Quando la fauna selvatica diventa
“problematica”
La “strage degli innocenti” a Roma e gli errori dell’Homo sapiens:
i cinghiali li ha disseminati ovunque, a scopo venatorio e per consenso
elettorale. Si ricostruisce la catena alimentare del lupo ma si devono
salvaguardare anche gli ecosistemi agricoli. Il mondo naturale non è fatto
dagli animali (“umani”) di Walt Disney. Estratto dall’analisi eco-etologica
scritta per il periodico Italia Libera da un grande biologo
naturalist a
di GIORGIO BOSCAGLI, biologo naturalista
Lo spunto viene da quanto accaduto a Roma-nord: una femmina di cinghiale e
sei piccoli narcotizzati e poi soppressi perché gironzolavano, alla ricerca di
cibo, dentro i giardini della cosiddetta civiltà urbana. Il tutto davanti a
cittadini sconcertati per la apparente brutalità del trattamento. Questa è la
realtà, sgradevole quanto si vuole, ma al momento unico strumento che la
cosiddetta civiltà urbana è riuscita ad elaborare per fronteggiare un problema
che …è un problema! http://federparchi.telpress.it/news/2020/10/19/2020101903258307452.PDF
Nei giorni successivi qualcuno si è chiesto se, dopo la
narcosi, gli animali non potessero essere prelevati e liberati in qualche area
protetta (parchi regionali, oasi, riserve o simile). Umanamente
comprensibile (se
n’è scritto anche su queste pagine) . Quesito posto in assoluta buonafede e
improntato ad un occhio affettuoso nei confronti degli animali. Ma, purtroppo,
evidenzia la più totale mancanza di informazione sullo status del popolamento
di cinghiale in Italia e sulla situazione che si sta determinando a livello
nazionale: una vera e propria invasione, dalle Alpi alla punta dello stivale.
Che fare?
La colpa – ovviamente – non è dei cinghiali, che fanno quello per cui Madre
Natura li ha programmati. La colpa è di chi, con visione miope, a partire dagli
anni ’70 del secolo scorso, ha sparso cinghiali a scopo venatorio per ogni
dove. Procacciandoli a buon prezzo dal centro-Europa (quindi non animali
“nostrani”, per usare un termine accessibile a tutti) e disseminandoli senza
alcun criterio ecosistemico. Risultato: un ottimo business per gli importatori
(e, successivamente, allevatori) e un apprezzabile incremento del consenso
elettorale per gli assessori regionali che sostenevano queste operazioni.
All’epoca – più o meno cinquant’anni fa – nell’Italia
peninsulare erano rimaste solo poche isole di presenza del cinghiale cosiddetto
“maremmano” (nome scientifico Sus scrofa maiori , descritto dagli
zoologi De Beaux & Festa). Più piccolo e meno prolifico di questi
caterpillar importati dal centro-Europa (abuso del termine caterpillar perché
mi viene in mente un delizioso aforisma di Stefano Benni: «Un cinghiale si
scontrò con un guidatore di Suv che andava a centocinquanta. L’animale ebbe la
peggio. Il cinghiale invece se la cavò con una zampa rotta»).
Evidentemente gli habitat italici si prestavano assai bene alle esigenze
eco-etologiche dei “nuovi” cinghiali, immigrati loro malgrado; prova ne è che
la loro crescita ed espansione sono stati esponenziali. Ma il bilancio delle
conseguenze è davvero poco entusiasmante: 1) sostanziale scomparsa dei ceppi
originari di cinghiale “maremmano” (ecologicamente “autoctono”); 2) crescita
verticale dei danni alle colture, anche molto pregiate ed economicamente
importanti (chi paga?); 3) competizione ecologica con altre specie, anche di
grande o grandissima importanza (ci viene in mente l’orso marsicano, ma non
solo lui); 4) sempre più frequenti incidenti stradali e invasioni di campo…
(che “campo” non è!), ovvero ambienti urbanizzati con tutto quello che
comporta; 5) qualche caso di messa in discussione della incolumità umana.
E tralasciamo il problema dell’incrocio − fecondo − coi maiali. Questo che
segue è uno delle centinaia (centinaia!) di articoli che negli ultimi 5-10 anni
hanno riempito e continuano a riempire i giornali locali: http://federparchi.telpress.it/news/2020/10/21/2020102102029203355.PDF . In buona sostanza i
cinghiali stanno saturando tutto il territorio “disponibile”, ma il problema è
che considerano a loro disposizione anche ambienti – come quello urbanizzato –
dove gli spazi di convivenza, metaforici e non, sono davvero molto esigui, per
non dire nulli.
