È
ripreso negli ultimi mesi l’assalto dell’isola da parte dei signori del vento e
del sole con decine di progetti presentati per la realizzazione di mega
impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili (FER).
Si tratta di 8 impianti eolici
e 53 impianti fotovoltaici, per un totale
di quasi 5.000 ettari di superficie occupata, di cui intorno a 3.000 di suolo
agricolo, e 2.240 MW di potenza complessiva, un valore addirittura superiore al
totale installato su tutta l’isola fino ad ora.
Oltre
a compromettere irreversibilmente il patrimonio ambientale e paesaggistico
sardo, se approvati, tali progetti non farebbero altro che accrescere il già
confuso quadro energetico, complicando ulteriormente la gestione della
produzione e della distribuzione elettrica.
Ad
oggi la Sardegna è caratterizzata da un eccesso di potenza installata -
suddivisa quasi equamente tra fossile e rinnovabile -, da una rete elettrica
obsoleta e un’insufficienza di impianti di accumulo. E l’ingombrante presenza
delle centrali di produzione da fossile, oltre a ostacolare una corretta e
necessaria transizione rinnovabile, impedisce da un lato di sfruttare
adeguatamente le fonti rinnovabili già installate e dall’altro genera una
sovraproduzione di energia che arriva a sfiorare il 50% del fabbisogno isolano.
Infatti, la sola centrale Sarlux – un impianto alimentato dagli scarti di
lavorazione del petrolio, il Tar, equiparato a fonte rinnovabile e grazie al quale usufruisce di sostanziosi incentivi, pari nel solo 2017 a quasi 363 milioni di euro - immette costantemente in rete a
pieno regime, arrivando da sola a soddisfare oltre il 40% del nostro fabbisogno elettrico, mentre le altre due centrali
a carbone di Portovesme e Fiumesanto, oltre ad essere
poco flessibili, svolgono il compito di sopperire alle inevitabili
oscillazioni della domanda e della incostante produzione delle rinnovabili non programmabili.
Italia
Nostra Sardegna, la Confederazione Italiana Agricoltori della Sardegna, i Cobas
Cagliari e l’Unione Sindacale di Base della Sardegna ritengono che le vere
priorità riguardano l’ammodernamento della rete, un’attenta programmazione dei
consumi, la messa a disposizione di idonei sistemi di accumulo e il taglio
drastico dei consumi.
Gli
interventi di ammodernamento della rete si rendono indispensabili per una più
efficace gestione della produzione da FER. La rete, infatti, si sviluppa
attualmente lungo una grande dorsale nord-sud ma, affinché risponda
adeguatamente allo sviluppo delle rinnovabili, deve essere modificata
profondamente e trasformata in una sorta di ragnatela così da essere adeguata
alla produzione distribuita.
Allo stesso modo, per far fronte alle inevitabili variazioni della produzione non programmabile, dipendente dalle condizioni metereologiche
(sole e vento), si deve intervenire, laddove possibile, programmando
accuratamente e flessibilizzando i consumi - in modo da ridurre i picchi della
domanda e, al contempo, sfruttare in maniera ottimale i periodi di massima
erogazione della potenza -, e realizzando impianti di accumulo in grado di
immagazzinare energia quando vi è eccesso di produzione e di rilasciarla quando
la domanda supera la capacità
produttiva. Ciò nondimeno, tali interventi devono accompagnarsi ad una terza, e
forse ancora ancora più importante azione: il taglio drastico degli sprechi e
l’efficientamento dei consumi.
Per
questa ragione, come dimostrato nella proposta presentata al MISE, “Sardegna, Isola Zero CO2 – phase out 2025”,
gli sforzi devono essere doverosamente indirizzati alla riorganizzazione
profonda del presente piuttosto che all’inutile e dannosa proliferazione di grandi impianti
di produzione. In questo scenario, infatti, ogni ulteriore aggiunta
di impianti di produzione non farebbe altro che andare a peggiorare
una situazione
già pesantemente compromessa. Nondimeno, è importante sottolineare come già oggi la maggior
parte degli impianti di
produzione presenti, siano essi da fonte fossile o rinnovabile, hanno scopo
quasi esclusivamente speculativo e i pesanti costi tra incentivi e cattiva
gestione ricadono sulle bollette di noi utenti. Ulteriori impianti
significherebbero maggiori inefficienze e maggiori costi in bolletta.
Paradossalmente, in queste condizioni, l’incremento degli impianti FER non
farebbe altro che rendere necessario un ancora maggiore apporto delle centrali fossili.
Come
programmare il futuro?
Con l’approvazione della legge n. 8 del 2020, l’Italia,
recependo parzialmente la direttiva europea, ha finalmente dato il via alla
costituzione delle “comunità energetiche”, consentendo con ciò la produzione
rinnovabile e l’autoconsumo energetico all’interno di comunità fino ad un
limite di 200kW di potenza installata. È questo un primo importante passo verso
la democratizzazione della produzione elettrica che potrebbe consentire in
tempi non troppo lontani di coprire buona parte del fabbisogno elettrico civile
sfruttando adeguatamente i tetti e le superfici delle aree urbane e
industriali.
