraoni. Siamo nell’Africa orientale, nell’Asia e
nell’Europa contemporanee. Dal Kenya alla Tanzania, dall’India al Pakistan sino al
Mediterraneo. In Italia a essere colpita è stata soprattutto la provincia di
Nuoro, in Sardegna.
NEL CUORE
DELL’ISOLA nelle scorse settimane enormi sciami di cavallette hanno
distrutto pascoli e raccolti. Gli agricoltori, che parlano di «catastrofe
biologica», insieme con i Comuni più colpiti (Ottana, Sarule, Orani, Bolotana)
hanno invocato lo stato di calamità naturale. Anche perché le
cavallette, essendo polifaghe, hanno colpito non soltanto le coltivazioni in
campo, ma anche orti e giardini.
«SONO
INARRESTABILI – dice Alessandro Serra, direttore della Coldiretti di
Nuoro – L’unica arma efficace sono stati i predatori naturali, come gli
uccelli, che hanno aiutato a contenere le popolazioni di locuste che dalle
terre incolte, dove si riproducono, sono partite all’assalto dei raccolti. Un
disastro, che si è abbattuto su imprese già colpite dalla crisi economica
causata dal Coronavirus: sei aziende su dieci (il 58%) hanno registrato una
diminuzione dell’attività».
SI È
ARRIVATI A CONTARE circa 25.000 ettari di coltivazioni
distrutti. «I danni sono quantificabili nel 50 per cento delle coltivazioni,
con incidenze per aree che arrivano fino al 60 per cento», spiega Serra. La
Regione Sardegna ha istituito un’agenzia che geolocalizza le superfici colpite.
In questo modo si è potuta misurare, al metro quadro per ogni singola zona, la
presenza delle cavallette. Una procedura che in futuro potrebbe essere
un’ottima arma, ma che per ora permette soltanto di quantificare i danni.
SECONDO
ALLEVATORI e agricoltori nell’invasione delle cavallette non c’è
nulla di casuale. Il fenomeno ha cause molto precise. Gli insetti si
riproducono nelle terre incolte, che in Sardegna sono sempre più numerose. I
produttori le abbandonano perché i prezzi dei prodotti agricoli sono, ormai da
anni e in molti settori, sotto i costi di produzione. Coltivare la terra o allevare
bestiame è un’impresa in perdita. La conseguenza è che in tante zone dell’isola
interi territori si spopolano e un numero crescente di piccoli paesi che vivono
di allevamento e di agricoltura gradualmente si svuotano. Una situazione che,
proiettata nei prossimi decenni, condanna l’isola a un drastico
ridimensionamento demografico.
SECONDO IL
RAPPORTO «L’economia e la società nel Mezzogiorno» pubblicato lo
scorso anno da Svimez, tra poco meno di cinquant’anni la Sardegna si troverà ad
avere 1.181.774 abitanti, esattamente 466.402 in meno rispetto agli attuali
1.648.176. E da uno studio commissionato dalla Regione Sardegna tre anni fa
all’Università di Cagliari emerge un dato allarmante: entro il 2080 trentatré
dei 377 Comuni sardi si «estingueranno» per effetto del saldo demografico
negativo: il numero delle morti supera quello delle nascite. Questi centri
diventeranno villaggi fantasma, con case e strade vuote senza più alcuna
presenza umana. Già oggi, secondo l’Istat, la Sardegna perde 5000 abitanti l’anno.
Ma anche nel resto d’Italia tutta l’area appenninica, dalla Calabria alla
Toscana, ha gli stessi problemi. La causa di fondo dello spopolamento,
individuata nel corso dell’ultimo decennio da un’ormai vasta gamma di ricerche
economiche, sociologiche e demografiche, è il crollo delle economie agricole
delle aree colpite.
CROLLO CHE
HA COME CAUSA principale il prevalere, in un panorama mondiale dominato
delle politiche neoliberiste, di scelte di politica agricola che fanno gli
interessi dei grandi gruppi transnazionali e delle mega catene di
distribuzione. Locuste uguale Monsanto, quindi? Sì, ma non soltanto. Oltre allo
spopolamento delle tradizionali aree di agricoltura non intensiva, infatti,
un’altra causa dell’invasione degli insetti distruttori di raccolti è il
mutamento climatico legato al global warming.
NELL’AFRICA
ORIENTALE e nella penisola arabica i meteorologi hanno rilevato, nel
2018 e nel 2019, un’inconsueta iperattività ciclonica. E in tutto il Corno
d’Africa le piogge, tra lo scorso ottobre e metà novembre, sono state superiori
alla media del 300 per cento e, in Kenya, del 400 per cento. Nel complesso, il
Corno d’Africa è stato colpito da otto cicloni nel 2019, registrando il più
alto numero in un anno dal 1976. Tutti dati legati, secondo una ricerca di
Carbon Brief, il sito web diretto dal giornalista ambientalista Leo Hickman, al
climate change. E siccome la riproduzione delle locuste è favorita – dicono gli
entomologi – da un aumento di umidità in ambienti di solito secchi come quelli
desertici e predesertici, è evidente il nesso tra la loro proliferazione
nell’Africa orientale e nel Corno d’Africa e la maggiore intensità, in quelle
zone, delle piogge, effetto a sua volta del mutamento climatico.
SE QUINDI
GLI AGRICOLTORI sardi e gli allevatori kenyoti sono alla disperazione, è
sì per le cavallette, ma anche perché il mondo gira davvero molto male.
Nessun commento:
Posta un commento