Tunisia: l’Italia coinvolta
nello “scandalo dei rifiuti” - Piera Laurenza
Un’azienda
di rifiuti italiana è coinvolta in uno scandalo che ha suscitato
l’interesse dell’opinione pubblica tunisina, dopo che un’emittente televisiva
privata ha denunciato un traffico di rifiuti, ritenuto illegale, pari a circa
120 tonnellate.
In particolare, nella sera del 2
novembre, il canale “El-Hiwar Ettounsi”, nel corso del programma televisivo “Le
quattro verità”, ha rivelato l’esistenza di un contratto tra un’azienda
tunisina ed una società italiana, che prevede il trasferimento di 120
tonnellate di rifiuti l’anno dall’Italia alla Tunisia, in cambio di circa 48
euro per ogni tonnellata importata. I rifiuti in questione sono di varia
natura, ma includono altresì rifiuti ospedalieri, il che viola le norme vigenti
in Tunisia, sia nazionali sia internazionali. È stato un sito
di informazione tunisino a rivelare che la ditta italiana coinvolta
potrebbe essere di origine campana. In particolare, si tratterebbe della SRA
Campania, con sede a Napoli. La parte tunisina coinvolta, invece, a detta della
fonte, potrebbe essere Soreplast.
A seguito del servizio
dell’emittente tunisina, il Ministero degli Affari locali e dell’Ambiente ha
annunciato di aver disposto l’apertura di un’inchiesta, volta ad indagare sul
contratto stipulato tra la parte italiana e tunisina, autorizzando altresì una
“missione di monitoraggio”. Stando a quanto riferito da fonti tunisine,
dall’Italia sarebbero state esportate in Tunisia 70 container con circa 120
tonnellate di rifiuti, mentre più di altri 200 container sono stati depositati
presso il porto di Sousse, in attesa di essere smistati. Il Ministero tunisino
non ha smentito l’esistenza del contratto denunciato, ma ha riferito di non
aver concesso nessun tipo di licenza o autorizzazione alla società tunisina
coinvolta e che adotterà le misure necessarie per far fronte a tale tipo di
traffico. Parallelamente, il direttore delle Dogane tunisine, Haytem Zaned, ha
dichiarato che i 70 container sono stati sigillati ed è probabile che verranno
rispediti in Italia, mentre gli altri 212 si trovano ancora a Sousse.
L’affare era stato scoperto nel
mese di luglio scorso dalle autorità doganali tunisine. Tuttavia, è soltanto
dopo il servizio del 2 novembre che il caso ha ottenuto l’attenzione della
società e del governo tunisini. In Tunisia, le attività di raccolta, trasporto
e gestione dei rifiuti sono regolate da una serie di convenzioni
internazionali, firmate dal Paese nordafricano, oltre a misure nazionali. In
particolare, gli imprenditori e le aziende interessate devono ottenere
l’approvazione dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti, sviluppare
uno “studio di impatto ambientale” e presentarlo all’Agenzia nazionale per la
protezione dell’ambiente (ANPE). Tali agenzie, collegate al Ministero
dell’Ambiente, sono responsabili dell’approvazione dei fascicoli presentati.
Per quanto riguarda gli accordi
internazionali, la Tunisia ha firmato la Convenzione di Basilea sul controllo
dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e il loro smaltimento,
adottata a Basilea il 22 marzo 1989 e la Convenzione di Bamako sul divieto di
importazione in Africa di rifiuti pericolosi e sul controllo dei movimenti
transfrontalieri e la gestione dei rifiuti pericolosi nel continente. Infine,
Tunisi ha anche firmato i codici europei dei rifiuti.
La "migrazione"
dei rifiuti dall'Italia alla Tunisia - Ferruccio Bellicini
Si allarga a macchia d’olio
l’indignazione per la notizia, svelata durante la serata del 2 novembre dal
canale televisivo privato “El-Hiwar Ettounsi” nel corso del programma
“Le quattro verità”, di tonnellate di rifiuti, forse anche
ospedalieri, arrivati sulle sponde del Paese nord africano, con partenza
dall’Italia.