Restano
però irrisolti alcuni nodi, relativi appunto al controllo delle risorse e alle
tutele del paesaggio, dell’ambiente e della salute, ai costi delle infrastrutture, oltreché al diritto
al lavoro e a vivere
in un ambiente bello, confortevole e
sano.
Non è più procrastinabile per la
Sardegna l’adozione di un articolato piano di programmazione e di buone
pratiche, in cui si stabiliscano obiettivi, principi e criteri di sviluppo. Un piano
strategico in cui si tenga conto
nella reale misura delle esigenze
del territorio e dei fabbisogni, e in cui il piano energetico sia una sua logica
derivazione e ad esso contemperato, ovvero in cui il settore
energetico sia parte integrante e funzionale di una strategia di sviluppo generale del
territorio. Così come anche previsto dal decreto semplificazioni del 16
luglio 2020, all’art. 50 comma c, i progetti e le opere necessarie per
l'attuazione del Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC),
devono tenere “conto delle
caratteristiche del territorio, sociali, industriali, urbanistiche,
paesaggistiche e morfologiche (e delle aree sia a terra che a mare
caratterizzate dalla presenza di siti di interesse nazionale da bonificare
ovvero limitrofe) con particolare riferimento all'assetto idrogeologico e alle vigenti
pianificazioni”. In tale piano di programmazione devono
trovare forma concreta, in
termini di piani attuativi e finanziamenti, i processi, i cronoprogrammi e gli
obbiettivi stabiliti di riduzione
delle emissioni e di consumo di
combustibili fossili e, allo stesso modo, di bonifica ambientale,
sostenibilità, salvaguardia ambientale e sanitaria, tutela del suolo, del
paesaggio e del patrimonio. In questi termini,
onde evitare di incorrere nella realizzazione di ulteriori, inutili,
dannose e insensate
opere di grande impatto, i processi di
infrastrutturazione da FER, oltre ad essere coerenti col piano generale, e
perciò rispettosi dei criteri di cui sopra, devono essere contestualizzati,
integrarsi correttamente nel territorio, e tenere conto degli impatti e delle
trasformazioni prodotte di tipo territoriale, paesaggistico, economico e
sociale.
Tra
i progetti di impianti FER attualmente al vaglio delle autorità competenti, ve
ne sono diversi fotocopia, e altri che, pur interessando formalmente aree
industriali, come anche visibile dalle foto aeree, in realtà ricadono su superfici
coltivate e impiegate come suolo agricolo. Si tratta nel complesso di meri
progetti speculativi il cui reale scopo è usufruire dei ricchi incentivi
pubblici messi a disposizione. Le società proponenti, inoltre, non hanno
obblighi di alcun genere in merito ai costi di gestione e regolazione del
sistema. Sono privati i profitti e collettivi i costi. Non vi sono, per
esempio, obblighi relativamente alla realizzazione di impianti di accumulo da
parte degli attori privati o di adeguamento della rete in funzione della
realizzazione di nuovi impianti di produzione industriali.
Il
piano strategico di programmazione di cui è indispensabile dotarsi trova il suo
senso nel rilancio e nella rilocalizzazione delle attività produttive, di
concerto con le amministrazioni e le comunità interessate, attraverso un reale ed efficace processo
partecipativo, puntando sulla diffusione delle comunità energetiche, su attività a basso consumo energetico
e a basso o nullo impatto ambientale, a cominciare proprio
dall’agricoltura
in cui la Sardegna, nonostante l’ampia disponibilità di suolo fertile, arriva a
importare oltre l’85% di alimenti.
In
questo contesto, l’autorizzazione di nuovi impianti di produzione industriale
deve prevedere l’addebito per le società proponenti dei costi per i sistemi di
accumulo e per l’adeguamento del sistema elettrico e i produttori devono
garantire l’erogazione di energia, ciò che significa dare garanzia di fornitura
quando realmente necessario e non in dipendenza delle condizioni metereologiche e del prezzo
di mercato. L’energia deve essere considerata a tutti gli effetti bene comune, e in questo senso devono
essere disincentivate tutte le attività speculative. Gli
incentivi nelle loro diverse forme devono pertanto essere gradualmente
eliminati e la produzione e la gestione dell’energia devono finire nuovamente
sotto il controllo pubblico.
Per
quanto sopra esposto, si chiede la sospensione di tutti i progetti in corso per
la realizzazione di grandi impianti di produzione da FER, con l’annullamento
immediato di tutti i progetti ricadenti in aree agricole comprese quelle che
sulla carta risultano aree industriali, e l’avvio di un tavolo di concertazione
in cui si mettano le basi per l’elaborazione di un piano strategico generale.
Italia
Nostra Sardegna - Confed. Italiana Agricoltori Sardegna - Cobas Cagliari - USB
Sardegna
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