Più di una recensione del
libro di Elisa Nicoli, Chiara Spadaro, Plastica addio, altreconomia, Milano 2019, pp. 208, € 14,50
Plastica nei
mari, arrivano buone notizie: entro il 2050 non sarà più possibile annegare.
www.lercio.it,
sito di notizie satiriche, febbraio 2019 (qui a p. 23)
È un momento
ideale per presentare questo libro appena arrivato alla Biblioteca del Centro
Studi Sereno Regis di Torino (in gentile omaggio dell’editore milanese altreconomia).
È un momento
ideale perché stiamo per andare in vacanza (o forse siamo già lì o ancora siamo
appena tornati), e ovunque andremo ci sarà qualcosa da fare per mettere in
pratica i consigli contenuti nel libro, per riflettere sui dati che si trovano
nelle sue pagine, per salutare – come suggerisce il titolo – in modo definitivo
il materiale onnipresente che sta invadendo tutti gli spazi: mare, montagna,
lago, fiume, torrente, campagna, città.
Ovunque
siamo – o saremo – in vacanza, ma persino se non potremo
lasciare la nostra casa troveremo la plastica. Non è inquietante? Non ci viene
una leggera nausea? A me sì.
Io mi sento
assediata, da molto più tempo in realtà. Sorrido leggendo delle iniziative
organizzate da Legambiente per «Puliamo il mondo», ricordando di quando – con
mio figlio bambino (ora ha 30 anni) – al mare passeggiavamo per chilometri
lungo la spiaggia adriatica in cui trascorrevamo le vacanze. E sapete qual era
il gioco? Non racchettoni sudaticci, non acquascooter inquinanti
(anche acusticamente), non beach-volley brucia-piedi. Il
nostro gioco mattutino preferito era raccogliere la plastica e buttarla nei
bidoni (disseminati ovunque, a disposizione di chiunque, cavolo,
perché nessuno li usa? Si chiedeva il mio idealista – perché piccolo –
bambino). Era un divertimento perché la varietà degli oggetti era incredibile!
Era
divertente perché mio figlio poteva arricchire la sua attrezzatura per fare
castelli, paesaggi e piste per le biglie: palette, secchielli, formine si
sprecavano a decine, sepolte sotto la sabbia, abbandonati lì da mamme
distratte. Sacchetti che contenevano ombrelloni, tappi di bottiglie, misteriosi
– enormi e lunghissimi pezzi di plastica che emergevano via-via che li tiravamo
fuori da sotto la sabbia erano i nostri tesori.
Lungo la
camminata raccoglievamo anche i complimenti di chi – vedendoci fare questo
«lavoro» – ci ringraziava commentando sull’inciviltà dilagante… «Ma…» diceva
sempre il mio ingenuo e veritiero bambino – «… perché allora non lo fa anche
lui?» o lei, o loro? Già perché?
La
raccolta-plastica diretta sulla spiaggia è le fine però. Molto più utile è
tornare all’inizio. Ed è ciò che fa il libro: ribadire che il problema è
all’origine e che il riciclo è la soluzione che non risolve.Lo dico
anch’io, attirandomi le ire di chi ascolta, quando mi trovo a parlare della
semplicità volontaria e mi dichiaro provocatoriamente non d’accordo sul
riciclaggio.
Le autrici
sono lapidarie con un titolo in particolare, a p. 60: La soluzione che
non risolve: il riciclo. Nelle pagine successive leggiamo dati e numeri che
dimostrano come il riciclaggio non sia risolutivo. Il che non significa non
attuarlo, anzi; il libro insegna a riconoscere i vari, infiniti tipi di
plastica proprio per fare un buon lavoro di raccolta differenziata. Non basta
infatti buttare nel bidone della raccolta-plastica qualunque cosa che noi crediamo essere
«plastica». Per esempio non sono riciclabili (pur essendo di «plastica»)
gli utensili da cucina, i rasoi usa-e-getta, i contenitori delle lenti a
contatto, la cancelleria, i giocattoli, i vasi e i sottovasi per le piante, gli
appendiabiti, le custodie di CD e DVD, le siringhe, le posate monouso, i
bastoncini per mescolare lo zucchero, le valigette delle catene da neve… Lo
sapevate? Di tutti?
Ancora Fritjof Capra, ancora Nanni Salio
Dunque-dunque…
scopriamo che per dire addio alla plastica dobbiamo conoscerla per bene. E il
libro ci aiuta in questo, essendo pieno di sigle e tabelle per riconoscere il
tipo di materiale che abbiamo in mano. E non solo per sapere dove buttarlo,
ma anche per decidere di non più acquistarlo/usarlo/regalarlo. Insomma:
Missione «c’è l’alternativa?» è la nostra d’ora in poi.