Mentre continua il tira e molla,
con contatti di livello pressoché giornalieri fra il governo italiano e le
autorità tunisine (l’ultimo un colloquio telefonico fra il Presidente tunisino
Kaïs Saïed e Giuseppe Conte), per trovare soluzioni che possano arginare le
partenze clandestine di esseri umani verso l’Italia, si é chiuso un occhio, e
forse tutti e due, per un fenomeno che, quasi certamente, si protrae da tempo:
il trasporto di rifiuti italiani verso la Tunisia.
Sulla legalità di questo business
se ne stanno occupando il governo e la magistratura tunisini. Saranno
questi ultimi a determinare se il tutto si é svolto nel rispetto delle leggi
nazionali e internazionali relative alla circolazione di rifiuti, sia urbani
che tossici.
Come ha scritto in un articolo
apparso il 5 novembre il sito sicurezzainternazionale.luis “in
Tunisia, le attività di raccolta, trasporto e gestione dei rifiuti sono
regolate da una serie di convenzioni internazionali, firmate dal Paese
nordafricano, oltre a misure nazionali. In particolare, gli imprenditori e le
aziende interessate devono ottenere l’approvazione dell’Agenzia nazionale per
la gestione dei rifiuti (ANGED), sviluppare uno “studio di impatto ambientale”
e presentarlo all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPE).
Tali agenzie, collegate al Ministero dell’Ambiente, sono responsabili
dell’approvazione dei fascicoli presentati. Per quanto riguarda gli
accordi internazionali, la Tunisia ha firmato la Convenzione di Basilea sul
controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e il loro
smaltimento, adottata il 22 marzo 1989 e la Convenzione di Bamako sul divieto
di importazione in Africa di rifiuti pericolosi e sul controllo dei movimenti
transfrontalieri e la gestione dei rifiuti pericolosi nel continente. Infine,
Tunisi ha anche firmato i codici europei dei rifiuti”.
Dal momento in cui la notizia é
diventata di dominio pubblico in novembre, pur essendo il fatto stato segnalato
dalla dogana tunisina lo scorso luglio, a causa di una discordanza fra quanto
dichiarato dall’importatore, materiale plastico riciclabile, e il reale
contenuto dei containers, si sono susseguiti in ordine sparso ma incessante,
interrogazioni parlamentari, dichiarazioni di politici, ambientalisti,
giornalisti, magistrati, e chi più ne ha più ne metta. Senza parlare dei social
nei quali, fra l’altro, sono filtrate valutazioni pesudo-sociologiche,
scomodando il colonizzatore (l’Italia) che avrebbe invaso di rifiuti il
colonizzato (la Tunisia) o di una Tunisia diventata “ il bidone della
spazzatura dell’Italia”.
Sabato 7 novembre le organizzazioni
della società
civile di Sousse hanno indetto una marcia di protesta in città per
denunciare lo scandalo sull'introduzione di rifiuti dall'Italia in
Tunisia. Condannando questa situazione, che avrebbe “trasformato la
Tunisia in una discarica dei Paesi europei”, i manifestanti hanno gridato forte
che “la colpa é della politica dei vari governi che, impegnandosi con continui
prestiti contratti all'estero, hanno affogato il Paese in un mare di debiti,
costringendolo ad accettare ogni compromesso.”
Fermo restando il diritto alla
libertà di pensiero e parola rimangono i fatti: un affare privato, fra una
società italiana ed una tunisina, del quale pero’ devono essere definiti i
contorni per valutarne la legalità operativa. Le due società coinvolte
sarebbero una italiana con sede a Napoli e una tunisina con sede a Sousse
(Tunisia centro). Alcuni organi di stampa ne hanno anticipato i nomi, ma per
ora si tratta di illazioni, non essendoci conferme ufficiali. Da alcune
indiscrezioni si é saputo che la società privata tunisina avrebbe
chiuso i battenti nel 2012 per riprendere i suoi servizi solo di recente.
Secondo il portavoce del tribunale
di primo grado di Sousse, a tal fine è stata aperta un'indagine giudiziaria.
Parlando all’antenna radio Mosaic FM, ha detto che “questa indagine è stata
aperta in seguito alla raccolta di alcuni dati: sono recentemente arrivati in
Tunisia 70 container di rifiuti dall'Italia, che ne trasportano 120 tonnellate.
