Abbiamo un problema con l’America. Alcuni direbbero che in realtà, soprattutto in questo momento storico, i problemi sono più di uno. Io però mi occupo di viaggi, quindi mi concentro sul mio settore. Il problema – che io considero serio e senza, purtroppo, una soluzione in vista – è questo: il turismo americano sta facendo lievitare i prezzi di molte città in giro per il mondo.
Non c’è
bisogno di essere economisti di Cambridge per capirne il motivo: nonostante
un’inflazione galoppante che negli ultimi anni ha minato il loro potere
d’acquisto, gli stipendi degli americani – soprattutto quelli di chi
vive sulla West e sulla East Coast: parliamo di parecchie decine di milioni di
persone – sono decisamente più alti degli stipendi percepiti da chi vive nei
paesi che gli americani visitano ogni anno.
Questo
differenziale determina un effetto definibile come “gentrificazione
turistica”: quando turisti provenienti da economie con redditi più
alti, come quella statunitense, affollano determinate destinazioni, essi sono
disposti a pagare prezzi più elevati per alloggi, ristoranti e servizi. Gli
operatori locali, di conseguenza, alzano i prezzi per massimizzare i
profitti, rendendo l’esperienza inaccessibile o meno sostenibile per i
turisti provenienti da paesi con redditi medi più bassi e, in molti casi,
persino per la popolazione locale.
Negli ultimi 15 anni ho visitato 60 Stati e ho avuto modo di constatare che gli americani sono ovunque. Prediligono però alcune destinazioni: il Messico, i Caraibi (il Costa Rica è una loro enclave), il Giappone, la Tailandia e molti paesi europei, tra cui Inghilterra, Spagna, Francia e Italia. Il nostro paese è nella top 3 delle preferenze degli yankee: gli aumenti del costo della vita in città come Milano, Roma e Venezia – quest’ultima monopolizzata di recente da Jeff Bezos e consorte – ne sono la testimonianza. Certo, non tutte le colpe sono riconducibili ai turisti americani e ai loro stipendi. Come sempre è la politica a essere la prima complice della turistificazione.
Nella città
in cui vivo, Bologna, la sinistra al caviale si è resa
protagonista di una serie di scelte che hanno chiuso le porte in faccia ai
comuni cittadini e aperto portoni a investitori danarosi, il cui obiettivo è
quello di rendere la città più appetibile, ma solo per chi la visita e spende
in beni e servizi. Per dirla sempre con gli americani: Talk left, live
right.
Ora però torniamo
a noi. Temo che, nel giro di una manciata d’anni, un’altra destinazione
– geograficamente molto vicina all’Italia – sarà destinata a finire nel
calderone delle mete overturistiche. Sto parlando, per chi non l’avesse capito,
dell’Albania. Le voci che si rincorrevano da tempo sull’interesse di Ivanka
Trump e del marito Jared Kushner per l’isola di Saseno, nella baia di
Valona, hanno infine trovato conferma. Secondo il Guardian, la
figlia di Donald Trump e l’immobiliarista nato nel New Jersey hanno intenzione
– una volta completata la bonifica dagli ordigni inesplosi: Saseno era usata
nei decenni del regime come presidio militare – di trasformare l’isola in una nuova mecca del turismo ultra-lusso. L’investimento, un miliardo di
dollari circa, andrà a sommarsi al portafoglio immobiliare della coppia che
incarna plasticamente il turbocapitalismo neosionista di matrice trumpiana.
Così,
mentre Leonardo DiCaprio ha di recente acquistato l’isola
di Guafo, in Cile, per proteggerla da attività minerarie e deforestazioni, Saseno è pronta a
essere riconvertita in paradiso esclusivo per pochi, mentre l’Albania intera
rischia di diventare l’ennesimo laboratorio di gentrificazione travestita
da sviluppo turistico.
Dicevo prima
che la politica ha sempre la sua grossa parte di responsabilità. Secondo il
primo ministro albanese Edi Rama, “l’Albania ha bisogno del turismo
di lusso come un deserto ha bisogno d’acqua”. Rama non sa, o fa finta di non
sapere, che l’arrivo di capitali porta sempre con sé inflazione: nei
prossimi anni l’investimento di Trump e coniuge provocherà l’espulsione lenta
ma progressiva di molti residenti dal distretto di Valona, spinti
ai margini da un’economia che premia solo chi può permettersi di comprare,
costruire o speculare.
Secondo il
magazine Monitor, nel 2024 in Albania si è già registrato un
incremento medio dei prezzi delle strutture alberghiere del 25-30 percento. I
rialzi più elevati sono stati rilevati a Sud – da Vlora, la principale città
del distretto di Valona, a Ksamil e Saranda: se nel 2023 si poteva prenotare un
hotel nel centro di Valona a 40-50 euro a notte, oggi – basta fare
una ricerca su Booking.com – è difficile trovare qualcosa
sotto i 70-90 euro, anche per strutture di fascia media. E non è
raro che i prezzi superino i 200 euro a notte per gli hotel con vista mare.
Ci tengo a
specificare, in conclusione, che gli americani non sono gli unici turisti a
provocare questa dinamica. I tedeschi, ad esempio, si sono resi
indirettamente responsabili del forte aumento dei prezzi in Croazia negli
ultimi 10-15 anni: molti italiani – la nostra capacità di spesa è nettamente
inferiore rispetto a quella di tedeschi, americani, inglesi e spesso persino di
quella degli spagnoli e dei cugini francesi – non hanno potuto fare altro che
escludere questo Paese dalla lista delle proprie destinazioni preferite. Una
delle ultime mete a noi vicine e a basso costo era l’Albania. Tempo che le
dinamiche del turismo internazionale facciano il proprio corso e poi, con i
nostri stipendiucci, non potremo permetterci neanche di andare in vacanza da
quelli che consideravamo i vicini poveri.
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