Le
alternative sono elencate nella Terza parte: Fare a meno della plastica,
dove scopriamo consigli e azioni per tutti gli àmbiti: cura della persona,
scuola/ufficio, viaggi, animali/bambini, cucina/casa. Le idee sono rivolte a
tutti, senza talebani, ma anzi suddivise per livelli di difficoltà
(principiante, esperto, professionista).
«Padrino»
del paragrafo è Fritjof Capra, citato a p. 108 con la sua riflessione
sull’ecologia profonda, che «non separa gli esseri umani – né ogni altra cosa –
dall’ambiente naturale. Essa [l’ecologia profonda, NdR] non vede il
mondo come una rete di fenomeni che sono fondamentalmente interconnessi e
interdipendenti». Ho adorato trovare Capra citato qui, perché per me la
citazione riguardava anche Nanni Salio (che, per chi ancora non lo sapesse, è
stato il traduttore del libro fondamentale di Fritjof Capra, Il Tao
della fisica, nel lontano 1982). Ho avuto il privilegio di ricevere parole
e discorsi da Nanni Salio, finché è stato sulla Terra, e sempre ricordo la
suddivisione che operava in ecologia superficiale ed ecologia profonda. La
prima è quando ricicliamo la plastica, la seconda è quando decidiamo di non più
comprarla (continuando a usare quella che abbiamo già, proprio per prolungarne
la vita e rimandare il più possibile il momento in cui diventerà rifiuto).
Prolungare
la vita di un vestito di soli 9 mesi riduce del 20-30% il peso di CO2 ,
acqua e rifiuti (dati Worldwide Responsible Accredited Production [WRAP],
2012).
Il concetto
di «ecologia profonda» è ben spiegato qui e là nel libro, con frasi fulminanti
(da scrivere come quelle su calamite da frigo): «non fatevi prendere
dallo shopping compulsivo post-plastica», «la prima regola
resta il non-acquisto», «compra solo ciò che non possedete già» (p. 110).
Esempio: ho uno spremiagrumi di plastica? Non lo butto – anche se nella
raccolta differenziata! – per comprarne uno di vetro. Lo tratterò meglio che
posso, perché duri il più possibile e poi lo comprerò di vetro (e manuale).
Da subito
invece – consiglia sempre il libro – posso smettere di usare/comprare/far
produrre la plastica; è il caso dell’acqua in bottiglia, per esempio. Ma perché
l’Italia è la prima consumatrice d’Europa (e la seconda nel mondo! La seconda!)
di acqua imbottigliata??? Consumiamo 206 litri di acqua in bottiglia, in un
anno, ognuno di noi. Un po’ più di 1/2 litro al giorno. Ma siamo deficienti?
1/2 litro al giorno e non possiamo comprarla nel vetro? Ma forse allora è più
l’«idea» che ci spinge a caricare le nostre auto di pacchi e pacchi di
bottiglie di plastica (imballate in altra plastica!) piene d’acqua? Se poi i
medici insistono sulla necessità di bere di più – anche il nostro medico
ce lo dice: «Dovresti bere di più», e spesso replichiamo «Eh sì… è vero, io non
bevo…» – allora c’è proprio qualcosa che non va… che sia la pubblicità?
L’iniziativa
«Plastic Radar» (2018) ha rilevato la presenze di rifiuti sulle spiagge: 3mila
cittadini hanno fotografato 9 mila immagini.
1 su 4 era una bottiglia di plastica: Acqua Vera, Levissima, Motta e San
Pellegrino, tutte Nestlè…
Conoscere il nemico
Non
perdetevi la Tabella Come riconoscere i diversi polimeri alle
pagine da 18 a 20; ci sono stampati i marchi ben riconoscibili per sapere che
tipo di plastica avete davanti, per decidere di non comprare quello yogurt che
sul fondo ha quella sigla, preferendo cercarlo confezionato nel vetro… sentite
che nomi, invece che «vetro»: bisfenolo, nonilfenoli, PFAS
(perfluoroalchiliche), ritardanti di fiamma… Cosa sono? Additivi nella
fabbricazione delle plastiche, sì, anche quelle «per uso
alimentare», stirene, propilene, eteri di difenile polibromurati… tutto per
ottenere la flessibilità, la resistenza al calore e alla rottura ecc.! E dopo
esservi inquietati con questi nomacci, leggete, nel capitolo 4, I danni
della plastica alla salute umana (da p. 49) per decidere di
ridurre/eliminare la plastica dalle vostre vite (e vene)
e da quelle dei vostri figli e nipoti.