Tutto il male viene per nuocere? Non vogliamo peccare di ipocrisia o
catastrofismo gratuito. Dall’invasione dei cinghiali c’è anche chi ci ha
guadagnato. Ad esempio il lupo appenninico. Per noi ambientalisti un simbolo. E
per chi, come chi scrive, ne segue da biologo/naturalista le sorti da oltre
quarant’anni, rilevare che la predazione del lupo si è progressivamente
orientata sul cinghiale (specialmente sui giovani), riducendo gli attacchi alle
greggi, è motivo di sollievo. Significa sicuramente una attenuazione di quel
conflitto di interessi lupo/allevatori che – seppure non quale unica causa –
aveva portato il grande predatore sull’orlo dell’estinzione all’inizio degli
anni ’70. Oggi non è più così. […]
E gli ecosistemi naturali? Bah… forse anche qui si dovrebbe fare
una riflessione basata su considerazioni eco-etologiche. Non v’è dubbio che in
mezzo ai vigneti del Valpolicella o del Brunello il cinghiale di guai ne arreca
molti. Ma in un bosco dell’Appennino, nelle radure o su qualche prateria di
altitudine, il suo grufolamento (in letteratura scientifica rooting ),
la sua ricerca di tuberi e radici appetitose comporta un continuo rivoltamento
del cotico erboso superficiale. Questo produce una ossigenazione del terreno e
una facilitazione alla penetrazione dei raggi ultravioletti dotati a loro volta
di un discreto potere disinfettante (il batterio del tetano Clostridium
tetani vive anche nel terreno!). Tutt’altro che male no? […]
Torniamo allo spunto iniziale, quello della “strage degli innocenti”
(ovvero l’abbattimento dei cinghiali) perpetrata sotto gli occhi di cittadini
del tutto ignari di considerazioni sull’eco-etologia animale. Indubbiamente
molto triste e sgradevole, almeno per chi è dotato di qualche sensibilità. Però
poniamoci, per onestà intellettuale, qualche quesito provando a dare anche la
relativa risposta. a) Era necessario intervenire per togliere
i cinghiali da quell’ambiente? Sì. b) Era possibile farlo in
modo diverso? Forse sì. c) Che cosa si sarebbe potuto fare in
alternativa a quanto avvenuto?
E qui entriamo in un ginepraio irto di dolorose spine morali ed
etiche. Infatti, quando qualcuno ha inventato la definizione tecnica di “fauna
problematica” (ivi comprendendo tanto i preziosissimi orsi marsicani, come le
aliene e neglette nutrie onnipresenti nei nostri fiumi, o gli invadentissimi
cinghiali) forse non si è reso conto che questo avrebbe comportato una
lancinante contrapposizione fra diverse sensibilità. In sostanza una
definizione del tutto tarata sulle esigenze dell’uomo.
La problematicità infatti è un concetto, volutamente e non colpevolmente
antropocentrico, che dovrebbe valutare in che misura una specie animale
conflige con la presenza (ancor prima che con l’attività) umana. […]
Catturare i cinghiali e portarli narcotizzati in un ambiente naturale
avrebbe certamente fatto più piacere a tutti. Almeno emotivamente. Operatori
compresi, ne siamo convinti. Però non si deve far finta di non sapere che
quegli animali, con ogni probabilità, sarebbero comunque finiti nella catena di
macellazione del Comune di Roma, oppure – magari uscendo dall’area protetta,
com’è naturale che facciano – abbattuti da qualche cacciatore.
Perché la ”strage degli innocenti” ha avuto tanta eco? Perché …è
avvenuta a Roma capitale d’Italia. Ma analoghe operazioni sono ormai all’ordine
del giorno in molte parti d’Italia. Un esempio a Perugia e dintorni http://federparchi.telpress.it/news/2020/10/22/2020102201948803702.PDF , quest’altro a
Biella: http://federparchi.telpress.it/news/2020/10/22/2020102201650904643.PDF e questo a
Cremona: http://federparchi.telpress.it/news/2020/10/23/2020102302007503116.PDF . E limitandoci a
citarne tre per par condicio geografica. […]
Tutto troppo laico e raziocinante? Forse sì, ma il compito di un
biologo/naturalista – a ciascuno il suo – crediamo sia anche quello di far
comprendere che il mondo naturale non è fatto dagli animali (deliziosamente
“umani”) di Walt Disney. E che il comportamento della evolutissima specie Homo
sapiens comprende (ahinoi!) anche amare, spesso dolorose,
contraddizioni. Che noi stessi ci siamo cercati.
qui
Ma è tutta
colpa del Cinghiale o c’entrano pure i bipedi pretesi senzienti? - Grig
Non
si fa altro che incolpare il Cinghiale (Sus scrofa ) per
i danni all’agricoltura , ma in realtà sembra
che le cose non stiano proprio così.
