Quando è stata lanciata in Francia, ha avuto un successo incredibile: più
di quattordici milioni di clienti, 33 referenze di prodotti e la presenza fissa
in gran parte dei supermercati. Parliamo della “marca del consumatore”, un
brand promosso dal basso che negli ultimi tre anni e mezzo si è imposto sugli
scaffali della maggioranza dei grandi esercizi commerciali francesi.
Senza pubblicità né campagne di marketing, se non il passaparola e un uso
intelligente dei social network, le confezioni con la scritta “C’est qui le patron?” (Chi è il
padrone?) hanno conquistato spazi di mercato mai visti prima. “Per il latte
siamo diventati il marchio più venduto, dietro solo a quello di primo prezzo”,
sottolinea Nicolas Chabanne, l’uomo che nel 2016 ha avuto l’intuizione che
sta rivoluzionando le dinamiche di funzionamento della filiera agroalimentare e
il modo stesso di fare la spesa. Un cambiamento che dalla Francia si sta
diffondendo in diversi altri paesi, tra cui l’Italia: il 25 giugno le prime
confezioni di pasta con la marca del consumatore arriveranno nei punti vendita
Carrefour in tutto il paese.
L’idea è semplice e innovativa al tempo stesso: attraverso un questionario
online, le persone indicano le modalità di produzione preferite per un
determinato prodotto. Sono loro a stringere un patto con i produttori, a cui
chiedono una certa qualità in cambio di un prezzo stabilito e bloccato per tre
anni che li remunera il giusto, come indica in modo evidente la stessa
confezione.
L’esperienza francese
Racconta Chabanne che l’idea gli è venuta nel pieno di una delle cicliche crisi del latte. In Francia il prezzo era bassissimo tanto che, strozzati dai debiti, diversi produttori si erano tolti la vita. Lui ha interpellato i consorzi e chiesto loro quale sarebbe stato il prezzo giusto a cui vendere il prodotto. “Nessuno aveva una risposta precisa. Allora ci siamo messi a sedere e abbiamo preso una calcolatrice”. Alla fine, sono riusciti a stabilire che con appena otto centesimi in più al litro, i produttori passavano dalla crisi più nera alla possibilità di garantirsi un reddito. “In media ogni francese consuma cinquanta litri di latte all’anno. Con il piccolo aumento avrebbe speso quattro euro in più all’anno. Abbiamo fatto questa scommessa, proponendo l’equazione ai consumatori: siete disposti a spendere otto centesimi in più per un prodotto che remunera il giusto i produttori?”. La scommessa è stata vinta: l’imprenditore si dava come obiettivo la vendita di cinque milioni di litri all’anno. Ne ha venduti 170 milioni in tre anni, con una crescita così rapida che non ha eguali nella storia recente dell’agroalimentare. Al latte sono seguite le uova, poi il burro, la pizza, la carne, il miele e decine di altri prodotti.
Racconta Chabanne che l’idea gli è venuta nel pieno di una delle cicliche crisi del latte. In Francia il prezzo era bassissimo tanto che, strozzati dai debiti, diversi produttori si erano tolti la vita. Lui ha interpellato i consorzi e chiesto loro quale sarebbe stato il prezzo giusto a cui vendere il prodotto. “Nessuno aveva una risposta precisa. Allora ci siamo messi a sedere e abbiamo preso una calcolatrice”. Alla fine, sono riusciti a stabilire che con appena otto centesimi in più al litro, i produttori passavano dalla crisi più nera alla possibilità di garantirsi un reddito. “In media ogni francese consuma cinquanta litri di latte all’anno. Con il piccolo aumento avrebbe speso quattro euro in più all’anno. Abbiamo fatto questa scommessa, proponendo l’equazione ai consumatori: siete disposti a spendere otto centesimi in più per un prodotto che remunera il giusto i produttori?”. La scommessa è stata vinta: l’imprenditore si dava come obiettivo la vendita di cinque milioni di litri all’anno. Ne ha venduti 170 milioni in tre anni, con una crescita così rapida che non ha eguali nella storia recente dell’agroalimentare. Al latte sono seguite le uova, poi il burro, la pizza, la carne, il miele e decine di altri prodotti.
Chabanne, che si definisce “il rappresentante della grande famiglia dei
consumatori”, non ama parlare di rivoluzione. “Mi sembra più che altro
un’evoluzione, in cui i consumatori diventano parte attiva della filiera e non
subiscono scelte fatte altrove, spesso a scapito della qualità e del benessere
dei produttori”. Il cambiamento ha permesso di invertire in modo radicale una tendenza che negli ultimi anni si è imposta nella grande
distribuzione organizzata: quella di comprimere sempre di più i margini degli
altri attori della filiera, basando il proprio marketing soltanto su una
politica di riduzione dei prezzi.
A questa dinamica, la marca del consumatore risponde con il coinvolgimento
delle persone, rendendo trasparenti i meccanismi di produzione e anche la parte
di prezzo che arriva al produttore. “Probabilmente il movimento ha funzionato
perché chi acquista la marca del consumatore si sente di partecipare al bene
comune”, sottolinea Chabanne. “Siamo partiti da un assunto semplice: nessuno
vuole essere complice di un sistema che crei sofferenza, danneggi l’ambiente e
impoverisca i territori”.
