Fukushima, dilaga la pandemia nucleare - Manlio Dinucci
Non è Covid, per cui la notizia è passata quasi inosservata: il Giappone scaricherà in mare oltre un milione di tonnellate di acqua radioattiva dalla centrale nucleare di Fukushima. Il catastrofico incidente di Fukushima fu innescato dallo tsunami che, l’11 marzo 2011, investì la costa nord-orientale del Giappone, sommergendo la centrale e provocando la fusione dei noccioli di tre reattori nucleari. La centrale era stata costruita sulla costa appena 4 metri sul livello del mare, con dighe frangiflutti alte 5 metri, in una zona soggetta a tsunami con onde alte 10-15 metri. Per di più vi erano state gravi mancanze nel controllo degli impianti da parte della Tepco, la società privata di gestione della centrale: al momento dello tsunami, i dispositivi di sicurezza non erano entrati in funzione. Per raffreddare il combustibile fuso, è stata per anni pompata acqua attraverso i reattori.
L’acqua, divenuta radioattiva, è stata stoccata
all’interno della centrale in oltre mille grandi serbatoi, accumulandone 1,23
milioni di tonnellate. La Tepco sta costruendo altri serbatoi, ma a metà del
2022 anch’essi saranno pieni. Dovendo continuare a pompare acqua nei reattori
fusi, la Tepco, in accordo col governo, ha deciso di scaricare in mare quella
finora accumulata, dopo averla filtrata per renderla meno radioattiva (non si
sa però in quale misura) con un processo che durerà 30 anni. Vi sono inoltre i
fanghi radioattivi accumulatisi nei filtri dell’impianto di decontaminazione,
stoccati in migliaia di container, ed enormi quantità di suolo e altri
materiali radioattivi. Come ha ammesso la stessa Tepco, particolarmente grave è
la fusione avvenuta nel reattore 3 caricato con Mox, un misto di ossidi di
uranio e plutonio, molto più instabile e radioattivo. Il Mox per questo e altri
reattori giapponesi è stato prodotto in Francia, utilizzando scorie nucleari
inviate dal Giappone. Greenpeace ha denunciato i pericoli derivanti dal
trasporto di questo combustibile al plutonio per decine di migliaia di
chilometri. Ha denunciato inoltre che il Mox favorisce la proliferazione delle
armi nucleari, poiché se ne può estrarre più facilmente plutonio e, nel ciclo
di sfruttamento dell’uranio, non esiste una netta linea di demarcazione tra uso
civile e uso militare del materiale fissile. Si sono accumulate finora nel
mondo (secondo stime del 2015) circa 240 tonnellate di plutonio per uso
militare diretto e 2.400 tonnellate per uso civile, con cui si possono però
produrre armi nucleari, più circa 1.400 tonnellate di uranio altamente
arricchito per uso militare.
Basterebbero poche centinaia di chilogrammi di plutonio a provocare il
cancro ai polmoni ai 7,7
miliardi di abitanti del pianeta, e il plutonio resta letale per un periodo
corrispondente a quasi diecimila generazioni umane.
Si è così accumulato un potenziale
distruttivo in grado, per la prima volta nella storia, di far scomparire la specie
umana dalla faccia della Terra. I bombardamenti nucleari di Hiroshima e
Nagasaki; le oltre 2.000 esplosioni nucleari sperimentali nell’atmosfera, in
mare e sottoterra; la fabbricazione di testate nucleari con una potenza
equivalente a oltre un milione di bombe di Hiroshima; i numerosi
incidenti con armi nucleari e quelli ad impianti nucleari civili e militari,
tutto questo ha provocato una contaminazione radioattiva che ha colpito
centinaia di milioni di persone.
Una parte dei circa 10 milioni annui di morti per cancro nel mondo
documentati dall’Oms è attribuibile agli effetti a lungo termine delle
radiazioni. In dieci mesi, sempre secondo i dati dell’Organizzazione mondiale
della sanità, il Covid-19 ha provocato nel mondo circa 1,2 milioni di morti.
Pericolo da non sottovalutare, ma che non giustifica il fatto che i mass media,
in particolare quelli televisivi, non abbiano informato che oltre un milione di
tonnellate di acqua radioattiva sarà scaricata in mare dalla centrale nucleare
di Fukushima, col risultato che, entrando nella catena alimentare, farà
ulteriormente aumentare le morti per cancro.
fonte: il manifesto, 03.11.2020
Fukushima,
scaricare l’acqua radioattiva nell’oceano è un’azione ingiustificabile: va
fermata - Giuseppe Onufrio*
Dall’incidente di Fukushima – dieci anni il prossimo 11 marzo – per
raffreddare il combustibile fuso presente nei tre reattori sono stati impiegati
circa 3 metri cubi d’acqua all’ora. A quest’acqua che si è andata contaminando
nel tempo, si aggiunge quella che entra con le piogge e, purtroppo, con i
tifoni tropicali e gli allagamenti.
