giovedì 17 luglio 2025

Il furto degli asini di Gaza: il colonialismo mascherato da tutela animale - Grazia Parolari


Migliaia di asini a Gaza sono stati strappati alle loro famiglie e deportati in Europa, in nome di un presunto “salvataggio”. Questi animali sono oggi al centro di una controversa operazione che nasconde una realtà ben più complessa e dolorosa. Non si tratta di tutela animale, ma di un furto che riproduce, in forma specista, il colonialismo che sta uccidendo Gaza e la sua gente.


L’asino: compagno quotidiano, simbolo culturale e spirituale della Palestina

Da secoli, l’asino è parte integrante della vita palestinese, nelle campagne della Cisgiordania come tra le strade polverose di Gaza: trasporta acqua, ortaggi, pietre, legna, persone. Prima dei checkpoint e del muro, portava i bambini a scuola, i contadini nei campi, il pane nei mercati.

 Ma l’asino non è soltanto un mezzo di trasporto: è un alleato instancabile, una figura profondamente radicata nella cultura popolare, nella memoria collettiva, nella vita familiare, e perfino nella spiritualità.

In un territorio segnato da colonizzazione e assedio, la sua presenza silenziosa ha assunto, nel tempo, un valore sempre più simbolico e la sua figura è divenuta parte importante dell’identità collettiva: animali pazienti, intelligenti, capaci di percorrere sentieri difficili, esattamente come il popolo che li accudisce.

Il murales di Bansky sul muro di separazione a Betlemme, prima che venisse trafugato

Un’immagine potente di questa sovrapposizione tra la quotidianetà del popolo palestinese e quella degli animali l’ha rappresentata Banksy in uno dei suoi murales: un soldato israeliano che ferma un asino per un controllo dei documenti. L’artista ha scelto proprio l’asino per denunciare, con il suo consueto sarcasmo tagliente, come la violenza dell’occupazione si abbatta su ogni forma di vita, e come l’asino – figura centrale nella vita palestinese – diventi involontario testimone e vittima della stessa brutalità.

Il rispetto verso l’asino è anche presente nella tradizione islamica. Nel Corano (2:259) (1), Allah riporta in vita un asino come segno del Suo potere di risurrezione, in risposta allo stupore di un uomo che si chiedeva come una città distrutta potesse tornare alla vita. (E non si può non pensare a Gaza, che nonostante tutto continua a resistere e a sperare in una rinascita.)

Il Profeta Muhammad possedeva un asino, Ya‘fūr(2), e gli mostrava grande gentilezza. Questo legame viene ricordato come esempio di compassione verso gli animali e rispetto per la loro dignità.

Nel pensiero islamico, l’asino incarna qualità spirituali come umiltà, perseveranza e la capacità di portare silenziosamente il peso della vita.

L’aggressione e l’assedio: gli asini come ancora di salvezza

Nel contesto del genocidio in corso a Gaza, l’asino è diventato un simbolo ancora più eloquente. Resiste, continua a servire, aiuta a sopravvivere: è l’immagine stessa di una comunità che, schiacciata e sterminata dal colonizzatore, non si arrende.

Gli asini sono “assolutamente vitali a Gaza”, afferma Ciro Fiorillo, capo dell’ufficio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) in Palestina, in una intervista al canale online Bigissue.com:  “La carenza di carburante, le strade danneggiate e gli accessi limitati rendono il trasporto meccanizzato inaffidabile o impossibile”.

Animali come asini, cavalli e muli sono un’ancora di salvezza“, continua Fiorillo. “Trasportano merci – cibo, acqua e altri beni essenziali – e trasportano persone e aiuti umanitari attraverso strade dove i veicoli non possono circolare”.

È difficile calcolare il numero totale di asini a Gaza. Le valutazioni della FAO indicano che a febbraio 2025 erano ancora vivi 3.964 animali da lavoro, ma l’organizzazione ammette la difficoltà di ottenere dati in una zona di guerra attiva. Il Dott. Alden, veterinario di Gaza, ritiene che il numero totale di animali sia maggiore: “Pur riconoscendo i dati della FAO, la nostra esperienza sul campo suggerisce una cifra più alta. Basandoci sul numero di asini curati, riteniamo che il totale sia intorno ai 10.000, con numero analogo probabilmente morto a causa della guerra.”

