martedì 16 giugno 2020

Le locuste invadono anche la Sardegna - Costantino Cossu



Come nel libro dell’Esodo: l’ottava delle dieci piaghe d’Egitto, l’invasione delle locuste. Ma non siamo nel regno dei Faraoni. Siamo nell’Africa orientale, nell’Asia e nell’Europa contemporanee. Dal Kenya alla Tanzania, dall’India al Pakistan sino al Mediterraneo. In Italia a essere colpita è stata soprattutto la provincia di Nuoro, in Sardegna.
NEL CUORE DELL’ISOLA nelle scorse settimane enormi sciami di cavallette hanno distrutto pascoli e raccolti. Gli agricoltori, che parlano di «catastrofe biologica», insieme con i Comuni più colpiti (Ottana, Sarule, Orani, Bolotana) hanno invocato lo stato di calamità naturale. Anche perché le cavallette, essendo polifaghe, hanno colpito non soltanto le coltivazioni in campo, ma anche orti e giardini.
«SONO INARRESTABILI – dice Alessandro Serra, direttore della Coldiretti di Nuoro – L’unica arma efficace sono stati i predatori naturali, come gli uccelli, che hanno aiutato a contenere le popolazioni di locuste che dalle terre incolte, dove si riproducono, sono partite all’assalto dei raccolti. Un disastro, che si è abbattuto su imprese già colpite dalla crisi economica causata dal Coronavirus: sei aziende su dieci (il 58%) hanno registrato una diminuzione dell’attività».
SI È ARRIVATI A CONTARE circa 25.000 ettari di coltivazioni distrutti. «I danni sono quantificabili nel 50 per cento delle coltivazioni, con incidenze per aree che arrivano fino al 60 per cento», spiega Serra. La Regione Sardegna ha istituito un’agenzia che geolocalizza le superfici colpite. In questo modo si è potuta misurare, al metro quadro per ogni singola zona, la presenza delle cavallette. Una procedura che in futuro potrebbe essere un’ottima arma, ma che per ora permette soltanto di quantificare i danni.
SECONDO ALLEVATORI e agricoltori nell’invasione delle cavallette non c’è nulla di casuale. Il fenomeno ha cause molto precise. Gli insetti si riproducono nelle terre incolte, che in Sardegna sono sempre più numerose. I produttori le abbandonano perché i prezzi dei prodotti agricoli sono, ormai da anni e in molti settori, sotto i costi di produzione. Coltivare la terra o allevare bestiame è un’impresa in perdita. La conseguenza è che in tante zone dell’isola interi territori si spopolano e un numero crescente di piccoli paesi che vivono di allevamento e di agricoltura gradualmente si svuotano. Una situazione che, proiettata nei prossimi decenni, condanna l’isola a un drastico ridimensionamento demografico.
SECONDO IL RAPPORTO «L’economia e la società nel Mezzogiorno» pubblicato lo scorso anno da Svimez, tra poco meno di cinquant’anni la Sardegna si troverà ad avere 1.181.774 abitanti, esattamente 466.402 in meno rispetto agli attuali 1.648.176. E da uno studio commissionato dalla Regione Sardegna tre anni fa all’Università di Cagliari emerge un dato allarmante: entro il 2080 trentatré dei 377 Comuni sardi si «estingueranno» per effetto del saldo demografico negativo: il numero delle morti supera quello delle nascite. Questi centri diventeranno villaggi fantasma, con case e strade vuote senza più alcuna presenza umana. Già oggi, secondo l’Istat, la Sardegna perde 5000 abitanti l’anno. Ma anche nel resto d’Italia tutta l’area appenninica, dalla Calabria alla Toscana, ha gli stessi problemi. La causa di fondo dello spopolamento, individuata nel corso dell’ultimo decennio da un’ormai vasta gamma di ricerche economiche, sociologiche e demografiche, è il crollo delle economie agricole delle aree colpite.
CROLLO CHE HA COME CAUSA principale il prevalere, in un panorama mondiale dominato delle politiche neoliberiste, di scelte di politica agricola che fanno gli interessi dei grandi gruppi transnazionali e delle mega catene di distribuzione. Locuste uguale Monsanto, quindi? Sì, ma non soltanto. Oltre allo spopolamento delle tradizionali aree di agricoltura non intensiva, infatti, un’altra causa dell’invasione degli insetti distruttori di raccolti è il mutamento climatico legato al global warming.
NELL’AFRICA ORIENTALE e nella penisola arabica i meteorologi hanno rilevato, nel 2018 e nel 2019, un’inconsueta iperattività ciclonica. E in tutto il Corno d’Africa le piogge, tra lo scorso ottobre e metà novembre, sono state superiori alla media del 300 per cento e, in Kenya, del 400 per cento. Nel complesso, il Corno d’Africa è stato colpito da otto cicloni nel 2019, registrando il più alto numero in un anno dal 1976. Tutti dati legati, secondo una ricerca di Carbon Brief, il sito web diretto dal giornalista ambientalista Leo Hickman, al climate change. E siccome la riproduzione delle locuste è favorita – dicono gli entomologi – da un aumento di umidità in ambienti di solito secchi come quelli desertici e predesertici, è evidente il nesso tra la loro proliferazione nell’Africa orientale e nel Corno d’Africa e la maggiore intensità, in quelle zone, delle piogge, effetto a sua volta del mutamento climatico.
SE QUINDI GLI AGRICOLTORI sardi e gli allevatori kenyoti sono alla disperazione, è sì per le cavallette, ma anche perché il mondo gira davvero molto male.


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