A parte il fatto
che i bipedi pretesi senzienti dovrebbero lasciar fare il loro lavoro ai Lupi (Canis
lupus ), i primi limitatori del numero di
Cinghiali, è ben vero che da anni il mondo agricolo lamenta la crescita dei danni alle coltivazioni
prodotti dal Cinghiale sebbene l’aumento della pressione venatoria sulla specie
non abbia causato altro che…l’ulteriore crescita della popolazione (G. Massei e
Altri, Wild boar
populations up, numbers of hunters down? A review of trends and
implications for Europe , 2015; C. Consiglio, Occorre
abbattere i cinghiali per limitarne i danni? , 2014).
Un recente convegno svoltosi a Torino nel giugno
scorso ha provato a fornire elementi scientifici sull’argomento. Ne riportiamo
la sintesi.
Gruppo
d’Intervento Giuridico onlus
Il Cinghiale
vittima innocente - Roberto Piana
Anche la scienza oggi riconosce che il cinghiale è oggetto di
sfruttamento a spese della collettività e a vantaggio di pochi, i cacciatori.
I giornali riportano frequentemente notizie di
campi devastati o incidenti stradali causati dalla specie cinghiale (Sus
scrofa). Il cinghiale è davvero il nemico che i media dipingono? Perché il
cinghiale si è così diffuso? Perché gli interventi di contenimento disposti da
Città Metropolitane e Province non consentono di ridurre i numeri di presenza
della specie e i conseguenti danni all’agricoltura?
Qual è la causa di questa diffusione?
Numerosi studi scientifici dimostrano che è la caccia la causa dei danni arrecati
da questa specie e che le attività di controllo basate sugli abbattimenti non
sono efficaci, anzi comportano l’aumento dei danni.
La
presenza del cinghiale oggi in Italia
“Nel periodo medioevale il cinghiale era diffuso in
gran parte del nostro Paese. A partire dal 1500 cominciò tuttavia, a causa
delle uccisioni da parte dell’uomo, un declino, che culminò all’incirca un
centinaio di anni fa, quando la specie, ad esempio, risultava del tutto assente
nell’Italia nord-occidentale. Pare che proprio nel 1919 alcuni esemplari
provenienti dalla Francia ritornarono in Piemonte e Liguria, dando il via ad un
processo di ricolonizzazione che, dapprima lentamente, ma via via sempre più
velocemente ha portato alla situazione attuale. Le cause dell’espansione del
cinghiale sono fondamentalmente due: la prima è l’accresciuta disponibilità di
territorio a lui congeniale, grazie all’abbandono di boschi e campi
(soprattutto in aree montane e collinari) e alla grandissima capacità di
adattamento della specie. Ma altrettanto, se non più importanti, sono state le
massicce immissioni, compiute a scopo venatorio da Associazioni di cacciatori,
ma anche da Amministrazioni pubbliche, che si effettuarono a partire dagli anni
‘50 del secolo scorso e che sono durate (quasi) fino ai giorni nostri.”
Così
iniziava un recente articolo di Piero Belletti, Segretario Generale della
Federazione Nazionale Pro Natura e studioso dell’argomento.
In Piemonte le prime squadre dei cinghialai si
formarono negli anni 70 e 80 del secolo scorso e si distinsero le Province di
Torino e Cuneo per le immissioni a fini venatori effettuate sia con soggetti
d’importazione, sia successivamente con soggetti d’allevamento. Negli anni il
numero di cacciatori interessati alle forme di caccia collettiva al cinghiale è
andato aumentando anche per la riduzione numerica delle altre specie selvatiche
di interesse venatorio.
I limiti di carniere sono andati aumentando negli anni
con l’incremento delle prede a disposizione e parallelamente sono aumentati i
danni alle attività agricole, gli incidenti stradali e le presenze dei
cinghiali anche nelle aree periurbane e urbane.
Per cercare di contenere il proliferare della specie
sul territorio le Pubbliche Amministrazioni hanno negli anni affiancato alla
consueta attività venatoria anche attività di controllo cruento con l’utilizzo
di personale delle Province, guardie volontarie e cacciatori formati come
“selecontrollori”. I sempre maggiori numeri degli abbattimenti non hanno
tuttavia conseguito i risultati prefissati e non hanno determinato una
riduzione dei danni all’agricoltura, anzi ne hanno causato l’aumento.
Il numero esatto dei cinghiali presenti in Italia non
è noto, ma alcune stime ritengono che complessivamente la presenza si aggiri
intorno a 600.000 individui, mentre altre parlano di numeri molto maggiori tra
uno e due milioni di individui.