Più altri 200 container che sono bloccati da luglio nel porto di Sousse.”
Contemporaneamente, il direttore
delle Dogane tunisine, Haytem Zaned, ha confermato che “i 70 container sono
stati sigillati ed è probabile che verranno rispediti in Italia, mentre gli
altri 212 si trovano ancora a Sousse.” Il 3 novembre il Ministero degli
Affari Locali e dell'Ambiente ha annunciato l'apertura di un'indagine senza
nominare le aziende coinvolte. Ha detto di “non aver concesso alcuna
autorizzazione alla società tunisina e che "non esiterà a prendere tutte
le misure legali appropriate di fronte a questo tipo di
operazioni". L'azienda tunisina riceverebbe 48 euro per ogni
tonnellata di rifiuti importata.
Secondo quanto pubblicato dalla
testata online Webdo il 9 novembre, “il Presidente della commissione per
la riforma amministrativa e la lotta alla corruzione, Badreddine Gammoudi, si è
dichiarato non convinto dalle spiegazioni del Ministro dell'Ambiente e degli
Affari Locali in materia di importazione di rifiuti dall'Italia. Il
Ministro ha cercato di presentare un 'capro espiatorio' senza destare sospetti
all'interno del suo dipartimento", ha detto dopo
un'audizione. Gammoudi ha ribadito “la presenza di sconfinamenti nelle più
alte strutture del Ministero dell'Ambiente, sottolineando che il caso è ormai
un reato di corruzione e non un sospetto”. Secondo il deputato, “gli alti
funzionari del suddetto ministero sono implicati in questo "crimine"
per frode, complicità e coinvolgimento diretto nel processo.”
Anche gli ambientalisti
tunisini hanno fatto sentire, forte, la loro voce. Adel Hentati,
consigliere di molte ONG e
specialista della protezione ambientale tunisina, ha confermato che “tra i
rifiuti filmati ci sono scarti ospedalieri, la cui raccolta è regolata da
normative specifiche vista la pericolosità che rappresentano.”
L'esperto non ha mancato di
ricordare che “la maggior parte delle discariche in Tunisia sono controllate da
aziende italiane” affermando che “il nostro Paese ha vissuto solo di recente
queste pratiche scioccanti e denunciando il blackout operato dal Ministero
dell'Ambiente.” “E’ un crimine ambientale punito dalla legge” ha ribadito,
in una dichiarazione rilasciata all’agenzia di stampa AFP. Abdelmajid
Dabbar, Presidente e fondatore della ONG “Tunisie ecologie”, strenuo difensore
della flora e della fauna tunisine, da noi contattato, ci ha rilasciato la
seguente dichiarazione: ” la nostra assciazione si é unita con un
collettivo di oltre trenta altre associazioni iniziando una campagna mediatica
per chiede alle autorità competenti di vietare che ogni tipo di rifiuto possa
entrare in Tunisia.”
In un comunicato da loro diffuso,
molto duro, si legge: “ chiediamo di perseguire le società implicate e i
suoi rappresentanti in tribunale sulla base del diritto penale tunisino.
Infatti, in base all'articolo 14 della legge n. 2015-26 del 7 agosto 2015,
relativo alla lotta al terrorismo, questo gruppo di ONG resta fermo di fronte
alla questione dell'importazione di rifiuti. Chiunque danneggi l'ambiente, in modo tale da
compromettere l'equilibrio dei sistemi alimentari e ambientali, o delle risorse
naturali, o da mettere in pericolo la vita degli abitanti o la loro salute, è
colpevole di un reato di tipo terroristico”.
Certamente “l’affaire” non
terminerà qui.
Rifiuti italiani
clandestinamente seppelliti in Tunisia - Natale Salvo
Un traffico clandestino ed
illegale di rifiuti, provenienti dall’Italia e, in particolare dalla Campania,
e che include rifiuti speciali pericolosi quali quelli ospedalieri, è stato
scoperto in Tunisia.
