di Movimento per la Decrescita Felice (MDF)
Tratto da:
Il Tempo
della Decrescita Felice
Movimento per la Decrescita Felice (MDF)
Novembre 2021 - 46 pp.
Negli ultimi
vent’anni è stata sdoganata la retorica secondo cui si sarebbe potuto aumentare
il PIL riducendo al contempo le emissioni e in generale gli impatti ambientali.
Non è successo, e non è probabile che succeda in futuro. I concetti improbabili
di “sviluppo sostenibile” e “crescita verde” hanno contribuito in maniera
determinante a far sì che l’allarme sulla salute del pianeta venisse
ignorato. Oggi ne paghiamo le conseguenze. Il rapporto dell’European
Environmental Bureau, pubblicato nel luglio 2019, pone una questione non più
rinviabile: le politiche dei governi devono andare oltre la crescita.
Che la crescita infinita in una biosfera che ha dei limiti fisici fosse un
mito, si sa dal 1972. Quell’anno un gruppo di giovani scienziati del
Massachussets Institute of Technology, con il loro rapporto I limiti dello
sviluppo che ha cambiato il dibattito mondiale sull’ambiente, hanno messo in
guardia l’umanità da due pericoli: l’incoscienza e la cupidigia
che guidavano l’idea di una crescita senza freni. Tuttavia, la nascita dei
concetti di “sviluppo sostenibile” e “crescita verde” ha frenato la carica
trasformativa di quell’allarme.
Le istituzioni hanno riconosciuto i rischi ambientali della crescita a tutti i
costi, consentendo però al sistema economico e produttivo non cambiare le sue
logiche. Si è pensato per decenni che con qualche investimento nell’efficienza
il PIL potesse continuare a salire, mentre l’impatto climatico e ambientale
della produzione sarebbe sceso.
Tuttavia un
importante studio 1, tradotto in italiano dal Movimento
per la Decrescita Felice 2, dimostra che non c’è mai stato un
disaccoppiamento e chiede un radicale cambio di paradigma. Il report si
intitola Decoupling debunked e lo ha pubblicato l’European Environmental Bureau
(EEB), una piattaforma che riunisce oltre 143 organizzazioni con sede in più di
30 paesi. Il team internazionale di ricercatori che lo ha scritto ritiene
prioritario ridurre la produzione di beni e servizi, soprattutto nei paesi
ricchi. In un pianeta che si sta riscaldando a velocità forse troppo alte per
evitare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici, secondo gli esperti non
si dovrà più parlare di efficienza, ma di sufficienza. Simili prese di
posizione dovrebbero far discutere, anche se finora i media hanno pressoché
ignorato i risultati della ricerca, perché il dibattito fra le due scuole di
pensiero della “crescita verde” e della decrescita ha visto prevalere
nettamente la prima.
I sostenitori della “crescita verde” ritengono che il progresso tecnologico
consentirà un disaccoppiamento fra la crescita economica ed emissioni
climalteranti. Tradotto: investendo molto nell’efficienza delle produzioni,
sarà possibile continuare ad aumentare la produzione di beni e servizi
inquinando di meno, consumando meno risorse e lasciando il tempo al pianeta di
rigenerarle. I promotori della decrescita o della “post-crescita”, al
contrario, sono convinti che un’espansione infinita dell’economia all’interno
di una biosfera finita sia impossibile. La risposta, a questo punto, starebbe
nella riduzione della produzione e del consumo nei paesi più ricchi, con
conseguente abbassamento del PIL.
Ad oggi, la narrativa sulla “crescita verde” è dominante in tutte le
istituzioni politiche ed economiche internazionali. Tutto è cominciato nel
2001, quando l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(OCSE) ha sposato l’obiettivo del disaccoppiamento, poi divenuto un perno della
sua strategia verso la “crescita sostenibile”.
A ruota è seguita la Commissione Europea, che nel suo sesto Programma d’azione
per l’ambiente, ha annunciato il suo obiettivo di "rompere il vecchio
legame tra crescita economica e danno ambientale". Nel 2011 la strategia
dell’UNEP – il Programma ambientale delle Nazioni Unite – ha scommesso sulle
capacità della “crescita verde” di "ridurre significativamente i rischi
ambientali e la miseria ecologica".
