In queste settimane si è vivacizzato il
dibattito sul progetto di centrale eolica off shore al largo
dalla costa sud occidentale della Sardegna.
Sostegno all’iniziativa, pieno e
acritico, è stato espresso,
come di consueto, da Greenpeace e Legambiente e, stavolta, anche dal WWF.
Tutto legittimo, anche se
rimangono sospese parecchie domande sulla reale utilità per la
collettività (non per l’azienda proponente) di un progetto energetico comunque
impattante sull’ambiente e le varie componenti ambientali (fra le tante cose,
lì passa la rotta migratoria del Tonno rosso,
finora bellamente ignorata dal progetto), non sostitutivo delle fonti
energetiche fossili ora utilizzate (non esiste alcun obbligo giuridico in tema)
e non utile al comparto regionale, che già esporta quasi la metà dell’energia
elettrica prodotta.
Tutte domande alle quali dovrebbero
seriamente rispondere le cugine associazioni ambientaliste
favorevoli prima di lanciarsi in lodi sperticate verso il progetto.
Vediamo perché non è tutto oro
quel che luccica.
Come noto,
la Ichnusa Wind Power s.r.l.,
società energetica milanese decisamente minimalista e parca di
informazioni (ma non di relazioni), ha presentato un progetto
per la realizzazione di una centrale eolica off shore, con
42 “torri eoliche” altre 265 metri, su una superficie marina di 49 mila metri
quadri, a circa 35 chilometri (circa 19 miglia marine) dalla costa dell’Isola
di San Pietro e del Sulcis (Sardegna sud-occidentale).
La potenza prevista è di 12 MW ciascuna
per complessivi 504 MW, mentre “l’impianto eolico sarà formato da due
sottoparchi costituiti da 21 turbine ciascuno. La distanza geometrica minima
tra le singole turbine è 1800 metri“. Le “torri” eoliche saranno
galleggianti, e “costituiscono un innovativo sviluppo tecnologico del
settore eolico che permette di realizzare parchi eolici offshore su fondali
profondi” (Floating Offshore Wind Farm – FOWF).
La durata prevista della centrale eolica
sarebbe di 30 anni e il cavidotto di collegamento dovrebbe approdare sulla
terraferma a Portoscuso.
Al momento il progetto è
stato presentato al Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del
Mare per la fase di scoping (verifica
preliminare), che precede la predisposizione dello studio di impatto ambientale
finalizzato alla procedura di
valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) (qui la
documentazione presentata).
In parole povere, il progetto è
ancora in alto mare, sebbene sia già da verificare con estrema
attenzione.
Ma a chi servirebbe un così rilevante
quantitativo di energia, oltre a chi lo produce (e ci guadagna)?
Attualmente (dati piano energetico
ambientale regionale) in Sardegna abbiamo i seguenti dati
relativi alle fonti di produzione energetica: 78% termoelettrica,
11% eolica, 5% bioenergie, 5% fotovoltaico, 1% idroelettrico. Fonte
termoelettrica: 42% carbone; 49% derivati dal petrolio; 9%
biomasse.
Tuttavia, oltre il 46%
dell’energia prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato,
quando possibile, vista la limitata capacità dei due sistemi di trasporto
dell’energia (cavidotti SAPEI e SACOI) ,
complessivamente 1.400 MW.
Il terzo collegamento – fra la Sicilia e
la Sardegna – recentemente annunciato dal Governo nazionale e oggetto di un
accordo fra Regione Siciliana, Terna s.p.a. e Cassa Depositi e Prestiti (settembre 2019)
– non ha finora
incontrato il favore della Regione autonoma della Sardegna, che
punta sul metano.
Quindi, allo stato, se tale energia
sostituisse con un qualche meccanismo giuridicamente coattivo oggi non
esistente le fonti fossili più inquinanti (petrolio e derivati, carbone) allora
il progetto potrebbe avere utilità collettiva oppure non avrebbe alcun senso,
sarebbe semplicemente dannoso al contesto socio-economico locale (pesca,
turismo)..
In proposito, sarebbe opportuno puntare
sullo sviluppo della ricerca e la realizzazione di sistemi di
accumulo energetico.
L’Isola di San Pietro, il Sulcis, la
Sardegna non hanno minimamente bisogno di diventare una “piattaforma di produzione
energetica” per lucrosi interessi particolari privati.
Stefano Deliperi è il portavoce del
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
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