282 containers pieni di rifiuti
italiani sono stati bloccati e sequestrati nel porto di Sousse, dalla Dogana
tunisina. Sui documenti di trasporto appariva, falsamente, che i containers
contenessero « rifiuti di plastica riciclabile ».
Il
portavoce della Dogana tunisina, Haythem Zannad, ha dichiarato che
« grazie alla sua organizzazione che i rifiuti non sono stati sepolti
in Tunisia ».
A darne per prima notizia, lo
scorso 2 novembre, l’emittente
televisiva “El-Hiwar
Ettounsi”, per come ha riportato l’indomani il
giornale online francofono Kapitalis.
La Convenzione di Bamako vieta di
spedire rifiuti in Africa: ma l’Italia ci prova lo stesso!
« Un’azienda tunisina [la
Soreplast, secondo quando riportato dalla stampa, NdR] importava ogni anno
dall’Italia quasi 120.000 tonnellate di rifiuti, violando la
legislazione nazionale e internazionale, come la Convenzione di
Bamako, che vieta l’importazione di rifiuti in Africa », spiega
l’inchiesta giornalistica.
« In cambio –
spiega la fonte -, la società tunisina avrebbe ricevuto 48 euro a
tonnellata » dall’azienda italiana coinvolta.
In proposito, il “Forum
tunisino per i diritti economici e sociali” (FTDES) ha richiesto, alle
autorità competenti, di « obbligare il partner italiano [cioè la
società SRA Campania] ad accettare la riesportazione di
questi rifiuti ».
La scoperta sarebbe avvenuta grazie
alla solerzia della Dogana tunisina, che ha voluto vederci chiaro sui documenti
di trasporto e sull’effettivo contenuto dei containers.
Evidentemente la stessa cura non sarebbe stata impegnata alle frontiere
italiane.
A prima vista potrebbe apparire una
notizia di normale criminalità. Ma in Tunisia non
la pensano così.
Sembra infatti che la Dogana
tunisina « sarebbe stata oggetto di pressioni da parte di politici e funzionari,
che si dicevano vicini al proprietario della società tunisini ».
Scandalo in Tunisia, silenzio sulla
stampa di regime italiana
La deputata Nesrine
Laâmari (Réforme nationale) ha sostenuto chiaramente – per
come riporta
sempre Kapitalis – che la ditta campana « era stata incaricata
dal governo italiano di smaltire questi rifiuti ».
Tra le prime reazioni politiche, a
seguito del sollevarsi dell’indignazione generale, ancora Kapitalis
precisa che « il Ministero degli Affari Locali e
dell’Ambiente ha annunciato, giovedì 12 novembre 2020, che il capo del governo,
Hichem Mechichi, ha deciso di licenziare Fayçal Bedhiafi, Direttore
Generale dell’Agenzia Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (Anged) ».
La stampa di regime italiana
non ha dato notizia dei fatti. Per ritrovarla sui nostri notiziari,
occorre scomodare siti web minori come Unimondo,
grazie ad un post di Ferruccio Bellicini, e MeteoWeek,
con un articolo di Chiara Ferrara.
Dal traffico illecito di rifiuti,
l’Italia “fattura” 20 miliardi annui
Ivan
Cimmarusti su “Il Sole 24 ore”, comunque, già lo scorso giugno, in
un’inchiesta, scriveva di « un business criminale che solo in Italia vale
20 miliardi di euro annui per smaltite nelle megadiscariche senza regole
dell’area sub-sahariana”.
Il giornalista, nell’articolo,
spiegava: « Camorra, mafie estere, faccendieri italiani e spedizionieri
magrebini senza scrupoli hanno fiutato l’affare miliardario. Perché
nei fatti il ciclo illecito dei rifiuti ha un vantaggio per l’impresa che non
intende sostenere spese cospicue. Facciamo un esempio. Una tonnellata di
plastiche e gomme per essere regolarmente smaltita può costare tra 200-250
euro. Seguendo la via illegale la spesa non supera 100-150 euro ».
L’assurdità di tali avvenimenti
verterebbe sul fatto che le società italiane che commerciano illegalmente
i rifiuti sarebbero regolarmente autorizzate. Sarebbero sufficienti, quindi,
effettivi controlli incrociati, anche finanziari, tra i dati di chi produce i
rifiuti, di chi li trasporta e si chi li smaltisce per giungere a scoprire gli
illeciti.