Anche prima della guerra, gli asini erano importanti nella densamente popolata e povera Gaza. L’embargo economico israeliano, durato diciotto anni, limitava la fornitura di camion e carburante, quindi i carretti trainati da asini trasportavano prodotti agricoli, materiali da costruzione e rifiuti.

Allo scoppio della guerra, sono anche diventati ambulanze: “Gli asini sono diventati il principale mezzo di trasporto per le persone che necessitano di cure mediche urgenti, e dei corpi dei martiri”, spiega il dott. Alden, “e hanno facilitato gli spostamenti delle persone a seguito degli incessanti ordini di evacuazione israeliani”

Quando ancora il carburante era disponibile, il costo di un gallone era salito alla vertiginosa cifra di 28 dollari, con i prezzi degli asini aumentati di conseguenza. Prima dell’ottobre 2023, un carro e un asino potevano valere 800 dollari, stima il dott. Alden. A settembre dello scorso anno, si poteva arrivare a più di 3.000 dollari.

Il grande carico di lavoro ha un impatto importante sugli animali. La grave carenza di foraggio e medicinali veterinari a Gaza li lascia affamati e malati, afferma Fiorillo. “Gli animali sono malnutriti e vulnerabili. E con la carestia e l’aumento dei costi, molti proprietari faticano a permettersi cure adeguate per i loro animali.”

Asini gazawi trasportati in Europa

Propaganda mascherata da salvataggio

Potrebbe quindi sembrare un’ottima notizia il trasferimento in Europa, principalmente in Francia e in Svizzera, di centinaia di asini gazawi a cura di alcune associazioni animaliste israeliane che, in collaborazione con l’IDF che si occupa di prelevare gli asini nella Striscia, presentano l’operazione come un’azione di salvataggio urgente per animali feriti e maltrattati. Ma ciò che appare come un gesto di compassione cela, in realtà, una dinamica molto più inquietante,(oltre al fatto che quella stessa IDF che si occupa di “salvare” gli asini, li prende di mira e uccide esattamente come fa con i loro compagni umani).

Israele ruba gli asini da Gaza [Akhbar Al Yawm/Facebook}

Dietro l’apparente intento umanitario, questa rimozione forzata è parte di una strategia ben più ampia: quella dell’animalwashing, ovvero l’uso della tutela degli animali per ripulire l’immagine dell’occupante e distogliere l’attenzione dalle sue responsabilità nella crisi umanitaria.

In questo caso, la narrazione si concentra sulla “crudeltà” dei gazawi nei confronti dei propri animali, ignorando il contesto in cui questa sofferenza si produce: Gaza è sotto assedio, affamata, assetata, privata di carburante, di cibo, di farmaci, di foraggio. Chi blocca l’ingresso dei medicinali veterinari? Chi impedisce il passaggio dei camion con il mangime? Chi bombarda e distrugge le cliniche veterinarie?

In queste condizioni, attribuire le colpe ai palestinesi, dipingendoli come incapaci o negligenti verso i propri animali, è volutamente fuorviante e ipocrita. Gli asini soffrono, è vero — ma soffrono insieme ai loro compagni umani, vittime dello stesso assedio, dello stesso collasso sistemico, della stessa fame.

Oltre all’inaccettabile strumentalizzazione morale, questo “salvataggio” produce inoltre un danno diretto e concreto: priva la popolazione palestinese dell’ultimo mezzo di trasporto rimasto, fondamentale per la sopravvivenza quotidiana.

Conseguenze e implicazioni politiche

Israele non è nuovo a questo tipo di operazioni: già dal 2021 era in vigore un divieto di importazione di asini a Gaza, ufficialmente giustificato non solo con la salvaguardia degli animali da supposti maltrattamenti, ma anche dalla falsa notizia che i gazawi uccidessero gli asini per vendere le pelli in Egitto e poi in Cina. Notizia mai confermata da fonti indipendenti, ma utile a creare l’immagine di un popolo “incivile” da cui gli animali vanno salvati, e funzionale nel deprivare i gazawi di una componente fondamentale della loro resilienza.

Su quella strada già tracciata, oggi accade quindi che decine, centinaia di asini vengano “strappati” a Gaza – ovvero, deportati – e trasferiti in Europa. Il santuario israeliano Starting Over Sanctuary (SOS), che dopo il 7 ottobre ha ricevuto oltre 1.200 asini, ha stretto una collaborazione con l’organizzazione britannica Network for Animals, organizzando i primi voli per l’Europa. Il 18 maggio 2025, 58 asini sono stati caricati su un aereo cargo e inviati in rifugi in Francia e Belgio. Un secondo volo è previsto, mentre si cercano fondi per completare l’operazione. In precedenza, erano già stati inviati circa 300 asini al rifugio inglese Wood Green.

