Si dice «negazionisti» di coloro che negano o minimizzano la pandemia in corso. Ma lo stesso potrebbe dirsi delle numerose persone che, nonostante sia stato scientificamente provato il ruolo decisivo svolto dagli allevamenti intensivi e dai mattatoi industriali rispetto a ciò che viene detto «salto di specie», seguitano a cibarsi di carne; per non dire di coloro che perseverano perfino nell’acquistare e indossare pellicce animali.
Queste/i
ultime/i continueranno a farlo, probabilmente, anche dopo aver appreso dell’olocausto (uso
volutamente questo termine) cui sono stati destinati in Danimarca i 17
milioni di visoni presenti negli allevamenti del Paese, uno dei principali
esportatori mondiali di pellicce di queste disgraziate creature: assiepate,
tra cumuli di escrementi, in spazi angusti per massimizzare il profitto;
costrette a vivere in condizioni infernali durante il breve tempo sufficiente a
raggiungere la giusta dimensione per essere uccise (perlopiù con l’azoto o il
biossido di carbonio) e poi scuoiate; reificate a tal punto
che è considerato normale e accettabile sacrificare la vita di ben sessanta di
loro per ottenere un solo metro di pelliccia. E in tal modo soddisfare
anzitutto l’industria della moda, il profitto e il mercato, ma anche la crudele
frivolezza dei/delle consumatori/trici di una tale sinistra merce.
Tutto ciò
non riguarda la sola Danimarca. Precedentemente, già agli esordi di giugno, il
governo olandese aveva ordinato l’abbattimento di migliaia di visoni in nove
allevamenti-mattatoi destinati alla «produzione di pellicce» Lo stesso era accaduto
in Spagna, in particolare in Aragona, e anche l’Irlanda ne progetta
l’abbattimento di massa. Inoltre, casi di Covid-19 tra questi mustelidi si sono
verificati pure in Italia, Svezia e negli Stati Uniti: qui sono stati già
uccisi almeno 15mila visoni.
Certo, le
ragioni della propensione a cibarsi di «carne» e perfino a indossare le spoglie
di taluni animali vanno ricercate in primo luogo sul versante del mercato e
degli interessi dell’industria zootecnica, alimentare e della moda. Ma
va considerato anche il versante soggettivo nonché quelli dell’ideologia, del
costume, della cultura. I maltrattamenti, le torture, gli
avvelenamenti, le mutilazioni che vengono inflitti agli animali da allevamento
non sono percepiti come tali: sarebbe come chiedere a chi produce e a chi
consuma una qualsiasi merce di commuoversi per la sua sorte.
Come
già scriveva Voltaire nella voce « Sensation»
del Dictionnaire philosophique, pubblicato dapprima in forma
anonima nel lontano 1764, «se mille animali muoiono sotto i vostri
occhi, voi non vi preoccupate affatto di sapere che fine farà la loro
facoltà di sentire (…): voi considerate quegli animali come macchine della
natura, nate per morire e far posto ad altre».
Ben più
tardi, nel 1999, Florence Burgat (1999: 48) avrebbe
scritto, a proposito dei corpi animali, che essi sono ormai trattati,
percepiti, pensati «come una materia la cui forma vivente è transitoria».
Le
condizioni di vita mostruose, il pessimo contesto igienico, di conseguenza lo
stress cronico inflitto a questi come ad altri animali «da allevamento», per
non dire della somministrazione abituale di dosi abnormi di antibiotici, ne
indeboliscono gravemente il sistema immunitario. E’ dunque assai
probabile che i mustelidi che hanno contratto il Covid-19 siano stati
contagiati da operai e/o allevatori positivi al virus.
Ho prima
usato, volutamente, il lemma olocausto a proposito dello
sterminio riservato ai visoni, in particolare in Danimarca. Come scrivo da
molti anni, v’è una certa continuità concettuale ed empirica fra
la de-animalizzazione degli animali, nel contesto della
produzione industriale serializzata, massificata, automatizzata, e
la de-umanizzazione degli umani che fu compiuta, in
modo altrettanto seriale e massificato, dalla macchina dello sterminio nazista.
Non per
caso abshlachten («macellare») era il verbo adoperato dagli
esecutori nazisti per nominare le stragi dei prigionieri nei lager, programmate e attuate secondo una
rigorosa logica industriale. Se v’è una differenza, è che oggi, al contrario,
si ricorre a un apparente eufemismo, assai rivelatore:
l’allevare e il macellare in massa gli animali da reddito si dice «produrre della
carne o della pelliccia» (Rivera 2000, p. 60).