Per comprendere le ragioni del fallimento delle
attuali politiche contenitive della specie, basate quasi esclusivamente sugli
abbattimenti, per proporre strategie efficaci, nuove e incruente, tendenti a
contenere
la presenza del cinghiale, il “Tavolo Animali & Ambiente” di Torino ha organizzato nella mattina del 20 giugno
2020 un convegno on line dal titolo: “CINGHIALE è ora di cambiare. La parola alla scienza. Stategie diverse
per una convivenza pacifica con la fauna selvatica””
Il “Tavolo”, costituito da otto associazioni
ambientaliste e animaliste (ENPA, LAC, LAV, LEGAMBIENTE Circolo l’Aquilone,
LIDA, OIPA, PRO NATURA, SOS GAIA) ha invitato a relazionare studiosi di rilievo
nazionale.
Il convegno, moderato dal giornalista de La Stampa Gianni Giacomino, è stato presentato da Rosalba Nattero,Presidente di SOS Gaia ed ha visto la partecipazione del Prof. Massimo Scandura (Università di Sassari), del
Prof. Andrea Marsan ((Università di Genova), della D.ssa Elisa Baioni (SISSA di
Trieste), del prof. Alberto Meriggi
(Università di Pavia), di Piero Belletti (Pro Natura), del Prof. Andrea Mazzatenta (Università di Chieti).
Roberto Piana (LAC) ha raccolto le conclusioni.
Hanno seguito il convegno
242 spettatori e le visite alla pagina e al filmato sono state 2.840. L’intero
convegno è visibile da chiunque sul sito di Animali & Ambiente al
link http://www.animaliambiente.it/video.html.
In aiuto a chi ha poco
tempo e non può seguirlo per intero, soprattutto per incentivare la
condivisione, si trova la videoregistrazione da diffondere divisa per ogni
intervento dei relatori sul sito web della LAC all’indirizzo:
https://ww.abolizionecaccia.it/blog/2020/06/convegno-cinghiale-e-ora-di-cambiare-la-parola-alla-scienza/ Per tutti
è l’invito di darne diffusione per far capire che l’attività venatoria è il
vero problema, non la soluzione.
Il
convegno è iniziato proprio con l’illustrazione dell’attuale presenza del
cinghiale sul territorio nazionale a cura del Prof. Massimo Scandura,
zoologo, docente presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria
dell’Università degli Studi di Sassari.
Studioso degli aspetti genetici delle popolazioni
animali selvatiche, il Prof. Scandura ha illustrato come nel tempo si sia
diffusa in Italia la popolazione del cinghiale e come, a causa soprattutto di
introduzioni e ibridazioni, siano andati contraendosi e in gran parte sparendo
i nuclei originari presenti nella nostra penisola. Quei pochi sono ormai
rimasti confinati nella realtà di Castelporziano, in Toscana, con la residua
presenza del cinghiale maremmano e in Sardegna che, essendo un’isola, ha visto
l’affermarsi di una popolazione sarda di cinghiale con caratteristiche proprie.
Tuttavia anche la popolazione sarda, pur isolata dal continente, vede oggi una
situazione complessa costituita da un mosaico di realtà che hanno intaccato la
sottospecie dell’originario cinghiale sardo. Questi mutamenti sono stati
causati dalle immissioni con soggetti di diversa provenienza e dalle
ibridazioni con maiali allevati allo stato semiselvatico.
La
caccia ha contribuito ad alterare la diffusione e la composizione delle
popolazioni selvatiche, non solo a causa delle immissioni a fini venatori, ma
anche attraverso effetti diretti che si possono riassumere in aumento della
mortalità, destabilizzazione della struttura demografica (più giovani, meno
adulti), stimolazione di un investimento riproduttivo precoce, aumento della
poliandria, la frequenza di paternità multipla nelle cucciolate e l’aumento
delle dimensioni medie delle cucciolate.
In sostanza, fatto riconosciuto ormai da molti
studiosi del settore, l’abbattimento degli animali viene rapidamente compensato
dalla specie attraverso l’aumento riproduttivo e l’occupazione di nuove aree
con la creazione di nuovi gruppi famigliari.
I danni all’agricoltura e alle attività antropiche causati dal
cinghiale .
Il cinghiale ha abitudini prevalentemente crepuscolari
e notturne, si ripara nelle aree boscate nelle quali ricerca acqua e fango. Vive
in gruppi guidati da una femmina matriarca, mentre i maschi adulti conducono
una vita solitaria avvicinandosi al branco solo nel periodo dell’accoppiamento.
Il cinghiale è onnivoro e la sua dieta è costituita
prevalentemente da frutta, semi, funghi, ghiande, castagne, nocciole, tuberi.
