Partendo dal dibattito che si è acceso sul tema in questi giorni, Paolo Piacentini – presidente onorario di FederTrek – prova a immaginare una risposta al problema dello spopolamento delle aree interne.
Nelle ultime
settimane è esplosa la polemica politica sul tema dello spopolamento
delle aree interne. Il confronto dal Parlamento si è trasferito
all’esterno coinvolgendo l’antropologo
Vito Teti, chiamato in causa in modo alquanto maldestro dal ministro
Foti. Vito ha risposto con la sua consueta lucidità e altrettanto ha fatto
lo storico dell’Appennino Augusto Ciuffetti. Entrambi hanno evidenziato
l’assenza di una visione chiara che, bisogna ammetterlo, viene da molto lontano
e quindi ha responsabilità politiche bipartisan.
Alle prime
risposte accennate è seguita una lettera molto
importante per contenuti e valenza politica da parte del sindaco di Gagliano
Aterno Luca Santilli, a cui ha fatto seguito un articolo a più pagine, sul quotidiano
il Centro. A seguito della ferma presa di posizione del sindaco di
Gagliano Aterno si sono fatti sentire altri sindaci per evidenziare
tutti quei fenomeni di nuovi insediamenti che danno quella speranza
che il governo sembra non voler cogliere.
Parlare
dello spopolamento come fenomeno irreversibile vuol dire lasciare che le nostre
aree interne, soprattutto in alcune aree montane più lontane dal “centro”
politico e geografico, diventino un territorio da invadere con un
economia estrattivista sempre più imperante. Senza riprendere le
riflessioni di Vito e di Augusto, che pur nelle loro sfumature e diversità
condivido da tempo, provo a mettere il dito nella piaga di alcune problematiche
troppo spesso sottovalutate.
Quando si
parla di politiche per arginare lo spopolamento o addirittura provare ad
attivare un controesodo la presenza della natura o del valore dei paesaggi
sembrano essere elementi secondari perché non hanno un valore economico
tangibile. Come a essere trascurata è la fragilità della maggior parte
delle aree interne, soprattutto quelle montane. Di quest’ultimo problematica ci
si rende conto solo quando arriva la frana di turno, fenomeno che negli
ultimi è sempre più frequente.
Partiamo
dalla presenza delle risorse naturali nel loro insieme alle quali, da molti
anni, è stato riconosciuto un valore economico attraverso il meccanismo
virtuoso dei servizi ecosistemici. L’aver dato un valore economico alle
risorse naturali per incentivare le comunità locali a mantenerle nel
tempo anche a beneficio delle future generazioni è stata una grande novità, ma
purtroppo ad oggi siamo all’anno zero. Qualche situazione è stata attivata ma
rispetto alla grande opportunità di trasformazione culturale, sociale ed
economica sul come riabitare le aree interne con una nuova consapevolezza
purtroppo nulla di significativo sembra emergere.
Il mancato
funzionamento dei servizi ecosistemici sta, in piccola parte, nella complessità
del meccanismo, ma il limite più grande lo troviamo nelle
istituzioni preposte e nella politica tutta che non hanno creduto alle
potenzialità di tale strumento. Immaginate una piccola comunità, anche
quella più marginale in termini geografici, che viene coinvolta nella corretta
gestione delle risorse naturali traendone un vantaggio economico e sociale. A
quel punto, se il meccanismo dovesse andare a regime forse non servirebbero
altre politiche fiscali di vantaggio e nel medio lungo termine i finanziamenti
d’investimento o per la spesa corrente potrebbero trovare una finalizzazione
più coerente con le esigenze delle comunità interessate.
Il
territorio urbano e l’area rurale hanno perso le funzioni storiche
dell’attività umana e con queste anche la ritualità che dava un senso
all’abitare. Se i luoghi non trasmettono più un significato legato alle
attività umane – siano esse produttive, ludiche, religiose o altro – a
subentrare è quello che Vito Teti definisce in modo molto chiaro come
spaesamento.
Si vive in
un territorio come residenti senza esserne dei veri abitanti se leghiamo questo
sostantivo al prendersi cura di uno spazio geografico ben definito. Non ci
potrà mai essere una seria politica per la montagna e per le aree interne se le
istituzioni preposte non andranno oltre quelle misure legislative, economiche e
fiscali che comunque vanno messe in campo, per andare a lavorare seriamente
per far nascere una nuova cultura dell’abitare.
Mi capita
spesso di affermare, nel mio girovagare appenninico, che il vero
abitante di un luogo è colui che si prende cura dei paesaggi, intesi nella
loro complessità storico-culturale, naturale e ambientale. Può esistere anche
un abitare temporaneo, come accade ad esempio al viaggiatore consapevole che
contribuisce a far ri-nascere un nuovo modo di rapportarsi ad ogni singolo
territorio. Certo non può definirsi abitante temporaneo il turista mordi e
fuggi, fosse pure “ lento” e dolce.
Il territorio urbano e l’area rurale
hanno perso le funzioni storiche dell’attività umana e con queste anche la
ritualità che dava un senso all’abitare
Capita
sempre più frequentemente che a ridare un senso all’abitare in modo nuovo le
aree interne e montane siano i nuovi arrivati ed è per questo che non è
assolutamente banale pensare a una politica demografica che incentivi un
virtuoso flusso migratorio verso i piccoli paesi. Per stare con i
piedi per terra e cercare di tenere aperto un confronto laico con chiunque ha a
cuore le aree interne della nostra Penisola bisogna allora avviare una nuova
stagione d’ascolto e proposta che abbia alcuni punti fermi:
- Effettiva attuazione dei
servizi ecosistemici, compresa la parte dei benefici immateriali per
attivare la non più rinviabile alleanza tra città e montagna basata sulla
consapevolezza di quanto l’urbanizzazione delle pianura e della costa
dipendono dalle risorse della “spina dorsale” del Paese.
- Favorire i processi migratori
dalla città alle aree interne – cosa che, in piccola parte, accade da
qualche anno – attraverso una seria defiscalizzazione delle attività
produttive, sociali e culturali.
- Frenare con norme molto
stringenti i fenomeni speculativi che, oltre a essere molto spesso eterodiretti,
estraggono risorse senza nessun vantaggio per le comunità locali.
La politica
per frenare la crisi demografica è molto complessa e la mia vuole essere un’analisi
parziale che tocca aspetti scarsamente attenzionati nel dibattito
pubblico. Ci torneremo.
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