Il potere di avanzamento della tecnologia e la riduzione dei suoi costi di produzione hanno creato un ecosistema di tecnologie digitali interdipendenti che sostengono la trasformazione digitale.
Secondo l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE)i, questo ecosistema si evolverà e, in
futuro, continuerà a guidare il cambiamento economico e sociale. Attualmente
l'ecosistema è sostenuto dall'internet delle cose (IoT nell'acronimo inglese),
dalle reti wireless di prossima generazione (5G), dal cloud computing,
dall'analisi dei big data, dall'intelligenza artificiale, dalla blockchain (o
catene di blocchi) e dal calcolo ad alte prestazioni, anche se le tecnologie
che modellano l'evoluzione dell'ecosistema sono destinate a cambiare nel tempo.
Si dice che
davanti a noi abbiamo una rivoluzione. Tuttavia, è altrettanto facile sostenere
che sembra una nuova evoluzione della stessa cosa: il capitalismo ha
trovato una nuova vita con le tecnologie digitali. In una continuazione delle
pratiche estrattive e colonialiste, questa volta le tecnologie digitali
rivendicano l'esperienza umana come materia prima gratuita da tradurre in dati
comportamentali. La nuova “rivoluzione” si chiama Quarta Rivoluzione
Industriale e, per le aziende che ne beneficiano, suona come una rivolta
felice.
Le aziende possono ora sfruttare ogni nostro passo quotidiano senza nemmeno
fare affidamento sul fatto che accendiamo o meno i nostri dispositivi: le
“città intelligenti” e tutti i nostri comportamenti mediati da “dispositivi
intelligenti” (IoT) possono essere trasformati in dati, elaborati da più
aziende e venduti nei mercati dei futuri comportamenti che, al di là degli
annunci online mirati, si estendono a molti altri settori.
Ma le
rivoluzioni richiedono velocità. Un senso di urgenza sta contagiando gli Stati
dormienti che mancano di idee a favore del benessere sociale di massa.
L'iniziativa nelle politiche pubbliche è ora dettata dal settore privato che,
con un respiro di sollievo, chiede ai governi di facilitare la “trasformazione
digitale”.
È una situazione vantaggiosa per entrambi: le aziende private avranno infinite
miniere di dati (di ognuno e ognuna di noi) e gli stati potranno avere una
maggiore produzione e quindi migliori quote di crescita.
Il
cambiamento climatico come opportunità di fare affari
La
trasformazione digitale ha ricevuto una spinta inaspettata e drammatica poco
più di cinque anni fa. Il 12 dicembre 2015, nella Conferenza delle Nazioni
Unite sui Cambiamenti Climatici di Parigi (COP21), le parti della Convenzione
Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) hanno raggiunto
un accordo storico per combattere l'emergenza climatica e per accelerare e
intensificare le azioni e gli investimenti necessari per un futuro sostenibile
e a basse emissioni di carbonio. Mitigare il cambiamento climatico significa
ridurre il consumo di energia, principalmente attraverso la creazione di un
sistema di energia rinnovabile.
L'Accordo di
Parigi si riferisce esplicitamente all'innovazione nell'articolo 10, paragrafo
5.
Inoltre, per sfruttare appieno il potenziale delle tecnologie per il clima,
l'UNFCCC afferma che è cruciale innovare e usare “tecnologie rivoluzionarie” in
altri ambiti per migliorare le nostre vite “come la nanotecnologia, le catene
di blocchi (o blockchain), l'internet delle cose e altre tecnologie di
comunicazione e informazione.” ii
L'UNFCCC
(Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) ci ricorda
anche che l'innovazione tecnologica deve essere inclusiva ed equa per ottenere
il massimo impatto.
Secondo
Riegeriii, ci sono teoricamente tre modi in
cui le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) conducono alla
dematerializzazione (intesa come diminuzione dell'uso delle risorse). Da un
lato le ICT porterebbero alla dematerializzazione sostituendo i beni materiali
con quelli virtuali, per esempio sostituendo le copie fisiche degli album
musicali con copie digitali.
D'altra parte, il settore delle ICT ha un impatto ambientale minore rispetto a
molti altri ambiti. A seconda dei settori economici che sostituisce, la sua
crescita potrebbe ridurre le emissioni totali dell'economia nel suo insieme.
