Cinque deputati del Movimento 5 Stelle, membri della Commissione Agricoltura
della Camera, stanno per avanzare una Proposta di Legge sul rilascio in
ambiente dei nuovi OGM. Il partito guidato da Giuseppe Conte,
che ha sempre fatto della contrarietà alla manipolazione genetica del cibo una
delle sue bandiere, sta dunque per voltare le spalle al principio di
precauzione e a una politica basata sulla sicurezza alimentare e i diritti dei
contadini.
La PdL, che Crocevia e Associazione Rurale Italiana hanno potuto leggere, è
firmata dal presidente della Commissione Agricoltura Filippo Gallinella e dai
deputati Chiara Gagnarli, Giuseppe L’Abbate, Luciano Cadeddu e Luciano Cillis.
Con una modifica del decreto legislativo 8 luglio 2003, n.224, si
propone di accelerare le procedure per l’emissione in pieno campo di varietà
vegetali ottenute in laboratorio con tecniche di genome
editing e cisgenesi. Un fatto mai avvenuto finora per la ferma
opposizione dei consumatori, degli agricoltori e delle organizzazioni
ambientaliste. Questa mossa rischia di esporre l’agricoltura di piccola
scala alla contaminazione da OGM e alla biopirateria, danneggiando gli
agricoltori e la qualità del cibo in un paese che ha sempre visto una forte
opposizione pubblica ai prodotti della manipolazione genetica.
L’editing del genoma fa parte di una serie di biotecnologie definite “di
seconda generazione”, anche se si studiano ormai da una quindicina d’anni. I
promotori le ritengono più precise e sicure nella loro capacità di modificare
il DNA, oltre a chiedere che vengano esentate a livello europeo dagli obblighi
della direttiva sugli OGM. Questi nuovi prodotti biotecnologici vengono
propagandati come non OGM solo perché ingegnerizzano organismi della stessa
specie, invece di incrociare specie diverse. Le varietà ottenute con queste
cosiddette New Genomic Techniques (denominate NGT, NBT o TEA), che il Movimento
5 Stelle cerca di sdoganare, nell’introduzione alla proposta di legge vengono
addirittura equiparate a piante mutate naturalmente. Un falso
scientifico che ha fini meramente politici ed economici, curiosamente
sovrapponibili a quelli grandi gruppi multinazionali e di parte dell’accademia,
interessati a ottenere il via libera per la coltivazione di questi nuovi OGM
per sfruttarne i diritti di proprietà intellettuale.
Non è un caso che la maggior parte degli argomenti che i deputati
pentastellati portano a sostegno della necessità di deregolamentare i nuovi OGM
si ritrovino nella comunicazione diffusa dall’International Seed Federation
(ISF): la campagna di comunicazione “Building on Success”, portata avanti negli
ultimi cinque anni dall’industria sementiera, batte infatti su alcuni punti
chiave, uno su tutti il tentativo di equiparare manipolazione di
laboratorio e mutazioni spontanee che avvengono in natura. L’altro è
che queste biotecnologie contribuiranno a creare piante capaci di adattarsi al
cambiamento climatico.
Si tratta di affermazioni tutte da dimostrare, quando non palesemente false.
L’editing del genoma, infatti – in modo molto più irrituale rispetto alle
mutazioni che avvengono in natura – può generare molteplici cambiamenti del DNA
con un unico intervento. Di qui i preoccupanti effetti collaterali di
queste biotecnologie: mutazioni fuori target, cancellazioni, riarrangiamenti e
inserzioni non desiderate di DNA non sono l’eccezione, ma la regola
del genome editing. Il fatto, denunciato da più parti, è che gli
effetti fuori bersaglio non vengono studiati né cercati con rigore scientifico
per la fretta di brevettare i prodotti o i processi di creazione di
questi nuovi OGM. Ci troviamo di fronte a una scienza che rinuncia al rigore e
al metodo, che salta passaggi doverosi per aprire all’industria nuovi spazi di
profitto attraverso brevetti e privative.
Non valutare questi rischi ambientali, sanitari ed economici prima della
commercializzazione significherebbe utilizzare i contadini e i
cittadini consumatori come cavie di queste manipolazioni della vita e
dimostrerebbe un disprezzo del principio di precauzione sancito dai trattati
europei.
Nonostante la pressione per deregolamentare il genome editing da
parte di diversi governi europei, del mondo dell’agroindustria e delle ditte
sementiere, nel 2018 la Corte di Giustizia Europea ha sentenziato che
anche ai prodotti di queste “nuove” biotecnologie si deve applicare la
Direttiva 2001/18 sugli OGM. Una sentenza storica, che equipara le NGT agli OGM, e che
costringe i prodotti delle “nuove” biotecnologiealla tracciabilità e
all’etichettatura, nonché a una rigorosa valutazione del rischio.
Il pronunciamento della Corte è stato accolto come una iattura dal settore
privato, perché i consumatori europei sono radicalmente contrari agli
OGM e difficilmente acquisterebbero questi prodotti se venisse
riportata la dicitura in etichetta. Di qui il tentativo che la Commissione
europea sta portando avanti di riscrivere le regole sulla manipolazione
genetica, liberando i prodotti dell’editing genomico dalle pastoie della legge.
Senza neanche aspettare l’esito sia delle consultazioni europee (la prima
terminata ad ottobre con oltre 70 mila risposte in grandissima parte contrarie)
che del piano UE che prevede un nuovo quadro normativo per il 2024, l’Italia
sta preparando il terreno per una deregolamentazione con la proposta di legge
del M5S. Il nostro paese rischia quindi a breve, senza una opposizione decisa
dei suoi cittadini e dei suoi agricoltori, di perdere lo status di paese libero
da OGM, con un danno economico incalcolabile oltre alla perdita di sicurezza
alimentare. Non possiamo permetterlo.
*Stefano
Mori, Coordinatore delle attività del Centro Internazionale Crocevia
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