Non disdegna insetti, vermi, crostacei, roditori, uccelli, carcasse di animali
morti. Oltre all’uomo suoi nemici sono i grandi carnivori, in Italia
rappresentati dall’orso e dal lupo.
Lo scavo del terreno svolto con il muso, detto grifo,
alla ricerca di fonti trofiche causa danni anche estesi ai prati e alle aree
coltivate così come la ricerca di cibo nei coltivi è causa di gravi perdite di
raccolti e conflitti con gli agricoltori. Il mais, i frutteti, l’uva sono gli
obiettivi prediletti dalla specie.
Con
l’aumento della presenza del cinghiale sul territorio nazionale i danni
economici causati da questi ungulati hanno raggiunto cifre elevate dell’ordine
di milioni di euro. Di qui nasce la demonizzazione della specie.
L’attraversamento delle strade è causa di incidenti
dei quali l’animale è la prima vittima. Uno studio del 2010 della Provincia di
Cuneo ha verificato l’aumento considerevole degli incidenti stradali che vedono
coinvolto il cinghiale durante la stagione venatoria autunnale a causa degli
spostamenti causati dalla caccia e dai cani soprattutto.
I
danni causati dal cinghiale, così come quelli causati da tutta la fauna
selvatica che è patrimonio dello Stato, devono essere risarciti dalle
Amministrazioni interessate.
Con l’ ordinanza n. 13488 del 29 maggio 2018 la Corte
di Cassazione VI Sezione Civile ha statuito che la responsabilità per i danni “debba
essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione
o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo
caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi
insediata, con autonomia decisionale sufficiente a consentire loro di svolgere
l’attività in modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali
attività derivino ”.
Non sempre è facile individuare quale sia il soggetto istituzionale al quale
rivolgersi per ottenere il ristoro del danno (Regione, Città Metropolitana,
Provincia, Ente di gestione dell’area protetta, ecc…) così come in molti casi,
come quella degli incidenti stradali, l’onere di dimostrare un comportamento
colposo dell’ente è a carico del danneggiato in virtù delle regole generali sul
riparto dell’onere probatorio dettate dall’art. 2.697 C.C.
La mancanza di opportuna segnaletica stradale che avvisi del pericolo di
attraversamento da parte della fauna selvatica, la mancata imposizione di
opportuni limiti di velocità per i veicoli, la mancata
manutenzione delle recinzioni delle autostrade e delle arterie di veloce
scorrimento possono determinare la responsabilità dell’ente o della società che
gestisce la strada.
Per
quanto riguarda gli agricoltori onesti vi è da dire che questi preferirebbero
riuscire ad effettuare i raccolti piuttosto che ottenere successivi
risarcimenti.
La strada da percorrere è allora quella che porta alla riduzione dei danni e
nel contempo a favorire una pacifica convivenza tra specie umana e specie
animali selvatiche. Mentre nazioni nordeuropee sono molto avanti nello studio
di strategie alternative agli inutili abbattimenti in Italia, e in Piemonte in
particolare, viviamo ancora il Medioevo.
Il
cinghiale non è specie pericolosa per l’uomo .
Anche sulla pericolosità del cinghiale quale animale
aggressivo e pericoloso per le persone devono essere sfatati luoghi comuni. Il
cinghiale è specie che non aggredisce l’uomo a meno che non si senta attaccato
o tema per i cuccioli e non gli venga consentita possibilità di fuga.
I rari casi di attacco alle persone finora verificatisi sono tutti stati
causati da comportamenti sconsiderati di esseri umani. In testa vi sono gli
attacchi a cacciatori e bracconieri che feriscono solo l’animale non
consentendogli vie di fuga; poi ci sono i tentativi di cattura di cuccioli, che
determinano la reazione della cinghialessa. Veri pericoli li corrono solo i
cani da caccia o cani sfuggiti al controllo del proprietario che aggrediscono
l’animale il quale reagisce per legittima difesa. Non è raro che si verifichi
durante le battute di caccia anche lo sventramento di cani, evento che dovrebbe
già essere sufficiente per indurre da subito la Regione a vietare l’uso dei
cani per la caccia al cinghiale, così come è previsto per tutti gli altri
ungulati.
Purtroppo la ricerca da parte dei mezzi di comunicazione della notizia
sensazionale ha diffuso una falsa immagine di questo meraviglioso e
intelligente suide quale “pericolo pubblico”.
Nulla
di più falso.
La presenza del cinghiale nelle aree periurbane e
urbane è dovuto agli spostamenti e al nomadismo indotto dalla caccia oltre che
dalla presenza di fonti trofiche (rifiuti di residui alimentari) abbandonati
lungo le strade.
Le responsabilità della specie umana vengono riversate
sugli animali da un giornalismo dozzinale e irresponsabile.