Il 2012 ha visto scendere in campo anche la Banca Mondiale, in un coro unanime
coronato dall’inclusione del disaccoppiamento fra i target specifici degli
Obiettivi di sviluppo sostenibile, la “Bibbia” delle Nazioni Unite per il
futuro dell’umanità sul pianeta. Di qui in poi, è stato un proliferare di
ricerche e studi che confermavano come l’economia in alcuni settori e in alcuni
paesi stesse progressivamente liberandosi dello stigma delle emissioni.
Il castello di carte è crollato l’8 luglio 2019, quando l’EEB, con Decoupling
Debunked, ha pubblicato la prima analisi di tutta la letteratura empirica e
teorica sul tema. I ricercatori hanno verificato se davvero stiamo assistendo a
una “crescita verde”, arrivando alla conclusione che "non solo non ci sono
prove empiriche a sostegno dell’esistenza di un disaccoppiamento della crescita
economica dalle pressioni ambientali in misura anche solo vicina a ciò che
servirebbe per affrontare il collasso ambientale, ma, e forse è ancora più
importante, sembra improbabile che tale disaccoppiamento si verifichi in
futuro".
Questa doccia di acqua ghiacciata pone i decisori politici (soprattutto quelli
dei paesi ricchi) davanti ad un bivio: ignorare le conclusioni dell’EEB e
continuare business as usual, o riconoscere che forse occorre elaborare
politiche più prudenti verso la ricerca di un continuo aumento del PIL. Il
rapporto traccia una strada possibile: le strategie produttive basate
sull’efficienza dovrebbero essere integrate dalla ricerca della sufficienza,
ovvero da un «ridimensionamento della produzione economica in molti settori e
una riduzione parallela del consumo, che insieme consentiranno un buon vivere
entro i limiti ecologici del pianeta».
La validità del discorso sulla “crescita verde” presume un disaccoppiamento
globale, assoluto e permanente, ampio e abbastanza rapido della crescita
economica da tutti gli impatti negativi sull’ambiente. Secondo il team di
Decoupling Debunked tutto questo non sta succedendo. In tutti i casi
considerati – materie prime, energia, acqua, gas serra, terra, inquinanti
idrici e perdita di biodiversità – il disaccoppiamento è solo relativo,
temporaneo o localizzato. È successo nel 2007-2008 per la crisi economica e nel
2015-2016, come si legge da entusiastici rapporti dell’Agenzia internazionale
dell’energia (IEA) poi rivelatisi fuochi di paglia. La Cina stava spostando una
parte significativa della produzione energetica dal carbone all’oil&gas,
mentre gli Stati Uniti accrescevano la quota di gas nel mix energetico. Ben
presto, però, completata la transizione, economia ed emissioni sono tornate ad
accoppiarsi (+1.6% nel 2017 e +2.7% nel 2018). Prendendo altri casi settoriali
in cui il disaccoppiamento dovrebbe verificarsi, il rapporto rivela che non si
è mai vista una forbice, anzi. Per quanto riguarda i flussi di risorse minerali
e organiche estratte dall’ambiente, ad esempio, nei paesi OCSE l’accoppiamento
stabile fra loro uso e crescita è evidente. La cosiddetta material footprint è
aumentata del 50% fra il 1990 e il 2008 registrando un +6% di utilizzo ogni
+10% di PIL. A dirci che siamo già in forte debito con l’ecosistema sono anche
i numeri assoluti: per essere ecologicamente sostenibili, dovremmo limitare il
consumo di risorse a circa 50 miliardi di tonnellate l’anno. Già nel 2009,
però, questo numero era a 67,6. Il rapporto dimostra come l’entusiasmo dei
sostenitori della “crescita verde” sia frutto di "una sostanziale finzione
statistica", e indica almeno sette ragioni per essere scettici riguardo al
verificarsi di un disaccoppiamento assoluto e sufficiente nel futuro.
Aumento
della spesa energetica. L’estrazione risorse di solito diventa più costosa man
mano che le scorte si esauriscono: quando le opzioni più economiche non bastano
più, si passa a sistemi caratterizzati da una maggiore intensità energetica,
con conseguente aumento della pressione sull’ambiente. È il caso del gas di
scisto o del petrolio da sabbie bituminose, che richiedono processi di
estrazione molto impattanti perché si tratta di materie prime non facili da
recuperare.
