lunedì 23 novembre 2020

Documentare e divulgare i danni ambientali causati dai conflitti armati - Elena Camino

 

Del Conflict and Environment Observatory (CEOBS) – Osservatorio su Conflitto e Ambiente –  ho già fatto cenno in un recente articolo  a proposito del degrado ambientale nei territori palestinesi.

Questo Osservatorio è nato nel 2018 (dopo alcuni anni di esperienze e ricerche con il Progetto Toxic Remnants of War Project, che intendeva mettere in luce i danni ambientali causati da guerre e le loro conseguenze sulle comunità umane.) con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza e la comprensione delle conseguenze umane e ambientali dei conflitti e delle attività militari, e con l’intenzione di contestare l’idea che l’ambiente sia una ‘vittima silenziosa’ dei conflitti armati.  Il sito di CEOBS mette a disposizione i risultati delle sue ricerche perché diventino una risorsa per studiosi, politici, attivisti, giornalisti interessati alle dimensioni ambientali dei conflitti armati.  CEOBS collabora con istituzioni internazionali, società civili, università ecc. non solo per documentare e diffondere dati sui danni ambientali, ma per contribuire all’istituzione di leggi che possano contribuire a ridurre i danni umani e ambientali conseguenti ai conflitti e a promuovere forme di assistenza alle comunità colpite.

Dichiarazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Il 13 ottobre scorso durante una riunione della Prima Commissione dell’Assemblea Generale dell’ONU, il Direttore del CEOBS, Doug Weir, rilasciò una dichiarazione che riassumo qui di seguito.

L’ambiente globale – egli affermò – sta vivendo molteplici crisi: climatica, di biodiversità, di inquinamento. è responsabilità dei cittadini, degli stati, delle istituzioni agire per affrontare questa situazione. La Prima Commissione dell’ONU non fa eccezione. I conflitti armati non solo provocano danni persistenti all’ambiente, ma creano e sostengono condizioni in cui il danno ambientale prosegue inavvertito: danno che contribuisce a peggiorare le crisi globali, mettendo a rischio salute, sussistenza, sicurezza. In altri settori del sistema ONU l’attenzione all’ambiente, alla pace e alla sicurezza è elevata: non altrettanto in questa Commissione.

Molti di voi menzionano gli ordigni nucleari, qualcuno cita anche i danni ambientali, ma non è chiarito in dettaglio in che modo l’uso di tali armi scardinerebbe il clima, la disponibilità di acqua, la sicurezza alimentare, creando sofferenze a milioni di persone.

E mentre continuano gli sforzi politici per dichiarare fuori legge le armi esplosive, quanti addurrebbero come motivo valido per abolirle i rischi ambientali acuti e cronici causati da tali armi, che colpendo impianti industriali e civili produrrebbero milioni di tonnellate di rifiuti tossici per l’ambiente?

Qualcuno collega forse la proliferazione di armi leggere con la biodiversità in declino? Eppure la facilità con cui ci si può procurare armi nelle aree di conflitto, e la loro diffusione altrove, è tra le cause della decimazione dei grandi mammiferi, e dell’aumento del bracconaggio contro la vita selvatica.

Sarà possibile un cambio di prospettiva tra i donatori e gli stati che subiscono gli effetti dei residuati bellici esplosiviancora presenti?  Migliaia di metri quadri di terra vengono bonificati ogni anno, e restituiti alle comunità locali perché possano nuovamente utilizzarli:  non si potrebbero abbinare le opere di sminamento con progetti di gestione delle terre indirizzati a proteggere il clima e la biodiversità?

Le crisi ecologiche che stiamo vivendo rendono sempre più cruciale la necessità di prevenire i danni ambientali durante i conflitti. Le delegazioni dei vari paesi accoglieranno di buon grado le nuove linee guida per i militari messe a punto dal Comitato Internazionale della Croce Rossa? Per quanto le leggi internazionali siano ancora inadeguate, le linee guida costituiscono una buona base di partenza per un corretto comportamento dei militari.

Infine – conclude Doug Weir – è importante mettersi in relazione con altri settori, e rendere esplicite le connessioni: per esempio, tra la Convenzione sulla Diversità Biologica e il Trattato sul commercio delle Armi; tra la Convenzione per combattere la Desertificazione e il Trattato per il Bando delle Mine.

Difficoltà e pericoli per l’agricoltura in Yemen

Una ricerca svolta dai membri del CEOBS e pubblicata a ottobre 2020 fornisce dati significativi sull’effetto devastante che hanno le guerre nella vita produttiva di un Paese, di una popolazione. 275.000 ettari di terreni agricoli in Yemen presentano segni di  sofferenza, con raccolti perduti e ridotta sicurezza alimentare: si tratta di una superficie circa equivalente all’estensione totale di terreni agricoli disponibili in Giordania o in Libano. Sono colpite soprattutto le aree meridionali e gli altipiani nel Nord.

Le cause sono complesse, ma molte sono riconducibili alla presenza di conflitti: attacchi diretti alle fattorie e alle infrastrutture, spostamenti di popolazioni  causate dall’insicurezza, ridotto accesso all’acqua e alle sementi  causato dalla guerra; eventi climatici estremi  e conseguente impossibilità delle agenzie a frenare le invasioni di parassiti. Si pensi  per esempio ai danni inferti dagli sciami di locuste in tutta la zona del Corno d’Africa e dell’Asia occidentale, sciami che non sono stati adeguatamente controllati proprio in Yemen perché inaccessibili a causa della guerra. 

La mappa illustra la situazione dei vari distretti del Paese, in cui si segnalano perdite e danni dal 37% al 57% dei territori agricoli.

 

Analisi delle cause

L’agricultura costituisce la base dell’economia e della cultura Yemenita. Le valutazioni eseguite sui cambiamenti ambientali evidenziano che la maggior parte dei fattori di sofferenza  e degrado sono legati alla presenza di conflitti armati, che in molti casi amplificano situazioni critiche già preesistenti (per esempio sugli accessi all’acqua).

Nello Yemen non c’è sicurezza alimentare, e molti yemeniti si trovano in condizioni critiche e soffrono la fame. è quindi essenziale che vengano prese misure urgenti per frenare il degrado del settore agricolo. Inoltre la pandemia da COVID-19 ha ridotto l’assistenza umanitaria, impedendo l’accesso e riducendo le donazioni. Proteggere e ripristinare il settore agricolo in Yemen in modo che sia economicamente, ambientamente e culturalmente sostenibile è cruciale. Nel Report pubblicato sono indicate in dettaglio le aree agricole in difficoltà, e sono messe in relazione con la presenza del conflitto armato.

In questo momento la situazione appare particolarmente difficile per il sovrapporsi di vari elementi negativi: oltre alla guerra in corso, ci sono ancora gli effetti degli sciami di locuste, delle alluvioni, danni cumulativi,  e la mancata assistenza umanitaria, bloccata dalla presenza del virus.

Non appena sarà garantito un minimo di sicurezza, chi realizzerà i programmi di recupero agricolo dovrà garantire che siano sostenibili dal punto di vista ambientale, e che possano fornire maggiore produttività, sicurezza alimentare e mezzi di sussistenza sicuri.

da qui

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