É stato
pubblicato recentemente il rapporto “Analisi del Rischio. I cambiamenti climatici in Italia”, realizzato
dalla Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici). Si
tratta della prima analisi integrata del rischio climatico in Italia.
Che cosa prevede? I diversi modelli climatici sono concordi
nel valutare un aumento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050
(rispetto a 1981-2010) e, nello scenario peggiore, un aumento che può
raggiungere i 5°C.
Con quali conseguenze? Un significativo
aggravamento della situazione già ora complessa relativa al rischio
geo-idrogeologico; una drastica riduzione della disponibilità di risorsa idrica
rinnovabile, sia superficiale che sotterranea, con periodi prolungati di
siccità ed eventi metereologici estremi; pesanti conseguenze quali-quantitative
sui sistemi agricoli;
forte peggioramento della qualità della vita nelle città, dovuta al
legame tra l’innalzamento della temperatura in ambiente urbano (isole di
calore) e le concentrazioni di ozono (O3) e di polveri sottili (PM10), con
particolari ripercussioni sulla salute delle fasce più fragili della
popolazione
Con quali costi economici per la collettività? Lo studio rileva una proporzionalità
diretta tra aumento della temperatura climatica e aumento dei costi
economico-finanziari, con valori compresi tra lo 0,5% e l’8% del Pil a fine
secolo.
I cambiamenti climatici aumenteranno la disuguaglianza economica tra le
regioni e tutti i settori dell’economia italiana risulteranno impattati negativamente, mentre le
perdite maggiori si andranno a determinare nelle reti e nella dotazione
infrastrutturale del Paese, nell’agricoltura e nel settore turistico nei
segmenti sia estivo che invernale.
Essendo il
primo studio che affronta le conseguenze del cambiamento climatico non solo da
un punto di vista globale, ma nello specifico della situazione italiana,
sarebbe logico che divenisse la base sulla quale i governi formulassero le
proprie strategie d’intervento.
Di cosa parlano invece le linee guida del governo italiano per il
Recovery Plan, ovvero
l’insieme di progetti e interventi per accedere agli oltre 200 miliardi
previsti dal Recovery Fund europeo?
L’obiettivo
sembra essere la riduzione dell’impatto economico provocato dalla pandemia,
attraverso il raddoppio del tasso di crescita e un aumento di 10 punti del
tasso di occupazione.
Non si parla di conversione ecologica come strategia tanto radicale quanto assolutamente necessaria, ma semplicemente come opportunità per realizzare gli obiettivi economici sopra richiamati.
Data la
premessa, sembra ovvia la conseguenza: l’insieme dei progetti di investimento
che accompagnano le linee guida sono
un ammasso informe di centinaia di iniziative, senza capo né coda e spesso
contraddittorie tra loro, concepite con l’unico obiettivo di spendere per “far
girare l’economia”.
Salvo
concludersi con l’usuale monito che il tutto dovrà essere accompagnato dalla
riduzione del rapporto debito/Pil attraverso un significativo aumento del saldo
primario (leggi: drastica riduzione della spesa sociale).
Possiamo immaginare due anni di spese folli dettate dai diktat di
Confindustria e dalle lobby finanziarie con l’obiettivo del rilancio
dell’economia (che poi è da sempre l’econo-loro) e poi la riedizione
dell’austerità, basata sulla trappola del debito, sul patto di stabilità e sul
pareggio di bilancio?
“Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della
cura” è
l’obiettivo di un percorso di convergenza che centinaia di realtà sociali, reti
associative e di movimento hanno avviato dentro la pandemia e dopo il lockdown
e sul quale chiamano tutt* alla partecipazione e alla mobilitazione sociale.
Sarà di
questo che dovranno parlare le strade dell’autunno che comincia.
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