Re:Common, insieme alle oltre 200 organizzazioni della rete internazionale Fossil Free Politics, lancia oggi il rapporto “Trasformare la crisi in opportunità: lobby e grandi manovre dell’industria fossile durante la pandemia”.
Lo studio
rivela come, con il pretesto della pandemia di Covid-19, l’industria dei
combustibili fossili abbia intrapreso un enorme sforzo di lobbying per
accaparrarsi decine di miliardi di euro di sussidi pubblici e come stia
cercando di ottenere concessioni per programmi energetici dannosi per il clima
in tutta Europa. Facendo leva sui rapporti privilegiati con gli organi
decisionali di alto livello sia nazionale che comunitario, la lobby fossile ha
inoltre usato la pandemia per ostacolare le politiche climatiche e spingere
verso una deregulation ambientale.
Mentre i
legislatori europei votano questa settimana una nuova legge europea sul clima,
gli attivisti avvertono che gli interessi del settore dei combustibili fossili
stanno inquinando fortemente il Green Deal dell’UE.
Nonostante
le promesse della Commissione Europea e del governo italiano su una “svolta
verde”, nei piani di ripresa nazionali e dell’UE sono infatti fin troppo
evidenti le impronte della lobby dei combustibili fossili. Molti dei cosiddetti
piani di rilancio prevedono di versare denaro pubblico nelle false soluzioni
preferite dal comparto fossile, come il gas fossile, la cattura e lo stoccaggio
del carbonio (CCS), la compensazione del carbonio e l’idrogeno fossile, che
peggioreranno l’emergenza climatica. La grande industria italiana, e in
particolare quella fossile, ha inoltre lanciato un attacco contro le normative
ambientali culminato nell’approvazione del Decreto Semplificazioni.
L’Italia ha
già concesso alla società petrolchimica Maire Tecnimont un prestito agevolatodi
365 milioni di euro, mentre fin dall’inizio della pandemia Snam e Confindustria
Energia si sono attivate affinché il gas fossile diventi parte integrante dei
piani per la ripresa del nostro Paese. Val la pena ricordare poi che a gestire
gli ingenti fondi previsti per il post-covid sarà la SACE, l’agenzia di credito
all’export controllata dal ministero dell’Economia e vera e propria
“cassaforte” per società come Eni o Saipem, che sono tra i suoi maggiori
beneficiari.
È altresì
degno di nota come il consorzio TAP abbia ottenuto una nuova proroga per
portare a termine il progetto da parte delle autorità italiane. TAP ha
giustificato la richiesta con la scusa della pandemia, ma ha poi di fatto
ammesso che i ritardi sui lavori sono imputabili alla forte resistenza
della comunità locale e all’azione della magistratura.
A livello
continentale, nel rapporto si evidenzia che la Banca Centrale Europea ha
utilizzato il programma di acquisto di bond lanciato durante l’apice della
crisi da coronavirus per fornire liquidità, a compagnie petrolifere come
Eni, Repsol, Shell, OMV e Total, senza imporre condizioni ambientali.
Mentre
milioni di famiglie erano costrette a casa, i massimi livelli della Commissione
europea hanno avuto tre incontri a settimana con i lobbisti dei combustibili
fossili, un’interazione considerata inaccettabile e nociva dalla rete Fossil
Free Politics.
“La pandemia
non ha rallentato l’avanzare della crisi climatica, i cui impatti si stanno
manifestando con sempre più forza in ogni angolo del Pianeta” ha dichiarato
Alessandro Runci di Re:Common, uno degli autori del rapporto. “Persino durante
una crisi sanitaria globale come quella in corso, l’industria fossile si è
attivata per sfruttare la situazione a proprio vantaggio, accapparandosi aiuti
pubblici e interferendo con i piani per la ripresa economica, insinuando la
propria agenda al loro interno. Un rilancio che metta al centro la salute delle
persone e del Pianeta non può essere dettato dagli interessi delle big del
fossile” ha concluso Runci.
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