Vi siste
persuasi? Se no, PERSUADED è proprio il nome di un progetto dell’Istituto
Superiore di Sanità (+ il CNR di Pisa, l’università Tor Vergata
e l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma+la rete dei pediatri del SSN). Il
progetto ha condotto un monitoraggio proprio sull’esposizione dei bambini a
ftalati, DEMP e BPA e le malattie infantili (obesità, sviluppo prematuro del
seno (telarca), pubertà precoce). Se visiterete il sito troverete anche un
decalogo con suggerimenti «affini» a quelli del libro che stiamo presentando.
Ne copio qualcuno, da p. 56:
- ridurre l’uso di prodotti in
plastica PVC
- ridurre il tempo con giochi di
plastica – compresi quelli elettronici
- limitare il consumo di cibi
pronti, se preparati e distribuiti in contenitori di plastica
- evitare di utilizzare il
microonde con alimenti già conservati nella plastica
- una volta scaldati consumare
gli alimenti in contenitori diversi dalla plastica
- limitare il consumo di acqua
confezionata in bottiglie di plastica.
Non solo divieti
Il libro è
una miniera di consigli – subito operativi e realizzabili – per non
usare/comprare/regalare la plastica. Cosa usare al posto di cerotti,
assorbenti, carta igienica? Cerca le alternative tra le pagine e troverai siti,
disegni, dati che aiutano a diventare esperti per poter dire «Addio» alla
plastica; ce ne sono disseminati lungo tutto il libro e nell’ultimo
capitolo Materiali utili, 5 pagine fitte di libri, documentari,
associazioni, Campagne, negozi di prodotti sfusi, siti e negozi virtuali,
consigli pratici per farsi le spugne, una borsa con un ombrello rotto o con
una T-shirt:
amputate le maniche
piegate a metà la maglietta e tagliate via il collo
recuperate due strisce di stoffa dalle maniche
fate due taglietti sul bordo inferiore della T-shirt
dentro questi due taglietti
infilate, una per parte, le due strisce di stoffa, usando una
spilla da balia
annodate le strisce tra di loro per chiudere il bordo
Pronta
A intùito…
… ma nel
libro ho trovato continue conferme, ho sempre visto con sospetto il pile,
ho sempre preferito la lavatrice a carica frontale,
La lavatrice
a carica frontale
fa rilasciare 7 volte meno microfibre
di quella a carica dall’alto
(secondo un’indagine commissionata da Patagonia nel 2016, p. 166).
Non ho mai
voluto usare il silicone (né in cucina né sulla pelle né dentro la pelle), non
fumo, non mi trucco, non mi tingo i capelli, ho sempre preferito e comprato la
Coccoina, cerco di usare il meno possibile batterie e aggeggi che ne richiedano
l’impiego, non compro e non uso i tessuti tecnici (sciare ad alta quota,
arrampicare, immergermi negli abissi, campeggiare in situazioni estreme, quando
richiedono l’acquisto e l’uso del cosiddetto technowear, li lascio
proprio stare). A proposito di immersioni: entro il 2050, in termini di peso,
nell’oceano potrebbe esserci più plastica che pesce, e un sacchetto di plastica
è stato rinvenuto a 10.898 metri di profondità, nella Fossa delle Marianne!!!
Per me non è più grave che trovarlo sulla spiaggia dove passeggiavo con mio
figlio. È uguale. Sono tutte conseguenze le une delle altre.
Non possiamo
limitarci a godere del mare e basta?
Senza
costume (niente è come fare il bagno nudi! Io l’ho imparato da mio padre, che
ci portava di notte a farci provare quell’ebbrezza inimitabile), senza pinne né
maschera, muta, bombole, orologi, cuffie… tutte plastiche!!!
Da 131 a 162
milioni di particelle di plastica sono stati trovati nel ghiacciaio del Forni
(uno dei più importanti apparati glaciali italiani: tra 2600 e 3600 m s.l.m.);
è la plastica è finita lassù grazie agli umani, alle loro attività
escursionistiche e scalatorie: «lasciata dall’abbigliamento e dall’attrezzatura
degli escursionisti o trasportata dal vento» (p. 43).