In
realtà, l’ideologia della centralità e della superiorità della specie
umana su tutte le altre, che finisce per negare ai non-umani la qualità di
soggetti di vita senziente, emotiva e cognitiva, è il modello o la matrice
dello stesso razzismo nonché del sessismo. La dialettica negativa
proposta da Theodor W. Adorno (1979/1951), secondo il
quale il sé dell’umano si produce per mezzo dell’attiva
negazione dell’altro-da-sé, in primo luogo del non-umano,
riguarda anche il rapporto tra uomini e donne nonché tra noi e
gli altri: per meglio dire, gli alterizzati e
le alterizzate (Rivera, 2010, p.12).
Non
solo: il fatto di percepire, considerare e trattare gli animali al pari
di cose o merci – di oggetti inerti, dominabili, sfruttabili,
manipolabili, sterminabili – può essere considerato come il modello
generale di tutti i processi di discriminazione, dominazione, reificazione che
investono il mondo degli umani e del sociale. La «bestialità»
attribuita a coloro che sono in posizione dominata o subalterna diviene così la
garanzia dell’umanità di coloro che sono o soltanto si reputano in posizione
dominante.
Tutto ciò è
rappresentato esemplarmente dalle stragi di persone migranti che si consumano
in particolare nel Mediterraneo, la rotta più migranticida dell’intero pianeta, resa
sempre più tale anche per causa della «guerra» condotta dalle istituzioni
contro le Ong dedite alle operazioni di salvataggio in mare. Basta dire che
dall’inizio di quest’anno sono almeno 900 coloro che hanno perso la vita nel
tentativo di raggiungere le coste europee. Per non dire dei tanti e delle
tante – ben 11.000 – che sono state riportate/i con la forza in Libia,
nei cui lager subiranno trattamenti non molto dissimili da quelli inflitti agli
animali da allevamento.
Né servirà a
mutare le infami politiche italiane ed europee il sussulto di coscienza di
persone comuni, giornalisti/e, intellettuali suscitato dalla tragica vicenda
di Joseph, un bimbo di appena sei mesi,
originario della Guinea, che era a bordo di una nave rovesciatasi al largo
della Libia. Nonostante gli operatori della Ong Open Arms fossero
riusciti a sottrarlo alle acque, egli morirà l’11 novembre scorso a
causa dello scandaloso ritardo dei soccorsi “ufficiali”.
Che un
evento così tragico e struggente come quello del piccolo Joseph non riuscirà a
scalfire la fortezza-Europa ce lo insegna la vicenda di Ālān Kurdî, un bimbo di tre anni,
figlio di rifugiati curdo-siriani che tentavano, nel 2015, di raggiungere
il nostro continente. La foto, assai simbolica, del suo cadavere riverso sulla
spiaggia di Bodrum, in Turchia, fece il giro del mondo ed emozionò un gran numero
di persone. Ciò nonostante, nulla mutò sul piano delle politiche
istituzionali relative ad accoglienza, immigrazione e asilo, né servì, quella
foto, a incrinare il sistema-razzismo.
Analogamente,
le terribili immagini di migliaia di cadaveri di visoni ammassati hanno
fatto il giro del mondo, provocando pietas, sdegno e rabbia. Ma
questi sentimenti saranno presto superati se non interverrà la
consapevolezza politica della centralità della lotta contro lo
specismo, matrice del razzismo e del sessismo, e sempre più ispirato dalla
logica cinica del massimo profitto.
Riferimenti
bibliografici
Adorno T.W,
1979 (1951), Minima moralia. Meditazioni della vita offesa,
Einaudi, Torino.
Burgat F.,
1999, «La logique de la légitimation de la violence: animalité vs humanité»,
in: F.Héritier (s.l.d.), De la violence II, Ed. Odile Jacob,
Paris, pp. 45-62.
Rivera A.,
2000, «Una relazione ambigua. Umani e animali fra ragione simbolica e ragione
strumentale», in A. Rivera (a cura di), Homo sapiens e mucca pazza.
Antropologia del rapporto con il mondo animale, pp. 11-71.
Rivera A.,
2010, La Bella, la Bestia e l’Umano. Sessismo e razzismo, senza
escludere lo specismo, Ediesse, Roma.
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