Infatti, la sostenibilità è stata identificata come uno dei principali benefici
dell'economia digitale, specialmente nei processi di produzione, dove
l'allocazione delle risorse (prodotti, materiali, energia e acqua) può essere
resa più efficiente attraverso una gestione intelligente che utilizza varie
tecnologie. Infine, l'uso diffuso di queste tecnologie aumenterebbe
l'efficienza energetica e delle risorse.
Secondo un
rapporto commissionato alla società privata Accenture dalla Global
e-Sustainability Initiative (GeSi), le ICT possono permettere una riduzione del
20% delle emissioni globali di CO2 entro il 2030, mantenendole ai livelli del
2015: “Questo significa che possiamo potenzialmente evitare il dilemma tra
prosperità economica e protezione ambientale”.iv
Il paradosso
ecologico dell'economia digitale
È tuttavia
essenziale capire che gli effetti benefici delle ICT - ridurre il consumo di
energia e facilitare il passaggio alle energie rinnovabili - devono essere
valutati rispetto agli effetti dannosi diretti del nostro passaggio a
un'economia digitale. Tra questi ci sono le emissioni dovute all'aumento della
produzione, dell'uso e dell'eliminazione delle ICT. In altre parole, dobbiamo
considerare il costo materiale dell'immaginario etereo della digitalizzazione.
Si riconosce
che l'evoluzione dell'ecosistema tecnologico che sostiene l'economia digitale
va accompagnata da un insolito aumento del consumo di energia. Tuttavia, questa
relazione positiva tra digitalizzazione e consumo di energia non esiste in
tutti i paesi e in tutti i settori energetici. Per affrontare queste criticità
fondamentali nei sistemi e nei dispositivi di telecomunicazione, è stata
sviluppata una visione olistica chiamata “comunicazione verde”, che mira ad
aumentare l'efficienza energetica su tutta la scala delle reti di comunicazione
e informatica.v
Per esempio, tra le altre tecnologie, ci sono sforzi per diminuire il consumo
di energia nella diffusione del 5G e nei data center. Anche se l'efficienza
energetica è in aumento da decenni nel settore delle ICT, le promesse di
ridurre il consumo di energia attraverso la digitalizzazione non sono ancora
state comprovate. Secondo un recente studio di Lange et al., “la
digitalizzazione demolisce il suo stesso potenziale” per ridurre la domanda
di energia.
Inoltre,
come mostrano recenti risultati sulla dematerializzazione e le ICT in Europa:
"Sebbene
la dematerializzazione si sia probabilmente verificata in specifici
settori dell'economia - ne sono esempi la digitalizzazione di musica, libri e
film, così come l'aumento del telelavoro, delle teleconferenze e la diffusione
del commercio online - si tratta ancora di un cambiamento limitato e non ha
avuto un impatto sul consumo nel suo complesso".vi
Questo
paradosso prodotto dall'aumento della produzione, dell'uso e dello smaltimento
delle ITC ha anche un impatto diretto sulla gestione dei rifiuti di
apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), o rifiuti elettronici.
La miniaturizzazione, l'obsolescenza dei dispositivi e la maggiore versatilità
dei dispositivi (ad esempio con la nuova generazione di dispositivi compatibili
5G) hanno contribuito alla ridondanza dei dispositivi più vecchi. Secondo Forti
et al.vii , il peso totale del consumo
globale di apparecchiature elettriche ed elettroniche aumenta in media di 2,5
milioni di tonnellate ogni anno, anche escludendo i pannelli fotovoltaici.
Inoltre, nel 2019, il mondo ha generato una quantità impressionante - 53,6
milioni di tonnellate - di rifiuti elettronici, una media di 7,3 kg pro capite.
Si stima che
57 miliardi di dollari di materie prime secondarie fossero presenti nei RAEE
generati nel 2019. L'estrattivismo urbano cerca di recuperare materiali
secondari e di ridurre l'esaurimento delle materie prime primarie. Tuttavia
questo non è sempre fattibile, soprattutto perché produce inquinamento
dell'aria, dell'acqua e del suolo a causa degli effluenti provenienti da
attività di riciclaggio spesso informali. Inoltre, la progettazione dei
dispositivi per facilitare il loro successivo riciclaggio rimane una scommessa.