Tutta quest’acqua è stata sinora trattata da un sistema (contestato da Greenpeace) a osmosi inversa (Alps) e, dopo il trattamento, stoccata in grandi serbatoi. In questo momento dunque a Fukushima sono conservate oltre 1,2 milioni di tonnellate di acqua trattata e radioattiva che il governo giapponese vuole scaricare in mare.
Un recente rapporto di Greenpeace – “The reality of the Fukushima radioactive water
crisis” – mostra come quest’acqua trattata sia ancora a tutti
gli effetti contaminata da radionuclidi
ben oltre i limiti di legge e, in particolare dal Carbonio-14 (C-14) e dallo
Stronzio-90. In essa sono inoltre presenti notevoli quantità di trizio (isotopo
radioattivo dell’idrogeno).
Il Carbonio-14 (C-14)
ha un tempo di dimezzamento superiore ai 5mila anni e si concentra nel pesce
oltre un migliaio di volte rispetto a quanto faccia il trizio (che si dimezza
in circa 12 anni) ed è un elemento potenzialmente pericoloso per i danni genetici. Lo Stronzio-90, con un tempo di
dimezzamento di quasi 30 anni, invece si comporta chimicamente come il calcio e
dunque ha la tendenza ad accumularsi nelle ossa.
Per molto tempo il governo del Giappone e la Tepco, proprietaria
dell’impianto, hanno sostenuto che l’acqua di trattamento conterrebbe solo
Trizio, mentre una analisi indipendente svolta da Greenpeace – e un recente
rapporto della stessa Tepco – ha
invece rivelato come vi sia presente anche C-14. Cosa prevedibile, dato che il
sistema di trattamento Alps non è stato progettato per rimuovere quest’ultimo
elemento.
“A quasi dieci anni dal disastro, la Tepco
e il governo giapponese stanno ancora coprendo l’entità della crisi in corso a
Fukushima”, ha commentato Shaun Burnie, autore
del rapporto ed esperto nucleare di Greenpeace Germania. “Per anni hanno
deliberatamente trattenuto informazioni dettagliate sul materiale radioattivo
presente nell’acqua contaminata. Non sono riusciti a spiegare a cittadini e
cittadine di Fukushima, al Giappone e più in generale e ai Paesi vicini – come
la Corea del Sud e la Cina – che l’acqua contaminata da scaricare nell’Oceano Pacifico contiene livelli pericolosi di
Carbonio-14. Questi, insieme ad altri radionuclidi contenuti nell’acqua,
saranno un pericolo per migliaia di anni, con il rischio di causare danni
genetici. Un motivo in più per cui questi piani devono essere abbandonati”.
Il rapporto di Greenpeace include anche
un’analisi sulla decisione della Tepco di non utilizzare la migliore tecnologia di decontaminazione disponibile (Best Available Technology), appartenente all’azienda
statunitense Purolite. Nonostante questa tecnologia abbia dimostrato la sua
capacità di ridurre le concentrazioni di radioattività a livelli non
rilevabili, Tepco ha optato per la tecnologia Alps, gestita da aziende
nipponiche, non esperte in questo settore, come Toshiba e Hitachi.
Secondo il rapporto, il fallimento di Alps
è una conseguenza di ripetute decisioni sbagliate.
Si stima che circa il 72% dell’acqua stoccata – pari a circa 800mila tonnellate
– andrebbe infatti sottoposta a ulteriore trattamento.
“Il governo giapponese e la Tepco hanno
costruito una serie di miti nel tentativo di giustificare i loro piani di
rilascio in mare dell’acqua contaminata”, aggiunge Shaun Burnie. “Non ci sono
ostacoli tecnici, ingegneristici o legali per garantire ulteriore spazio di
stoccaggio per l’acqua contaminata trattata da Alps, è una questione di volontà politica. Ma la decisione del governo di
rifiutare l’opzione di stoccaggio si basa su una questione di opportunità:
l’opzione meno costosa è scaricare nell’oceano Pacifico. La politica del
governo giapponese di scaricare scorie nucleari nell’oceano
Pacifico non si basa su principi scientifici o di protezione ambientale e non
ha alcuna giustificazione”, conclude.
Una analisi sulla fattibilità dello
stoccaggio a lungo termine dell’acqua contaminata è infatti già stata prodotta
da una agenzia governativa giapponese – secondo cui nel lungo termine l’acqua
potrebbe essere stoccata ben oltre il 2022, sia dentro che fuori dal sito di
Fukushima – che però l’ha poi scartata, per i problemi di coordinamento logistico che comporterebbe. Per il
governo giapponese è quindi meglio scaricare tutto in mare.
*Direttore Esecutivo di
Greenpeace Italia
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