La D.ssa Elisa Baioni – Master in Comunicazione della Scienza ‘Franco Prattico”
Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste – nel corso del
Convegno on line di Torino ha affrontato i diversi aspetti del modo in cui i
media presentano al pubblico la questione cinghiale.
In due macro categorie, “Presentare il problema” e “Affrontare il problema”, la
D.ssa Baioni ha analizzato le storture della odierna comunicazione che di fatto
non affronta gli aspetti etici legati al rapporto con la specie selvatica e
nemmeno presenta in modo adeguato i risultati scientifici. Le esigenze di
enfatizzazione degli eventi al fine di favorire l’attenzione del lettore riduce
a percentuali irrilevanti le informazioni scientifiche sul tema. Invitiamo ad
ascoltare l’intero intervento al link
https://www.abolizionecaccia.it/blog/2020/06/convegno-cinghiale-e-ora-di-cambiare-la-parola-allascienza/
L’attività venatoria e l’attività di controllo sono
due cose molto differenti.
La
caccia o attività venatoria
La
Legge n. 157/1992 inserisce il cinghiale tra le specie cacciabili di cui
all’articolo n. 18. La caccia costituisce una concessione dello Stato e della
Regione a chi è in possesso della licenza e rispetta le regole e i limiti della
legge nazionale e delle leggi regionali. L’animale abbattuto durante l’esercizio
venatorio appartiene a colui che lo ha abbattuto. Il cinghiale viene cacciato
con tecniche diverse:
a) in battuta con l’ausilio di una muta di cani e con i cacciatori appostati
lungo il perimetro che circoscrive la zona di intervento. Trattasi della
famigerata “braccata” operata da squadre organizzate di cacciatori. In alcuni
casi in luogo della muta di cani viene utilizzato un solo cane detto “limiere”.
b) in battuta come nel caso precedente, ma senza i cani;
c) alla cerca o da appostamento da parte di un solo cacciatore con o senza
cane;
d) alla cerca o da appostamento attraverso la cosiddetta “caccia di selezione”
senza l’ausilio di cani. Si intende per “caccia di selezione” l’assegnazione al
cacciatore del capo da abbattere individuato sulla base del sesso e dell’età.
Tutte queste modalità di caccia devono rispettare il
periodo di tre mesi in autunno-inverno, le zone di divieto (oasi, aree di
ripopolamento e cattura, parchi, distanza da vie di comunicazione, abitazioni e
stabili adibiti a luoghi di lavoro, eccetera), l’orario diurno e le altre
modalità previste dalla legge.
Solo la “caccia di selezione” può essere prevista dal calendario venatorio
tutto l’anno. La caccia così come prevista dal legislatore non ha finalità di
contenimento della specie né di riduzione dei conflitti tra la specie cinghiale
e coloro, agricoltori in primis, che dalla presenza del cinghiale possono
essere danneggiati.
La caccia assolve unicamente agli interessi ludici (ed
economici) dei cacciatori.
Vi è da dire poi che non pochi cacciatori nel previsto periodo tra l’autunno e
l’inverno disdegnano la caccia al cinghiale dedicandosi ad altre specie. Essi
sanno che potranno poi sparare ai cinghiali, assumendo il ruolo di
“selecontrollore”, in tutti gli altri periodi dell’anno. Anzi, meno animali si
abbattono durante la regolare stagione di caccia e più ricchi saranno “i piani
di controllo” successivi.
L’attività
di controllo
L’attività di controllo è prevista dall’art. 19 della
L. 157/1992 che recita:
“Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la
tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione
biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle
produzioni zooagroforestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di
fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale
controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante
l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale
per la fauna selvatica. Qualora l’Istituto verifichi l’inefficacia dei predetti
metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono
essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle
amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari
o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di
licenza per l’esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali
e delle guardie comunali munite di licenza per l’esercizio venatorio. durante
tutto l’anno.”
Gli abbattimenti possono essere autorizzati con
appositi atti amministrativi solo in caso di inefficacia dimostrata dei metodi
ecologici preventivi e incruenti.
Tuttavia gli abbattimenti oggi costituiscono pressoché
l’unico metodo utilizzato per contenere la presenza della specie.
Il fallimento di questa illegittima scelta è sotto gli
occhi di tutti e solo chi non vuol vedere può negarlo. Il numero degli animali
uccisi ogni anno aumenta e parallelamente aumentano anche i danni.
L’attività di controllo poi non potrebbe essere delegata ai cacciatori in
quanto tali e ben sette sentenze della Corte Costituzionale hanno sancito la
tassatività dell’elenco dei soggetti autorizzati previsto dall’art. 19 della L.