C'è anche da
tenere in considerazione i costi ecologici dell'estrazione di materie prime per
fabbricare la nuova generazione di dispositivi tecnologici, tecnologie verdi
comprese. I conflitti politici, ambientali e culturali creati dall'
“estrattivismo verde”, che non fa che approfondire il divario economico tra
paesi sviluppati e non sviluppati, dovrebbero essere un serio indicatore dei
costi reali dell'innovazione e, soprattutto, di chi finisce per pagarne il
prezzo.
Anche
l'essere umano fa parte del paradosso ecologico in questa catena estrattiva.
Più le tecnologie diventano efficienti più gli esseri umani saranno sfruttati
come materia prima, poiché siamo le fonti del surplus del capitalismo di
sorveglianza. I costi materiali della digitalizzazione vanno oltre l'uso delle
risorse naturali, includendo anche l'estrattivismo umano. Tuttavia, le
conseguenze di ciò sull'ambiente devono ancora essere esaminate. Per ora si può
sostenere che, come parte del ciclo del capitalismo, lo sfruttamento dei nostri
dati è in parte motivato dalla promozione del consumo infinito nelle economie
digitali.
Tecnologia per una trasformazione socioecologica egualitaria
In linea con
i concetti egemonici dell'economia digitale, l'emergenza climatica è, piuttosto
che una crisi senza precedenti prodotta dal Capitalocene, un'opportunità di
business. Questo ha portato a una visione neoliberale depoliticizzata che
domina le attuali tecnologie. Il loro progetto e il loro impiego cercano di
risolvere problemi strutturali di sostenibilità con la mera efficienza e
produttività, allineandole con politiche di austerità. La logica
dell'estrattivismo puro applicata alle tecnologie è contraria a qualsiasi norma
etica post-umana e apre la strada a orrori come l'“apartheid climatica”.
In tempi
urgenti del Capitalocene è imperativo creare tecnologie alternative; ma invece
di concepire gli hackerspaces o le imprese open source come tentativi degni ma
individuali che galleggiano in assenza di un orizzonte politico, la sfida è che
le tecnologie digitali siano impiegate in una configurazione socio-economica e
socio-ambientale qualitativamente diversa, che non sia solo “meno delle stesse
cose”. In questo contesto è forse il momento di esplorare criticamente il
progetto di decrescita.
La
decrescita è un progetto di trasformazione socio-ecologica radicale ed
egualitaria che mira a decolonizzare l'immaginario sociale della ricerca della
crescita senza fine.
Come affermano Mastini et al., la decrescita cerca una riduzione equa della
produzione con una conseguente garanzia di benessere.viii
La loro
ipotesi è che il PIL possa diminuire e che, tuttavia, la qualità della vita
possa migliorare. Da questo punto di vista, il capitalismo e il suo paradigma
di crescita economica ci hanno portato a un limite planetario in cui non è
possibile ridurre le emissioni di carbonio alla velocità necessaria. Inoltre,
basandosi sulla storia, la decrescita rifiuta l'idea che il solo dispiegamento
di energie rinnovabili sia sufficiente a sostituire i combustibili fossili
nella produzione di energia dato che, per esempio, la scoperta del petrolio
come fonte di energia non ha sostituito il carbone.
Il paradigma
della decrescita è ancora agli inizi e molto resta da fare, compreso il ruolo
fondamentale che le tecnologie devono avere in esso. Inoltre, la transizione
alla decrescita deve essere pianificata come uno sforzo planetario e
partecipativo per evitare disuguaglianze strutturali. Con tutte le sue infinite
sfide, la decrescita può essere uno stimolo per i tecnologi, la società civile,
il mondo accademico, i governi e le imprese ad allontanarsi dalla logica
estrattivista e dare forma a un'economia digitale sostenibile.
L'umanità
non ha tempo da perdere. Se vogliamo sopravvivere come specie, abbiamo bisogno
di una innovazione strutturale. Abbiamo bisogno di situarci su una soglia
diversa dove umani e non umani, comprese le macchine intelligenti, possano
coesistere in modo solidale di fronte alle sfide di un pianeta che, ci piaccia
o no, è già irrimediabilmente diverso.
* Paz Peña è una consulente indipendente e un'attivista
nell'intersezione tra tecnologia, femminismo e giustizia sociale.
** Traduzione in italiano di Marina Zenobio per Ecor.Network
Articolo tratto
dalla rivista America Latina en Movimiento, n. 554, novembre 2021, pp. 2/6.
Il numero è intitolato "Tecnologia e Medio Ambiente. Respuestas desde el
Sur".
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