Alle latitudini roventi dove germoglia, l’avocado fiorisce una
sola volta l’anno. Solo in un posto al mondo, per l’eccezionale suolo vulcanico
e piogge abbondanti, l’albero matura quattro volte invece di una sola: in Messico.
Ma la terra-paradiso per questa pianta è diventata inferno per
gli uomini che la abitano. Di avocado, per l’avocado, in Messico, muoiono
uomini e foreste.
Se compri droga, è molto probabile che tu sappia che, per farla arrivare
tra le tue mani, è stato compiuto ogni tipo di crimini. Molto probabilmente non
pensi le stesse cose se compri al supermercato un semplice avocado. Invece, la
terra sudamericana è intrisa di sangue, paradossi e semi di quest’albero ora al
centro delle guerre tra cartelli di droga, colossi industriali, onesti
coltivatori e coraggiosi indigeni che lottano per salvare le foreste.
Per i miliardi di guadagni che genera il suo commercio, il frutto consumato
decine di migliaia di anni fa già dagli aztechi, hanno cominciato a chiamarlo “oro
verde”. Quattro avocado su cinque che in questo momento gli americani
stanno mangiando arrivano da regioni controllate dai potentissimi cartelli
della droga. “Il 90% degli avocado consumati negli Usa arriva dal Messico, di
questi l’80% arriva da Michoacan. L’aumento della violenza è indissolubilmente
legato a quello della domanda: in questi anni sono cresciute insieme”
spiega Daniel Wilkinson, tra i vertici di Climate Rights
International. Almeno da un ventennio, da quando il consumo di avocado è
triplicato su una mappa che si è così espansa che è difficile da contenere in
un solo grafico, e da quando il Messico è diventato maggiore produttore
mondiale, la questione avocado è diventata politica e diplomatica. Le cose
hanno iniziato a cambiare nel 1997 col Nafta (Accordo di libero scambio
nordamericano) che ha aperto le frontiere Usa al frutto del sud. Secondo
l’Organizzazione delle Nazioni tra il 1994 e il 2021, le esportazioni di
avocado dal Messico sono aumentate del 3.536%. Dal 2019 al 2023, il Messico ha
esportato negli Stati Uniti quasi cinque milioni di tonnellate di
avocado che hanno fruttato 11 miliardi di dollari. A questi
guadagni si sono aggiunte altre cifre con molti zeri per l’export partito verso
Europa e Asia: oltre 2 miliardi di dollari negli ultimi cinque anni. “Quando i
profitti aumentano, la criminalità organizzata vuole appropriarsi del mercato”
spiega Wilkinson.
Il 2019 è stato un anno più rosso degli altri a Michoacan.
Porpora era la scia di sangue che hanno seguito gli agenti quando hanno trovato
una fila di cadaveri che penzolavano dal ponte di un cavalcavia. Cumuli di
mani, piedi, teste erano stati disseminati nello stesso posto, poco lontano.
I diciannove corpi fatti a pezzi erano un messaggio del
cartello CJNG (Jalisco Nuova Generazione) per i Los Viagras, gruppo criminale
rivale nella guerra per il controllo della filiera del pomo verde, un conflitto
in cui erano coinvolte anche La Familia Michoacana e los Caballeros Templarios.
Nel 2022 due agenti americani sono stati attaccati mentre ispezionavano i
carichi: le gang erano riuscite a raggiungere perfino loro e per questo è stato
temporaneamente messo un freno alle forniture. Quella settimana di sospensione
dell’export è costata di dieci milioni di dollari di profitti mancati ai
messicani.