157/1992. Eppure in Piemonte e in tutta Italia questo principio viene spesso
aggirato e il controllo viene affidato a cacciatori che abbiano superato un
esame e definiti “selecontrollori”.
L’utilizzo di cacciatori “selecontrollori” per
l’attività di contenimento della specie non ottiene i risultati di riduzione
dei danni perché il cacciatore è l’unico soggetto che non ha alcun interesse ad
operare per ridurre la specie sul territorio. Poiché la fauna selvatica è
patrimonio indisponibile dello stato, gli animali abbattuti durante l’attività
di controllo continuano ad appartenere allo stato e la loro carne può essere
alienata solo con le modalità con cui viene alienato il patrimonio
indisponibile dello stato e cioè il bando pubblico. Eppure molte delibere delle
Province riportano espressioni illegittime simili a questa: Le carcasse dei
cinghiali sono assegnate a coloro che li hanno abbattuti quale contributo
forfetario per le spese sostenute.
L’illecita
commistione tra caccia e controllo consente di fatto la possibilità per il
cacciatore non solo di andare a caccia tutto l’anno, ma anche di esercitare il
suo divertimento nelle zone che gli sarebbero interdette.
Gli abbattimenti non servono per ridurre la presenza
del cinghiale né per ridurre i danni.
Lo
studio sulla tendenza degli abbattimenti e sui rimborsi dei danni nel Parco
regionale del Ticino lombardo condotto dal Prof. Alberto Meriggi – docente di
Etologia dell’Università di Pavia – riferito agli abbattimenti
tra il 1998 e il 2018 ha dimostrato che all’aumentare degli abbattimenti
aumentano proporzionalmente anche i danni.
Il devastante metodo della braccata, durante la quale
mute di cani stanano gli animali dalle aree loro vocate, causa la dispersione
sul territorio degli esemplari e la disgregazione dei branchi.
La
braccata, così come le battute, è causa di grave danno anche per le altre
specie selvatiche. I cacciatori e i “selecontrollori” abbattono solitamente gli
esemplari adulti di maggiori dimensioni perché producono una maggiore quantità
di carne. I piccoli e gli esemplari giovani vengono meno presi di mira perché
saranno le prede dell’anno seguente. Il branco è solitamente condotto dalla
femmina anziana (quella di maggiori dimensioni) che solitamente è tra le prime
vittime. Essa, con messaggi ormonali, riesce a regolare quella che gli studiosi
chiamano “sincronizzazione dell’estro” delle femmine
giovani. La sua uccisione determina la destrutturazione del branco, la
dispersione dei giovani, la formazione di nuovi branchi e l’anticipazione del
periodo fertile dei soggetti giovani. Aumenta il tasso riproduttivo della
specie e conseguentemente il numero degli animali. La specie sopperisce in
breve tempo alle perdite.
Con la dispersione dei cinghiali causata dalla caccia
e dalle attività di controllo aumentano gli attraversamenti stradali e gli
incidenti, mentre cresce la colonizzazione delle aree periurbane e urbane.
Il Prof. Andrea Mazzatenta dell’Università di Chieti
nella sua relazione ha ben spiegato il fenomeno. “Dall’analisi dei
dati pubblicati da Regione Abruzzo, Provincia di Chieti e Ambito Territoriale
di Caccia (ATC) del vastese emerge che lo sforzo di caccia profuso non ha
restituito i risultati attesi. Al contrario all’incremento della pressione
venatoria (Fig.1) corrisponde l’aumento del danno da cinghiale (Fig. 2 ) e il
rischio di danno in particolare nel Vastese.”
A tutto questo si aggiunge la militarizzazione del
territorio, il pericolo anche per gli esseri umani a causa delle armi a grande
gittata utilizzate, il disturbo per le altre specie animali.
Le
proposte della LAC con le associazioni ambientaliste e animaliste del “Tavolo
Animali & Ambiente”
Le associazioni del “Tavolo Animale Ambiente” nel 2018
hanno presentato alla Città Metropolitana di Torino un documento ricco di
proposte alternative agli abbattimenti. Gli interessati possono prenderne
visione al link http://www.animaliambiente.it/campagne/PIANO-DI-CONTENIMENTO-DEL-CINGHIALE.pdf
Ne riassumiamo i contenuti principali. L’obiettivo,
anche attraverso procedure graduali, è di arrivare a superare gli abbattimenti
e poter giungere a pacifica e incruenta convivenza tra la specie umana e le
altre specie animali del pianeta. L’auspicabile divieto di caccia alla specie
richiederebbe un intervento legislativo di difficile realizzazione, ma alcune
misure possono essere assunte immediatamente.
·
Vietare
l’uso dei cani sia nell’attività di caccia al cinghiale e sia nelle attività
di controllo.