Un normale
lavaggio in lavatrice di un capo sintetico genera in media 1.900 microplastiche
per capo d’abbigliamento, il 180% in più delle fibre rilasciate dai capi di
lana. […] Un solo capo [in poliestere] può rilasciare «fino a 1 milione di
fibre microplastiche in un unico lavaggio (Detox Greenpeace)» (p. 47).
«Beat the
microbead è una campagna contro le microplastiche nei cosmetici: 448
marchi di 119 aziende hanno aderito con la promessa di rimuoverle dai loro
prodotti. Dal 1° gennaio 2020 è vietato commercializzare prodotti cosmetici “da
risciacquo ad azione esfoliante o detergente” contenenti microplastiche» (p.
47).
Non comprare (e non solo perché è la prima legge della
semplicità volontaria)
Verificare
la carta degli scontrini
Da quando ho
letto questo libro per scriverne una recensione (cosa di cui non aveva alcun
bisogno in verità, nel senso che “si vende da solo” – o almeno così dovrebbe
essere) ci faccio caso e scopro cose interessanti: il mio ciclista di fiducia
per esempio (Bicycle Garage, via Barbaroux 40/C, Torino) usa una carta
«BPA free», doppio applauso: perché fa il ciclista e per la scelta
della carta per gli scontrini. Non si dovrebbe usare il BPA – carta termica,
col fenolo – da gennaio 2020. Peccato che se si sostituisce il BPA col BPS
l’impatto sulla salute (negativo) non cambia! Controlliamo la scritta che sta
dietro agli scontrini: KT55FA (senza bisfenolo A), KT55PF (senza bisfenolo
completamente). E semmai cambiamo negozio! Motivando la scelta col negoziante,
così può decidere di cambiare il suo fornitore di rotoli per la cassa…
Questa degli
scontrini è una delle azioni che possiamo cominciare subito a fare. Sono sempre
contenta quando leggo dei libri con informazioni nuove, con azioni
immediatamente applicabili, con cose che già non ia facendo, con suggerimenti
che non conosco, per abbassare il mio impatto sulla Terra. E questo libro
è pieno di cose che non sapevo, di siti nuovi per
approfondire, di operazioni (e ricette, e modelli da cucire) da iniziare domani,
anzi oggi stesso. Subito. Senza aspettare decisioni
dall’alto o leggi improbabili.
Togliere le etichette
Che c’entra
con la plastica dite?
Il vetro è
riciclabile all’infinito, e ci permetterebbe di non avere mai bisogno di
comprare/usare la plastica per conservare i cibi. Personalmente scelgo sempre
il vetro e cerco di riutilizzare i barattoli/le bottigliette/i vasetti (perché
comunque, anche se li butto nel bidone del vetro il riciclaggio costa energia,
tempo, denaro!). Però devo (e voglio) togliere la vecchia etichetta, e se non
riesco a farlo facilmente cambio marca e prodotto, alla ricerca di barattoli la
cui etichetta si rimuova facilmente, solo con un ammollo (e al massimo una
spugna abrasiva). E anche in questo caso le aziende ci faranno caso e magari
cambieranno le colle? Che bisogno c’è di usare una colla che resiste mille anni
e che si toglie solo con altro veleno???
Sacra, ecologicissima Moka
Perché-perché-perché
usiamo le macchinette+cialde per fare il caffè in casa??? E anche in ufficio!!!
Si chiama «pausa caffè» giusto? E come mai vogliamo che duri poco allora, il
meno possibile? «Con la macchinetta si fa prima» è di solito la risposta… bah!
Alle pp. 135
e 136 troviamo alcune notizie riguardanti la legge secondo cui «Il miglior
risveglio dovrebbe essere un caffè biologico e da commercio equo e solidale»
fatto con la Sacra Ecologicissima Moka che se la compriamo di acciaio inox è
pure eterna. Consigli per sostituire le cialde classiche con quelle
riutilizzabili, o che si svuotano e si recupera il caffè per buttarlo nel compost (perché
altrimenti nemmeno le cialde di carta – come le bustine del tè – possono essere
smaltite nell’organico!); indirizzi e siti e tutto. Ma, dico io, perché farsi
questi problemi? Il caffè si fa da secoli con un bricco, una caffettiera
napoletana, una moka inventata apposta! Perchè complichiamo le
cose semplici credendo di… semplificarle?