Tutti possono compilare i questionari online per i singoli prodotti. Per
entrare a far parte in modo attivo del movimento di “C’est qui le patron?” è
sufficiente versare un euro e diventare socio di una cooperativa che vota in
modo democratico indirizzi futuri, interagisce con i produttori, stabilisce
rapporti con i punti vendita. L’accordo iniziale con Carrefour, che ha creduto
nel progetto, ha dato una spinta all’iniziativa: oggi i prodotti a marca del
consumatore sono una presenza imprescindibile in tutti i principali
supermercati francesi.
La pasta dal prezzo giusto
“Anche in Italia partiremo con Carrefour, con cui abbiamo avuto un’interlocuzione positiva”, racconta Enzo Di Rosa, fondatore del marchio italiano. “Abbiamo scelto come primo prodotto un simbolo del nostro paese: la pasta”. Spaghetti, penne rigate e fusilli a marca del consumatore compariranno a fine giugno sugli scaffali, con una confezione blu su cui sarà scritto: “Questo prodotto remunera il giusto prezzo i produttori di grano”. Le modalità di produzione sono state stabilite attraverso un questionario aperto, a cui hanno risposto alcune migliaia di consumatori.
“Anche in Italia partiremo con Carrefour, con cui abbiamo avuto un’interlocuzione positiva”, racconta Enzo Di Rosa, fondatore del marchio italiano. “Abbiamo scelto come primo prodotto un simbolo del nostro paese: la pasta”. Spaghetti, penne rigate e fusilli a marca del consumatore compariranno a fine giugno sugli scaffali, con una confezione blu su cui sarà scritto: “Questo prodotto remunera il giusto prezzo i produttori di grano”. Le modalità di produzione sono state stabilite attraverso un questionario aperto, a cui hanno risposto alcune migliaia di consumatori.
Per questo primo esperimento, la stragrande maggioranza delle persone che
hanno partecipato ha chiesto che l’origine fosse al 100 per cento italiana,
grano duro da agricoltura sostenibile, mulino annesso al pastificio,
trafilatura in bronzo e remunerazione per l’agricoltore di quattrocento euro a
tonnellata. “È un valore più alto del 35 per cento rispetto a quello del mercato”,
sottolinea Di Rosa. “A questo prezzo gli agricoltori potranno avere un guadagno
e sperimentare produzioni sostenibili”. Con le caratteristiche decise dalla
maggioranza di quanti hanno risposto al questionario, il prezzo di vendita
della confezione da cinquecento grammi sarà di 1,07 euro. Un prezzo più alto
rispetto a quello proposto dalla maggior parte delle marche, ma più basso
rispetto a quello dei marchi che si sono imposti nella fascia più alta dei
consumatori.
Sarà il gruppo veneto Sgambaro a produrre la pasta. “Quest’iniziativa è per
me un laboratorio, con cui proveremo a sperimentare modalità più virtuose di
funzionamento della filiera”, sottolinea Pierantonio Sgambaro, amministratore
delegato dell’azienda. “Partiremo con quantità piccole, come una start-up, per
capire se il mercato italiano è pronto”, dice questo imprenditore della pasta
che già da trent’anni promuove politiche di filiera integrata, lavorando in
sintonia con gli agricoltori e producendo pasta rigorosamente con grano duro di
origine italiana. “Oggi venderla non è facile. C’è un’enorme concorrenza e una
politica dei prezzi feroce. Se questo esperimento consentirà di cambiare rotta,
sarà un grande passo in avanti”.
Alla pasta seguiranno a breve anche la passata di pomodoro, il latte e le
uova. “Con il questionario, i consumatori diventano ‘consumattori’, cioè parte
attiva della filiera. Aspirano ad assumere il controllo diretto di quello che
hanno nel piatto, sostenendo direttamente i produttori agricoli”, dice Di Rosa.
In un panorama in cui gli agricoltori sono spesso costretti a subire i prezzi
imposti dalla distribuzione, l’alleanza con i consumatori può fare la
differenza, tanto più che i margini di guadagno ci sono per tutti, anche per
gli esercizi della grande distribuzione organizzata. “Siamo tutti d’accordo che
la marca del consumatore non debba mai partecipare a iniziative promozionali o
sconti. E questo va bene anche alla grande distribuzione, che avrà i suoi
utili, come è giusto che sia”.
In un contesto di grande crisi, in cui il potere d’acquisto delle famiglie
è destinato inevitabilmente a calare, riuscirà la marca del consumatore a
sfondare da noi come è già successo in Francia? Di Rosa non ha dubbi. “In ogni
paese dove è stata lanciata, ha registrato crescite straordinarie”. Oggi la
marca del consumatore è presente a vari stadi di sviluppo in Spagna, nel Regno
Unito, in Belgio, in Grecia, in Germania e fuori dall’Europa, negli Stati Uniti
e in Marocco. “In Grecia, dove il latte è stato messo a scaffale alla fine di
maggio, ne hanno venduto 30mila litri in due settimane. E questo dimostra che
anche in contesti di crisi l’iniziativa funziona”.
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