E
così sta ricominciando. Abbiamo ricostruito per un po’ lo scenario di una vita
‘normale’ e ora si ricomincia con l’emergenza, con il non poter più fare come
se.
Sono
fortunata, non ho mai avuto una vita normale. Sempre fatto tanta fatica in
tutto. Quelli come me erano da schivare perché sono quelli scassati che ti
ricordano la fragilità e l’andare a pezzi, quelli che vedono il re nudo.
Adesso
che il re è evidentemente nudo non si può rivestirlo.
Da
otto mesi vivo in campagna, ma non basta, ho deciso di non tornare. Perché man
mano è salita la solitudine gigante in cui vivevo. Quanto mi faceva male
passeggiare facendomi timidamente largo tra i corridori. Una volta una signora
dietro di me si è messa a sbuffare e poi mi ha detto: “Ma lei non tiene la
carreggiata, va di qui e poi di là!” “Ma sono a piedi!” le ho risposto io
esterrefatta, pensando mi avesse scambiata per un mezzo di trasporto. Quale
poi? Sono piccolissima. Un monociclo?
Ora
vivo in un piccolo paese piemontese, un paese senza case di villeggiatura ma
con parecchie case abbandonate. In questi mesi ho sentito e pensato tanto e non
ho dimenticato niente. Certe volte vedo delle immagini di Milano, strade
qualunque, slarghi trafficati, qualche chiesa, sono pezzi di me rimasti lì,
momenti di consapevolezza che non sono partiti con me. Forse.
Qui
c’è il bosco, il mio Maestro. Non ho più nessuna vita sociale, tanto non ne ero
capace. Qualche amica e amico sì però, ci si scrive o ci si telefona. Anche
qualche parente cattivo che non ha capito di aver perso il bersaglio: sono
andata via!
Per
un po’ mi hanno fatta sentire vile, una scampata, ma ora i pensieri degli altri
non pesano più così tanto. Perché gli alberi mi parlano. E anche gli asini, più
che altro gli asini mi corrono incontro e ci abbracciamo, soprattutto uno,
Pippo Magique.
Non
trascuriamo gli altri regni, ci sono gli alberi dovunque siamo, qualche animale
c’è sempre ovunque, se non altro i cani salvavita delle città. Sono stanchi, un
saluto gli fa bene.
Non
trascuriamo il respiro, c’è ancora, non è garantito, fa bene ricordarlo,
sentirlo, lasciarlo libero, prolungare un po’ l’espirazione, imparare a
lasciare. Ogni respiro insegna a lasciare. Inspirare prende, ma sa farlo da sé,
espirare invece lascia, esce nel mondo, insegna a mollare la presa.
Nel
bosco porto sempre con me la mascherina, se incontro qualcuno (è raro, ma nei
periodi in cui si può prendere qualcosa, castagne, funghi, spuntano gli umani)
se li incrocio anche per pochissimo, mi infilo la mascherina e gli sorrido, un
po’ come un tempo gli uomini che alzavano il cappello, un segno di rispetto,
per la comune fragilità.
Imparare
a salutarci, a onorarci perché stiamo passando.
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