3 danni in 1
Goletta dei
Laghi è una
Campagna di Legambiente che nel 2018 ha monitorato 20 arenili in Italia (nei
laghi Iseo, Maggiore, Como, Garda, Trasimeno) trovandovi 2 rifiuti e 1/2 in
ogni metro quadro di spiaggia: 2.183 rifiuti censiti, di cui il 75,5% sono
plastica. Quasi il 30% dei rifiuti lacustri è costituito da mozziconi di
sigaretta. Due danni in uno… anzi tre! 1. Le piantagioni di
tabacco (con sfruttamento dei lavoratori, moltissima acqua necessaria per la
coltivazione), 2. il danno sulla salute individuale e
collettiva, infine 3. l’inquinamento da mozziconi!
Un altro «3 danni in 1»?
L’IUCN
(International Union for the Conservation of the Nature-Unione internazionale
per la conservazione della natura) ha pubblicato un Rapporto: Primary
Microplastics in the Ocean: A Global Evaluation of Sources. Dal report si
scopre che il 63,1% (quasi 2 terzi) della dispersione di microplastiche primarie
degli oceani è dovuto al lavaggio dei tessuti sintetici (34,8%) e all’erosione
dei penumatici sintetici durante la guida – 18,3%). Il 77% dei rilasci sono in
àmbito domestico, su cui abbiamo enorme potere: basta pile (nel
senso del tessuto… ma anche delle batterie!), subito.
Conviene non mangiare gli animali (compresi i pesci)
Nel Mar
Tirreno (Liguria, Toscana, Lazio, Campania) tra il 25% e il 30% dei pesci e
degli invertebrati analizzati da Greenpeace nel giugno del 2018 conteneva
micro-particelle di plastica (134 specie del Mediterraneo sono vittime di
ingestione di plastica).
Ma se proprio vogliamo…
mangiarli –
e pescarli – collaboriamo con i pescatori, almeno. La sapevate l’assurdità che
i pescatori non potevano raccogliere i rifiuti di plastica che incontravano
durante la loro attività di pesca – e che spesso la intralciavano –? «Finora, i
pescatori che nelle loro reti raccoglievano rifiuti rischiavano di essere
accusati di traffico di rifiuti ed erano costretti a ributtare in mare la
spazzatura» (!!!).
Ora, con la
legge Salvamare proposta dal ministro Sergio Costa «si introducono disposizioni
per la promozione del recupero dei rifiuti in mare […] con l’obiettivo di
favorire il recupero dei rifiuti accidentalmente pescati, incentivare campagne
volontarie di pulizia del mare e sensibilizzare la collettività per prevenire
l’abbandono dei rifiuti negli ecosistemi marini», p. 35. «Quella della plastica
è un’emergenza planetaria, dobbiamo affrontarla adesso, non si può rinviare –
ha dichiarato il ministro Sergio Costa –. L’Italia, che è bagnata per due terzi
dal mare, vuole essere leader nella soluzione: ci aspettiamo
che il nostro Paese recepisca in tempi record la Direttiva
europea sulla plastica monouso e con obiettivi ancora più coraggiosi e
ambiziosi» (p. 35).
Sempre meglio…
il sapone
del bagnoschiuma;
sempre
meglio la vecchia,
cara Nivea (in scatoletta di alluminio);
sempre
meglio la Coccoina
(anch’essa nella bellissima scatoletta di alluminio; guardate quanta plastica
c’è – e resta, quando la buttiamo – in un singolo stick di
colla!!! Allora sarà facile scegliere;
sempre
meglio autoprodurre
dentifricio, sapone, shampoo (ricette da p. 154 a p. 157).
Intanto si ricicla
La
Commissione Europea ha lanciato un’alleanza per accelerare la transizione del
continente verso un’economia circolare. Si chiama Circular Plastics
Alliance, e intende raggiungere, entro il 2025, almeno 10 milioni di
tonnellate di plastica riciclata in prodotti nuovi sul mercato dell’Unione
Europea. All’Alliance hanno aderito 70 grandi aziende, una sola italiana: la
Coop (esempi a p. 101).
Per
riciclare bene ricordiamoci di imparare le tante sigle sconosciute (a p. 63).
Se una plastica è riciclabile riporta una di queste sigle: PET, PP, PS, PVC,
HDPE, LDPE, O, ognuna con un numero. Se leggiamo il numero 7 – corrispondente
alla lettera O – vuol dire che l’oggetto è fatto di altri, diversi, polimeri,
tutti conferibili nella raccolta differenziata.
E in ufficio?
Cancelleria
d’ufficio senza plastica? C’è! Le Pubbliche Amministrazioni che intendono
sviluppare politiche di Green Procurement (acquisti verdi)
hanno ideato www.AcquistiVerdi.it, un catalogo on-line di
prodotti e servizi ecologici. Niente più scuse!
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