“Tutto è cambiato dopo la pubblicazione della nostra ricerca finita su
tutti i giornali del mondo”. Wilkinson parla di un report che
ha scosso l’opinione pubblica fino alle sue più profonde fondamenta, che l’ha
resa consapevole degli abusi di diritti umani e ambientali compiuti a colpi di
machete e kalashnikov: il report “Unholy
Guacamole”. In traduzione: “empio guacamole”. È il documento che nel
2023 ha fatto emergere quel filo invisibile che legava le grandi aziende della
distribuzione alla deforestazione del Paese e alla violenza compiuta contro le
foreste messicane e i suoi abitanti, indigeni e locali. Il rapporto, che ha
rilevato che “l’80% delle piantagioni di avocado nel Michoacán sono state
avviate illegalmente”, ha anche dimostrato che le ciclopiche catene di
supermercati Usa si rifornivano da frutteti nati da disboscamenti
criminali.
I cartelli della droga sono entrati nel mercato dell’avocado, all’inizio,
solo fornendo “protezione”: un’estorsione per proteggere i campi dei
coltivatori da gruppi rivali. Poi hanno espanso il loro potere insieme agli
appezzamenti che finivano sotto il loro controllo: minacciavano e cacciavano
via i locali che abitavano in quelle terre che avevano individuate come idonee
alla coltivazione di avocado. Prima bruciavano tutto e poi piantavano,
estirpando le vite di chi su quei terreni viveva. Chi si è opposto, semplicemente,
è morto. “L’impatto ambientale di queste coltivazioni violente e intensive è
che la foresta sparisce: basta questo a devastare le falde acquifere”. Poi si
procedeva col furto d’acqua – di cui hanno sempre sete le
piante di avocado –: con pompe lunghissime piantate in torrenti e fiumi
venivano irrigate illegalmente le coltivazioni. Per questa siccità artificiale
indotta rischiano di sparire interi laghi.
Dopo la pressione esercitata dal lavoro costante e sotterraneo degli
attivisti e nativi, i colossi della distribuzione hanno deciso
di usare il Forest Guardian Monitoring System, un sistema satellitare che
monitora lo stato dei terreni, per non distribuire più avocado intrisi di
sangue e crimini. “Se sei un agente messicano, puoi essere ammazzato o corrotto
dai cartelli. Ma puoi sparare a un uomo, non a un satellite” dice Wilkinson,
che è stato uno delle teste d’ariete dell’organizzazione che per anni ha
lottato per far approvare una certificazione che ora impedirà agli avocado
coltivati su terre disboscate di finire sul mercato. Una leva per frenare le
lame criminali, quelle che tranciano tronchi degli alberi quanto le gole di chi
si oppone allo scempio ambientale. Per questo di avocado, da Washington a Città
del Messico, stanno parlando ambasciatori e membri dell’amministrazione della
presidente Claudia Sheinbaum, non solo coltivatori e attivisti che
si impegnano a rendere sostenibile la coltivazione del frutto che sta
diventando catalizzatore di una crisi ambientale e sociale.
A febbraio scorso l’ambasciatore statunitense in Messico, Ken Salazar, ha
promesso che gli avocado provenienti da frutteti illegali non avrebbero
raggiunto il mercato Usa, ormai accessibile solo alle aziende che partecipano
al programma statale “Pro-Forest Avocado”. “C’era resistenza contro ogni
tipo di regolamento per paura che l’intera industria venisse bloccata o
impattata. Poi, per paura di perdere accesso al mercato, le aziende hanno
deciso di supportare la certificazione: l’idea alla base non è uccidere
l’industria che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone, ma renderla sostenibile,
eliminando l’incentivo al profitto illegale. Le autorità, davanti alla
situazione fuori controllo, si sono allineate alla società civile che chiedeva
giustizia” spiega Wilkinson.
Ora un’altra lotta è all’orizzonte. L’ultimo regolamento Ue del
2023 per la tutela della biodiversità impone alle aziende verifiche per
certificare che i beni importati non derivino da recenti deforestazioni, ma
l’avocado non è incluso nella lista delle merci sottoposte a controlli. Se
qualcuno dovesse cominciare a lottare anche in Europa, può ispirarsi alla
battaglia messicana, dove attivisti climatici, agricoltori, indigeni si sono
battuti, spalla a spalla, per salvare la terra.
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