Effetti
rimbalzo. I miglioramenti nell’efficienza sono spesso compensati, del tutto o
in parte, da un utilizzo dei risparmi per aumentare i consumi nello stesso
settore o in altri. Non è raro che un’auto a basso consumo venga utilizzata più
spesso, o che il denaro risparmiato venga speso in un biglietto aereo per
vacanze che altrimenti non ci si poteva permettere. Inoltre, la promozione di
automobili più efficienti può rafforzare una mobilità basata sull’auto privata,
invece di spostare il sistema di trasporto verso i mezzi pubblici e la
bicicletta.
chi di paglia. La Cina stava spostando una parte significativa della produzione
energetica dal carbone all’oil&gas, mentre gli Stati Uniti accrescevano la
quota di gas nel mix energetico. Ben presto, però, completata la transizione,
economia ed emissioni sono tornate ad accoppiarsi (+1.6% nel 2017 e +2.7% nel
2018). Prendendo altri casi settoriali in cui il disaccoppiamento dovrebbe
verificarsi, il rapporto rivela che non si è mai vista una forbice, anzi. Per
quanto riguarda i flussi di risorse minerali e organiche estratte
dall’ambiente, ad esempio, nei paesi OCSE l’accoppiamento stabile fra loro uso
e crescita è evidente. La cosiddetta material footprint è aumentata del 50% fra
il 1990 e il 2008 registrando un +6% di utilizzo ogni +10% di PIL. A dirci che
siamo già in forte debito con l’ecosistema sono anche i numeri assoluti: per
essere ecologicamente sostenibili, dovremmo limitare il consumo di risorse a
circa 50 miliardi di tonnellate l’anno. Già nel 2009, però, questo numero era a
67,6. Il rapporto dimostra come l’entusiasmo dei sostenitori della “crescita
verde” sia frutto di "una sostanziale finzione statistica", e indica
almeno sette ragioni per essere scettici riguardo al verificarsi di un
disaccoppiamento assoluto e sufficiente nel futuro.
Spostamento
dei problemi. Le soluzioni tecnologiche a un problema ambientale possono
crearne di nuovi o esacerbarne altri. Ad esempio, la produzione di energia
elettrica per la mobilità privata causa pressioni sulle riserve di litio, rame
e cobalto, mentre i biocarburanti sottraggono suolo alla produzione di cibo.
Impatto sottovalutato dei servizi. L’economia dei servizi può esistere solo se
basata sull’economia materiale. I servizi hanno un’impronta significativa che
spesso si aggiunge a quella dei beni invece di sostituirla.
Potenziale limitato del riciclo. I tassi di riciclo sono attualmente bassi e
crescono lentamente. Un loro aumento richiederà una quantità significativa
di energia e materie prime. Inoltre, ad oggi il riciclo ha una capacità
limitata di supportare un’economia materiale in crescita.
Cambiamenti tecnologici insufficienti e inappropriati. Il progresso tecnologico
non sta prendendo di mira i fattori di produzione che contano per la
sostenibilità ecologica e non porta al tipo di innovazioni che riducono le
pressioni ambientali. Non è abbastanza dirompente perché non riesce a
sostituire altre tecnologie indesiderabili e non è abbastanza veloce da
consentire un disaccoppiamento sufficiente.
Trasferimento dei costi. In alcuni casi il disaccoppiamento calcolato su base
locale non è altro che l’effetto di un’esternalizzazione dell’impatto
ambientale in altri paesi, favorita dalle regole del commercio internazionale.
Di fronte a questi risultati, e con una decina d’anni appena per invertire i
trend di riscaldamento globale globale, il rapporto dell’European Environmental
Bureau pone una questione non più rinviabile: andare oltre la crescita nella
scrittura delle politiche. Vent’anni di strategie improntate alla “crescita
verde” da parte di tutte le più importanti istituzioni internazionali non hanno
portato ai risultati previsti: "Il disaccoppiamento – scrivono i
ricercatori nelle loro conclusioni – ha fallito nel raggiungere la
sostenibilità ecologica che aveva promesso. Non è che gli aumenti
dell’efficienza non siano necessari, ma è irrealistico aspettarsi che possano
scollegare in modo assoluto, globale e permanente dalla sua base biofisica un
metabolismo economico in costante crescita". Basarsi soltanto su questo
per risolvere i problemi ambientali "sembra essere estremamente rischioso
e irresponsabile", scrivono. E cercare di risolvere questioni di giustizia
sociale ed ecologica con il disaccoppiamento "è come provare a tagliare un
albero con il cucchiaio: un’operazione probabilmente lunga, e ancora più
probabilmente destinata a fallire".
NOTE:
1) https://eeb.org/library/decoupling-debunked/
2) https://luce-edizioni.it/prodotto/il-mito-della-crescita-verde/
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