La fondatrice di SOS, Sharon Cohen, con l’asino Avigdor nella sua nuova casa in Francia. Foto: SOS

Commovente tutto ciò? Ma cosa, stiamo davvero celebrando ?

Gli asini non sono pacchi da esportazione. Non sono trofei da esibire per lavare le coscienze. E non sono animali randagi in cerca di casa: avevano già una casa, una vita, un territorio, condiviso con le comunità palestinesi che li curavano, li rispettavano, li usavano per lavorare e muoversi in un contesto di risorse limitate. Il loro esilio è l’altra faccia della distruzione sistematica della vita a Gaza.

E i rifugi europei che li accolgono – pur animati da buone intenzioni – diventano complici inconsapevoli (ma non innocenti) di questo esilio. Accettano animali strappati da un contesto sotto occupazione, senza interrogarsi su come e perché questi animali arrivino da loro. Non chiedono conto della violenza che li ha preceduti. Non fanno domande sul significato politico di quei “trasferimenti” .

Emblematico il caso de La Tanière – Zoo Refuge, vicino alla città francese di Chartres, che ha accolto calorosamente gli asini e li ha celebrati come simbolo di “compassione e civiltà”, presentando a ogni asino una “storia di fuga dall’inferno”, senza alcun riferimento alle loro origini palestinesi o alle loro famiglie anzi, definendoli “asini in arrivo da Israele”.

In un mondo che ama “salvare gli animali”, ma che può permettersi di ignorare le persone, questi asini diventano strumenti di una narrazione tossica: Israele come paese civile che salva, Gaza come luogo selvaggio da cui gli animali vanno tratti in salvo. Una narrativa coloniale, specista, predatoria.

La libertà degli asini – come quella degli umani – non si costruisce nei rifugi, ma ponendo fine all’occupazione, alla distruzione, all’assedio. Un asino che bruca l’erba in Francia, mentre la sua casa a Gaza viene bombardata, non è un animale libero: è un rifugiato senza ritorno, strumentalizzato per rendere più digeribile un crimine.

Gli asini di Gaza non hanno bisogno di voli in Europa. Hanno bisogno che cessi l’occupazione sionista, sostenuta e giustificata dall’Occidente. Hanno bisogno che venga restituita dignità e libertà a chi vive con loro: un popolo esiliato, occupato, a cui da oltre 75 anni viene negato il diritto di tornare alle proprie terre e di vivere in un proprio Stato libero e indipendente...


Note:

1 – O oppure come colui che passò presso un villaggio che giaceva in rovina sulle sue [stesse] [sedi], e disse: «Come potrà Allah far rivivere queste [rovine] dopo la loro morte?» Allah lo fece morire per cento anni, poi lo risuscitò e gli chiese: «Quanto tempo sei rimasto qui?» Rispose: «Sono rimasto un giorno o parte di un giorno». Disse: «No, sei rimasto per cento anni. Guarda il tuo cibo e la tua bevanda: non si sono alterati; guarda il tuo asino: lo abbiamo fatto diventare scheletro e poi lo abbiamo rivestito di carne. E tutto questo perché ti abbiamo fatto un segno per gli uomini. Guarda le ossa: come le solleviamo, poi le rivestiamo di carne». Quando gli fu chiaro [che Allah ha potere su tutto], disse: «So che Allah ha potere su ogni cosa»”.

2 – Yaʽfūr era l’asino usato dal Profeta come mezzo di trasporto. Descritto come dono del governatore bizantino dell’Egitto, Yaʽfūr viene spesso citato nella sīrah come animale montato senza briglie.Alcune tradizioni narrano che Yaʽfūr parlò al Profeta, rivelando la sua genealogia e il suo desiderio di servire – un racconto presente nella compilazione Kitāb al-Ḥadāyā wa’l-Tuhaf e riportato anche dal commentatore Ibn Kathīr .La credenza che tali tradizioni siano autentiche è dibattuta fra gli studiosi; la maggioranza le considera poco affidabili o deboli, ma esse restano parte del patrimonio leggendario intorno alla figura di Yaʽfūr .

Fonti:

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