Guido Dalla
Casa: «La grande attualità dell’ecologia profonda»
Impera, oggi, anche mosso dalle migliori intenzioni, un approccio
all’ecologia che si può definire superficiale, tutto finalizzato al benessere
dell’uomo, visto come distinto dalla biosfera. «L’ecologia profonda è tutta
un’altra cosa»: nelle parole di Guido Dalla Casa la portata
provocatoria del suo messaggio.
Guido, lei è uno dei principali esponenti in Italia di quella che viene
definita ecologia profonda, molto differente da quell'ecologia superficiale che
vede comunque l'uomo al centro di tutto. Ci spiega la differenza tra i due
approcci?
L’approccio dell’ecologia superficiale è quello attualmente in
atto e portato avanti dall’ecologismo classico: tenere pulito l’ambiente, preservare
qualche pezzetto di mondo naturale (i Parchi), cercare di contenere i
cambiamenti climatici, mantenere l’aria respirabile, e così via. Ma tutto resta
finalizzato al benessere dell’uomo, visto ancora come al di fuori e al
di sopra della Biosfera. Nulla viene cambiato della filosofia di fondo
dell’Occidente.
Il linguaggio dei movimenti “di superficie” tende a restare quello
dell’economia. Questi movimenti spesso vogliono far credere che, passando alle
energie alternative e con qualche riciclo, si possa andare avanti con gli
andamenti di oggi, o quasi. Le espressioni sviluppo sostenibile,
crescita verde, green economy, economia circolare sono state inventate
per questo scopo, cioè dare solo una verniciata di verde al mondo attuale, e
andare avanti con “la crescita”.
Secondo una definizione ufficiale, lo “sviluppo sostenibile” è “lo
sviluppo che soddisfa le esigenze del presente senza compromettere la
possibilità, per le future generazioni, di soddisfare i propri bisogni”. Tale
definizione è completamente antropocentrica e non tiene in alcun conto la vita
degli altri esseri senzienti e tutte le relazioni che li collegano, cioè la
buona salute dell’Organismo di cui facciamo parte. Anzi, considera l’uomo
ancora “al di fuori” e “al di sopra” della Natura. Il termine “sviluppo”
significa ancora in realtà “crescita economica”.
La visione dell’ecologia superficiale è completamente antropocentrica.
Inoltre continua ad usare un linguaggio economico e a valutare ogni azione su
base monetaria. Salvo qualche eccezione, non rinnega l’idea che lo
sviluppo economico costituisca il benessere.
L’approccio dell’ecologia profonda è completamente diverso ed è
basato su questi punti essenziali:
- Dobbiamo
renderci consapevoli fino in fondo che siamo una specie animale anche
facilmente classificabile (Classe Mammiferi, Ordine Primati). Siamo come
un tipo di cellule in un Organismo, cioè l’Ecosfera, o la Terra. Pertanto
il primo valore deve essere la buona salute di tutto l’Organismo;
- Le
entità naturali hanno un valore “in sé” e non in funzione umana.
Tutti gli esseri senzienti (altri animali, piante, ecosistemi, esseri
collettivi) hanno diritto ad una vita degna.
- Questo
Pianeta può supportare un numero di umani molto inferiore a quello
attuale. Inoltre, per il bene del Complesso, dobbiamo essere
quasi-vegetariani come gli altri Primati;
- Tutti i
ragionamenti sui processi possibili vanno condotti nel quadro di un
paradigma sistemico-olistico e non lineare;
- La
Natura va considerata nel suo aspetto profondamente spirituale e
quindi l’etica deve riguardare tutti gli esseri
senzienti: non è un’esclusiva umana.
La visione dell’ecologia profonda è ecocentrica. Il benessere è
sostanzialmente la serenità mentale.
Come liberarsi, dunque, da questa visione antropocentrica? Ed è necessario
secondo lei farlo per attuare una vera rivoluzione ecologica?
Ci possiamo liberare da questo folle antropocentrismo prendendo
consapevolezza della situazione attuale e delle conoscenze che ci vengono da molte
culture umane (orientali e native) oggi fagocitate dall’Occidente con violenza
fisica o psicologica. Possiamo anche chiedere aiuto alla scienza, ma solo alla
scienza che confina con la filosofia e non a quella scienza (l’unica divulgata)
che confina con la tecnologia e diviene subito schiava dell’economia e
dell’industria. Infatti, la scienza conosce la posizione della nostra specie in
Natura da circa due secoli (Lamarck, 50 anni prima di Darwin) ma non se ne è
ancora accorta: dopo due secoli, si può dire che la Scienza non crede più
neanche a sé stessa. Per quanto riguarda l’economia, non dobbiamo dimenticare
che troppo spesso assieme allo sviluppo economico, aumentano le psicopatie,
l’infelicità, i suicidi, il disagio sociale. Inoltre, ricordiamo che lo
sviluppo economico è un’anomalia nata solo in una cultura umana in un
determinato momento della sua storia: ha poi invaso tutto il mondo.
Per la sostenibilità, una definizione corretta dovrebbe essere di questo
tipo: “L’andamento di un sistema è sostenibile se può
durare a tempo indefinito senza alterare in modo apprezzabile l’evoluzione del
Sistema più grande di cui fa parte”. Questa definizione tiene conto
della vita dell’Ecosfera, non ha riferimenti antropocentrici, ed ha anche
connotazioni etiche e spirituali se consideriamo che nei sistemi complessi si
manifestano fenomeni mentali.