L’utilizzo dei cani disperde gli animali, incrementa
il pericolo di incidenti stradali, determina una destrutturazione delle
popolazioni, la creazione di nuovi branchi e la colonizzazione di nuove aree
con aumento e non diminuzione dei danni. E’ una opzione a costo zero.
·
Divieto
di abbattimento delle femmine adulte
Evitare l’uccisione della femmina dominante che guida
il gruppo consente di non destrutturare le popolazioni e di favorire la “sincronizzazione
dell’estro ” nelle femmine giovani.
·
Divieto
dell’allevamento, del trasporto, del commercio di cinghiali vivi.
Cercare di impedire le possibili fughe nell’ambiente,
volute o involontarie, di cinghiali è essenziale.
·
Tutela
delle colture e prevenzione dei danni
Le moderne tecniche di difesa delle colture attraverso
le recinzioni elettriche sono in grado di impedire l’accesso degli ungulati al
campo coltivato. Sono ormai tantissime le realizzazioni effettuate con
successo. Certamente il posizionamento dei recinti elettrici non può
effettuarsi ovunque e richiede periodica manutenzione. Se correttamente
posizionate e manutenute le difese elettriche offrono garanzia di successo
vicino al 100% e costi gestionali sostenibili. Il Prof. Andrea Marsan
dell’Università di Genova ne ha ampiamente parlato al convegno.
Anche l’utilizzo di dissuasori ad ultrasuoni ha
prodotto buoni risultati in molte realtà.
·
Controllo
della fertilità
La somministrazione anticoncezionale iniettabile è già
disponibile anche se richiede la temporanea cattura degli animali. Negli ultimi
vent’anni i vaccini contraccettivi sono stati sempre più perfezionati e oggi
una monodose causa infertilità nell’animale per almeno 3-5 anni dopo la
somministrazione. La somministrazione iniettabile oggi disponibile ci auguriamo
sia presto sostituita da quella per via orale.
Le difficoltà risiedono principalmente nelle modalità
di distribuzione in maniera equilibrata nella popolazione. Viste le grandi
cifre sborsate dagli enti pubblici per il rimborso dei danni, sicuramente
conviene investire nella ricerca per azzerarli.
·
Attraversamenti stradali
Le vie di comunicazione contribuiscono alla
frammentazione del territorio e registrano un impressionante numero di
incidenti che vedono coinvolte e vittime le specie selvatiche. Oltre ai danni
materiali dei mezzi coinvolti non sono rari gli incidenti con feriti o morti
umani. La Regione Piemonte aveva iniziato ad affrontare il problema studiando
modalità sicure di attraversamento delle strade da parte della fauna selvatica.
La pubblicazione della Regione Piemonte e di ARPA “Fauna selvatica ed
infrastrutture lineari” datata 2005 lasciava ben sperare. Poi però
alle buone intenzioni non sono seguiti i fatti.
La pubblicazione è qui scaricabile dal sito di ARPA
Piemonte .
In Europa ci può insegnare molto il Belgio che negli
anni ha realizzato ben 66 ecodotti che consentono agli animali
l’attraversamento in sicurezza delle vie di comunicazione e la drastica
riduzione degli incidenti stradali. Le strade a scorrimento veloce dovrebbero
essere realizzate in modo da non consentire alla fauna di guadagnare l’asfalto
e nello stesso tempo garantire modalità di attraversamento sicuro per gli
animali.
Invece di scavare gallerie inutili di 57 chilometri
nella montagna l’ammodernamento in questa direzione delle esistenti vie di
comunicazione creerebbe posti di lavoro e salverebbe vite umane e animali.
Il Piano Faunistico Venatorio dell’Emilia Romagna
prevede lungo le strade più a rischio di collisioni con la fauna la
sistemazione di sensori luminosi e dissuasori acustici che allertano animali e
automobilisti del reciproco avvicinarsi, al fine di aumentare la sicurezza
sulle strade.
I sensori già sono stati sperimentati dal 2014 nelle
province di Rimini, Modena, Reggio Emilia, Piacenza con
incoraggianti risultati. Sulle SS.PP: n. 23 e n. 12
del Reggiano si è assai ridotto il numero di incidenti gravi.
Il superamento del conflitto con le specie animali
selvatiche e con il cinghiale in particolare, risiede nella ricerca e nella
sperimentazione di strade nuove “ecologiche” e rispettose degli animali, come
d’altra parte prevede l’art. 19 della L. 157/1992, troppo spesso aggirato dalle
nostre Istituzioni.
Si appendano i fucili al chiodo e si cerchi di
realizzare strategie volte alla pacifica convivenza con le forme di vita e con
il pianeta che ci ospita.
da
qui
Nessun commento:
Posta un commento