Ma, probabilmente, fa comodo anche
all’Italia, ed ai politici italiani, che continui il traffico clandestino di
rifiuti con l’Africa.
Italia-Tunisia, lo scandalo
dei rifiuti che non esiste
L'Italia è sotto i riflettori in
Tunisia, dopo che nei giorni scorsi l’emittente “Al Hiwar al Tunisi” ha
trasmesso un reportage sull'importazione di rifiuti italiani da parte di una
società tunisina. Il programma “Le quattro verità”, nella puntata dello scorso
2 novembre, ha "denunciato" l'esistenza di un contratto tra
un’azienda tunisina ed una società italiana che, secondo l'emittente, includerebbe
il trasferimento di 120 tonnellate di rifiuti l’anno dal nostro Paese alla
Tunisia. Il caso ha attirato l'attenzione dell'opinione pubblica tunisina e ha
spinto a parlare di scandalo dei rifiuti tra i due Paesi. I dati complessivi
sull'importazione e l'esportazione dei rifiuti raccontano però una storia molto
più complessa. Non è un segreto che l'Italia sia costretta a portare fuori dal
Paese una mole importante di rifiuti. Ma non si tratta di un'abitudine soltanto
italiana. Secondo quanto riporta uno studio dell'Agenzia europea dell'Ambiente
(Eea) sull'economia circolare pubblicato nell'ottobre del 2019, solo
"dall’inizio dello scorso anno, l’Ue ha esportato circa 150 mila
tonnellate di rifiuti di plastica al mese".
Invece, prendendo come riferimento
i rifiuti speciali (cioè quelli prodotti soprattutto da industrie e aziende),
scopriamo che l'Italia nel 2018 ne ha esportati per un volume pari a circa 3,5
milioni di tonnellate. Secondo il rapporto Ispra 2020 sui rifiuti speciali, i
maggiori quantitativi di questi ultimi nel 2017-2018 sono stati destinati alla
Germania, complessivamente 957mila tonnellate (il 27,5 per cento del totale). A
seguire troviamo Austria (322mila tonnellate) e Francia (267mila tonnellate).
L'Italia però è anche un Paese che importa un'elevata quantità di rifiuti
speciali, per un volume che nel 2017-2018 è stato pari a 7,3 milioni di
tonnellate. Si tratta soprattutto per il 78,7 per cento di rifiuti metallici,
spiega l'Ispra. Proprio dalla Germania, nel 2017-2018, abbiamo importato oltre
2,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. A seguire troviamo la Svizzera
(1,07 milioni) e la Francia (un milione circa di tonnellate di rifiuti). Tra i
Paesi da cui importiamo rifiuti speciali troviamo la stessa Tunisia (4.913
tonnellate).
C'è poi tutta la problematica dei
rifiuti urbani. Solo per fare un esempio rilevante, quelli prodotti nella
Regione Lazio nel 2017 sono stati pari a 2,97 milioni di tonnellate (oltre
50mila tonnellate in meno rispetto all'indagine di Ispra relativa all’anno 2016).
Si tratta di una parte significativa dei rifiuti urbani nazionali, dal momento
che quelli prodotti nel Lazio costituiscono circa la metà di quelli prodotti al
Centro Italia (46 per cento) e il 10 per cento di quelli prodotti sull’intero
territorio nazionale. Nel 2017, oltre l’80 per cento dei rifiuti
indifferenziati nel Lazio (circa 1,3 milioni di tonnellate) è stata inviata a
impianti di trattamento meccanico-biologico regionali, che con processi
meccanici e biologici modificano i rifiuti, generando prodotti che in seguito
devono trovare una collocazione definitiva. Circa 174 mila tonnellate delle
rimanenti sono state trattate, sempre all’interno della Regione, in impianti a
trattamento meccanico, mentre circa 90 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati
sono poi state inviate in parte fuori Regione, in parte all’estero. In Austria,
ad esempio, sono state mandate 50 mila tonnellate di rifiuti, tutte dal Comune
di Roma, tutte legalmente...
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