Un aiuto può venire anche dalla constatazione che sono esistite 5000
culture umane e ben poche avevano la mania dell’economia e della crescita. Non
voglio dire che si deve copiare o ritornare ai tempi passati, ma semplicemente
constatare che si può vivere anche senza queste ossessioni, con modelli
culturali completamente nuovi, ma compatibili con la Vita dell’Ecosistema
complessivo, di cui siamo parte.
A mio parere, abbandonare l’antropocentrismo è assolutamente necessario per
ottenere una vera rivoluzione ecologica, cioè pervenire a modelli culturali
compatibili con il sistema totale (l’ecosfera, o la terra, o Gaia) e quindi in
grado di persistere a tempo indefinito.
Che messaggio si sente di dare ai giovani che oggi si mobilitano nelle
piazze con grande partecipazione per chiedere misure a tutela del clima e del
pianeta?
Innanzitutto: consapevolezza. Occorre rendersi conto fino in
fondo della vastità e della gravità della situazione. Forse non molti si
rendono completamente conto che la pretesa della crescita economica è quella di
rifare il mondo, cioè mettere strade, impianti, fabbriche al posto di foreste,
paludi, savane, ecosistemi marini, cioè sostituire sostanza vivente con materia
inerte.
I ragazzi che si occupano di questi problemi di solito non hanno mezzi per
poter fare qualcosa di pratico su larga scala. Tuttavia, hanno già ottenuto un
grande risultato: la gente si sta accorgendo della situazione, almeno in parte.
Inoltre, il mondo ufficiale non si aspettava una simile partecipazione alle
manifestazioni e sta tentando di rimediare “inglobando” il movimento. In
sostanza gli industrialisti-sviluppisti (multinazionali, politicanti,
filo-economicisti, industriali, sindacati) dicono: “Bravissimi! Continuate
così! Siamo con voi!” Poi non fanno niente e continuano come prima. Bisogna
riuscire ad evitare che il movimento finisca in questo modo.
Poi, attenzione alle quantità. Solo come esempio: le quantità
attuali di rifiuti (plastica, rifiuti industriali, scarichi vari, gas-serra)
sono assolutamente ingestibili e in crescita continua. È come sperare di
fermare un allagamento portando via dei secchi d’acqua, ma lasciando aperti i
rubinetti che lo provocano. Per ottenere qualcosa di duraturo, è necessario un
cambio radicale di mentalità, di paradigma, di pensiero di fondo. E deve
sparire il primato dell’economico, che ci sta perseguitando. Le azioni di
“ecologia superficiale”, come la sola decrescita o la sostituzione delle fonti
energetiche, sono utili per attenuare i guai, ma sono
insufficienti senza una modifica molto più profonda del pensiero generale, del
paradigma in cui vengono inquadrate le nostre azioni e le nostre ricerche.
A chi accusa questi giovani di “catastrofismo” bisogna rispondere: i veri
catastrofisti sono coloro che vogliono continuare con i valori e gli andamenti
di oggi, visto che la crescita economica significa: sovrappopolazione,
estinzione di specie, perdita di biodiversità, cambiamenti climatici, inquinamento,
aria irrespirabile, distruzione di ecosistemi (foreste!), sofferenza per tutti
gli esseri senzienti, insomma è la fine di quanto c’è di bello nel mondo. E
questi sarebbero gli ottimisti?
È utile ricordare questo avvertimento, che nel 1969 ha dato Maha Thray
Sithu U Thant, all'epoca segretario generale dell'Onu: “Non vorrei sembrare
troppo catastrofico, ma dalle informazioni di cui posso disporre come
segretario generale si trae una sola conclusione: i Paesi membri dell’ONU hanno
a disposizione A MALAPENA DIECI ANNI per accantonare le proprie dispute e
impegnarsi in un programma globale di arresto della corsa agli armamenti, di
risanamento dell’ambiente, di controllo dell’esplosione demografica, orientando
i propri sforzi verso la problematica dello sviluppo. In caso contrario, c’è da
temere che i problemi menzionati avranno raggiunto, entro il prossimo decennio,
dimensioni tali da porli al di fuori di ogni nostra capacità di controllo”.
Cinquant’anni sono passati invano!
Si può azzardare qualche previsione per il futuro?
Ognuno può fare le ipotesi che crede, ma tenterò di schematizzarle in tre
voci:
- Lo
sviluppo economico continua ad oltranza fino a manifestazioni palesi di
impossibilità, in un mondo terribilmente degradato;
- Il
sistema ha un periodo di transizione (con probabili eventi traumatici),
seguìto dalla nascita di culture con filosofie diverse,
non-antropocentriche e non-materialiste;
- Il
sistema si porta gradualmente e dolcemente verso una situazione
stazionaria con la fine delle premesse di pensiero che l’hanno generato (antropocentrismo e materialismo).
La prima ipotesi è la più tragica, ed è quella perseguita dalle autorità
“ufficiali”. La seconda mi sembra la più probabile. La terza è la più
ottimista, ma è assai poco probabile, perché non c’è più tempo. Il nostro
sforzo dovrebbe essere quindi quello di rendere meno traumatico possibile il
periodo di transizione della seconda ipotesi. Non è un impegno da poco.
Nessun commento:
Posta un commento