Del Conflict and Environment Observatory (CEOBS) –
Osservatorio su Conflitto e Ambiente – ho già fatto cenno in un recente articolo a proposito del degrado ambientale nei
territori palestinesi.
Questo Osservatorio è nato nel 2018 (dopo alcuni anni di esperienze e
ricerche con il Progetto Toxic Remnants of War Project, che intendeva
mettere in luce i danni ambientali causati da guerre e le loro conseguenze
sulle comunità umane.) con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza e la
comprensione delle conseguenze umane e ambientali dei conflitti e delle
attività militari, e con l’intenzione di contestare l’idea che l’ambiente sia
una ‘vittima silenziosa’ dei conflitti armati. Il sito di CEOBS mette a
disposizione i risultati delle sue ricerche perché diventino una risorsa per
studiosi, politici, attivisti, giornalisti interessati alle dimensioni
ambientali dei conflitti armati. CEOBS collabora con istituzioni
internazionali, società civili, università ecc. non solo per documentare e
diffondere dati sui danni ambientali, ma per contribuire all’istituzione di
leggi che possano contribuire a ridurre i danni umani e ambientali conseguenti
ai conflitti e a promuovere forme di assistenza alle comunità colpite.
Dichiarazione all’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite
Il 13 ottobre scorso durante una riunione della Prima Commissione
dell’Assemblea Generale dell’ONU, il Direttore del CEOBS, Doug Weir, rilasciò
una dichiarazione che riassumo qui di seguito.
L’ambiente globale – egli affermò – sta vivendo
molteplici crisi: climatica, di
biodiversità, di inquinamento. è responsabilità dei
cittadini, degli stati, delle istituzioni agire per affrontare questa
situazione. La Prima Commissione dell’ONU non fa eccezione. I conflitti armati
non solo provocano danni persistenti all’ambiente, ma creano e
sostengono condizioni in cui il danno ambientale prosegue
inavvertito: danno che contribuisce a peggiorare le crisi globali,
mettendo a rischio salute, sussistenza, sicurezza. In altri settori del sistema
ONU l’attenzione all’ambiente, alla pace e alla sicurezza è elevata: non
altrettanto in questa Commissione.
Molti di voi menzionano gli ordigni nucleari, qualcuno cita anche i danni
ambientali, ma non è chiarito in dettaglio in che modo l’uso di tali
armi scardinerebbe il clima, la disponibilità di acqua, la sicurezza
alimentare, creando sofferenze a milioni di persone.
E mentre continuano gli sforzi politici per dichiarare fuori
legge le armi esplosive, quanti addurrebbero come motivo valido per
abolirle i rischi ambientali acuti e cronici causati da tali armi, che
colpendo impianti industriali e civili produrrebbero milioni di tonnellate di
rifiuti tossici per l’ambiente?
Qualcuno collega forse la proliferazione di armi leggere con la
biodiversità in declino? Eppure la facilità con cui ci si può procurare
armi nelle aree di conflitto, e la loro diffusione altrove, è tra le cause
della decimazione dei grandi mammiferi, e dell’aumento del bracconaggio contro
la vita selvatica.
Sarà possibile un cambio di prospettiva tra i donatori e gli stati che
subiscono gli effetti dei residuati bellici esplosiviancora presenti?
Migliaia di metri quadri di terra vengono bonificati ogni anno, e
restituiti alle comunità locali perché possano nuovamente utilizzarli:
non si potrebbero abbinare le opere di sminamento
con progetti di gestione delle terre indirizzati a proteggere il
clima e la biodiversità?
Le crisi ecologiche che stiamo vivendo rendono sempre più
cruciale la necessità di prevenire i danni ambientali durante i conflitti.
Le delegazioni dei vari paesi accoglieranno di buon grado le nuove linee guida
per i militari messe a punto dal Comitato Internazionale della Croce
Rossa? Per quanto le leggi internazionali siano ancora inadeguate, le
linee guida costituiscono una buona base di partenza per un corretto
comportamento dei militari.
Infine – conclude Doug Weir – è importante mettersi in relazione con
altri settori, e rendere esplicite le connessioni: per esempio, tra
la Convenzione sulla Diversità Biologica e il Trattato sul
commercio delle Armi; tra la Convenzione per combattere la Desertificazione e
il Trattato per il Bando delle Mine.
Difficoltà e pericoli per l’agricoltura
in Yemen
Una ricerca svolta dai membri del CEOBS e pubblicata a ottobre
2020 fornisce dati significativi sull’effetto devastante che hanno le
guerre nella vita produttiva di un Paese, di una popolazione. 275.000 ettari di
terreni agricoli in Yemen presentano segni di sofferenza, con raccolti
perduti e ridotta sicurezza alimentare: si tratta di una superficie circa
equivalente all’estensione totale di terreni agricoli disponibili in Giordania
o in Libano. Sono colpite soprattutto le aree meridionali e gli altipiani nel
Nord.
Le cause sono complesse, ma molte sono riconducibili alla presenza di
conflitti: attacchi diretti alle fattorie e alle infrastrutture, spostamenti di
popolazioni causate dall’insicurezza, ridotto accesso all’acqua e alle
sementi causato dalla guerra; eventi climatici estremi e
conseguente impossibilità delle agenzie a frenare le invasioni di parassiti. Si
pensi per esempio ai danni inferti dagli sciami di locuste in tutta la
zona del Corno d’Africa e dell’Asia occidentale, sciami che non sono stati
adeguatamente controllati proprio in Yemen perché inaccessibili a causa della
guerra.
La mappa illustra la situazione dei vari distretti del Paese, in cui si
segnalano perdite e danni dal 37% al 57% dei territori agricoli.
Analisi delle cause
L’agricultura costituisce la base dell’economia e della cultura Yemenita.
Le valutazioni eseguite sui cambiamenti ambientali evidenziano che la
maggior parte dei fattori di sofferenza e degrado sono legati alla
presenza di conflitti armati, che in molti casi amplificano situazioni critiche
già preesistenti (per esempio sugli accessi all’acqua).
Nello Yemen non c’è sicurezza alimentare, e molti yemeniti si trovano in
condizioni critiche e soffrono la fame. è quindi essenziale che vengano
prese misure urgenti per frenare il degrado del settore agricolo. Inoltre la
pandemia da COVID-19 ha ridotto l’assistenza umanitaria, impedendo
l’accesso e riducendo le donazioni. Proteggere e ripristinare il settore
agricolo in Yemen in modo che sia economicamente, ambientamente e culturalmente
sostenibile è cruciale. Nel Report pubblicato sono indicate in dettaglio le
aree agricole in difficoltà, e sono messe in relazione con la presenza del conflitto
armato.
In questo momento la situazione appare particolarmente difficile per il
sovrapporsi di vari elementi negativi: oltre alla guerra in corso, ci sono
ancora gli effetti degli sciami di locuste, delle alluvioni, danni
cumulativi, e la mancata assistenza umanitaria, bloccata dalla presenza
del virus.
Non appena sarà garantito un minimo di sicurezza, chi realizzerà i
programmi di recupero agricolo dovrà garantire che siano sostenibili dal punto
di vista ambientale, e che possano fornire maggiore produttività, sicurezza
alimentare e mezzi di sussistenza sicuri.
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