martedì 15 settembre 2020

Salviamo le bambine - Carol Pires

Un giorno del 2015 Rosana ha portato sua figlia di dieci anni all’ospedale, in Paraguay. La bambina vomitava e aveva dolori allo stomaco. Non era la prima volta che la faceva visitare. Diversi medici le avevano prescritto dei farmaci contro i vermi. Uno le aveva diagnosticato un tumore. Ma la bambina, in realtà, era al quinto mese di gravidanza. Il patrigno la violentava all’insaputa della madre. La bambina, chiamata dai giornali Mainumby, non ha potuto abortire.

Il Paraguay, uno dei paesi con il più alto tasso di gravidanze infantili, consente di abortire solo quando c’è un rischio di morte per la madre, ma anche in questi casi le autorizzazioni sono poche. Secondo Amnesty international, 634 paraguaiane tra i dieci e i quattordici anni hanno avuto un figlio nel 2016. Poco dopo aver compiuto 11 anni, Mainumby ha partorito una bambina. I gruppi contro l’aborto che avevano organizzato una campagna per impedirle di interrompere la gravidanza sono comparsi per l’ultima volta quando la neonata ha compiuto un anno. Oggi Mainumby ha 16 anni e la figlia 5. Secondo Rosana, Mainumby soffre di dolori cronici al bacino e all’addome perché la gravidanza ha sottratto calcio al suo corpo in via di sviluppo.

Ebbene sì, il Brasile non è l’unico paese a permettere pratiche barbare come obbligare bambine a dare alla luce altri bambini senza avere le condizioni fisiche, psicologiche e finanziarie per essere madri. Il caso recente della bambina di dieci anni chiamata assassina da un gruppo di fanatici davanti all’ospedale di Recife, dove è stata sottoposta all’interruzione di una gravidanza frutto delle violenze sessuali da parte di uno zio, è una triste realtà. L’America Latina è l’unica regione al mondo dove il tasso di gravidanze tra le minori di 15 anni sta aumentando, sostiene l’organizzazione Niñas, no madres (bambine non madri). Non a caso, qui abbiamo alcune delle leggi più restrittive contro l’aborto, trattato come un problema morale e religioso e non come una questione di salute pubblica. Per questo si moltiplicano casi che fanno orrore.

Violenze e minacce
In Ecuador, la dodicenne Norma è stata stuprata dal padre e costretta a portare avanti la gravidanza nonostante un tentativo di suicidio. Durante il parto, mentre opponeva resistenza, il medico le ha detto: “Se hai aperto le gambe prima, perché non puoi farlo ora?”. In Nicaragua Lucia è stata messa incinta dal pastore della chiesa che frequentava. Il fatto è diventato di pubblico dominio, ma l’uomo non è stato arrestato. Susana ha cominciato a essere molestata dal nonno a sei anni, è rimasta incinta a 13 e ancora oggi deve scappare dal suo aggressore. In Brasile ogni giorno sei bambine tra i dieci e i quattordici anni interrompono legalmente una gravidanza frutto di violenza. Di solito i responsabili sono familiari, vicini o conoscenti. Alle violenze seguono le minacce. Quando restano incinte, le bambine sono colpevolizzate e non hanno nessun sostegno. Le statistiche mostrano che molte abbandonano gli studi, hanno meno possibilità di trovare un buon lavoro e convivono con le conseguenze fisiche e psicologiche degli abusi. I loro figli hanno ancora meno probabilità di uscire dalla povertà.

Per combattere questi crimini serve un cambiamento culturale. Bambine e adolescenti devono essere spinte a denunciare gli abusi il prima possibile. Per questo, devono essere educate da subito. La giornalista Helen Beltrame-Linné racconta che in Svezia i bambini imparano presto ad allungare un braccio con la mano aperta e a dire: “Stopp, min kropp” (Stop, il mio corpo). La frase dà il nome a un manuale che insegna come parlare con i bambini dei limiti sul loro corpo. Sensibilizzati su cosa devono dire se si sentono disturbati o minacciati, imparano a capire quando un approccio è inopportuno e a segnalarlo. Il manuale dice, per esempio, che non dobbiamo forzare i nostri figli a baciare, abbracciare e a sedere in braccio ad altre persone.

In Brasile, dove si registrano ogni anno 26mila parti di madri in età compresa tra i dieci e i quattordici anni, l’educazione sessuale e i diritti riproduttivi devono essere discussi pubblicamente. Uno dei punti più bassi della politica brasiliana è stato toccato durante la campagna elettorale del 2010, quando Dilma Rousseff e José Serra, entrambi provenienti dalla sinistra, si sono dichiarati contro l’aborto per non perdere l’appoggio dei conservatori. Da allora, la situazione è precipitata. Alle ultime elezioni, una campagna diffamatoria associava Fernando Haddad, candidato di sinistra, all’incesto e alla pedofilia.

Se la parte più moderata della società non supererà la paura di parlare di diritti riproduttivi ed educazione sessuale – che, a differenza di quanto afferma il presidente brasiliano, non vuol dire insegnare il sesso ai bambini – consegneremo il dibattito agli estremisti. Se la questione non sarà messa sul tavolo, scene come quelle all’ospedale di Recife saranno solo una premessa dei futuri scontri elettorali.

 

(Traduzione di Alberto Riva)

Questo articolo è uscito sul numero 1374 di Internazionale.

 

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