mercoledì 1 dicembre 2021

Banche tossiche inquinano

il greenwashing non incanta Greenpeace e ReCommon, che non fanno sconti a Banca Intesa Sanpaolo  


Una banca insostenibile: Intesa Sanpaolo contro il clima, l’ambiente e le comunità - Greenpeace

27 Aprile 2021


Intesa Sanpaolo è riuscita a fare breccia nell’immaginario collettivo come banca sostenibile e al servizio dei territori: niente di più distante dalla realtà.

Alla vigilia dell’assemblea dei soci del gruppo torinese, Greenpeace e ReCommon pubblicano lo studio – “Una banca insostenibile: Intesa
Sanpaolo contro il clima, l’ambiente e le comunità” – per mostrare i legami finanziari che la banca ha con il settore dei combustibili fossili.

Leggi lo studio completo QUI

https://www.greenpeace.org/italy/rapporto/13553/una-banca-insostenibile-intesa-sanpaolo-contro-il-clima-lambiente-e-le-comunita/

 

Perché Intesa Sanpaolo è “la banca fossile numero uno in Italia” - Duccio Facchini

27 Aprile 2021

Aziende attive nel carbone, petrolio e gas continuano a ottenere prestiti e investimenti miliardari dal gruppo. Anche nel 2020, nonostante l’Accordo di Parigi. Dal Golfo del Messico ai Balcani, dall’Artico al Mozambico: il report di ReCommon e Greenpeace Italia

 “Intesa Sanpaolo può essere definita la banca fossile numero uno in Italia”. Il giudizio dell’associazione ReCommon e Greenpeace Italia è secco ma documentato e deriva da un’attenta analisi dei prestiti e degli investimenti del primo gruppo bancario italiano. Il report “Intesa Sanpaolo contro il clima, l’ambiente e le comunità”, pubblicato il 27 aprile a ridosso dell’assemblea degli azionisti, ne raccoglie i risultati, frutto della ricerca finanziaria realizzata dalla società specializzata olandese Profundo. È un viaggio “nero” tra carbone, petrolio e gas, che spazia dal Mozambico all’Artico, e che tocca “società che stanno sabotando l’Accordo di Parigi”.

Due numeri aiutano a capire meglio. Nel solo 2020 Intesa Sanpaolo avrebbe concesso 2,7 miliardi di euro di finanziamenti all’industria fossile (tra prestiti e sottoscrizione di azioni e bond). Stessa cifra alla voce investimenti (azioni e bond).

 


Fonte: “Intesa Sanpaolo contro il clima, l’ambiente e le comunità”, ReCommon – Greenpeace Italia, 2021

 

È la cornice del “business as usual” che contraddistingue la grande finanza privata globale. Da quando è entrato in vigore l’Accordo di Parigi sul clima, di fatto nel 2016, il sostegno al carbone non ha perso slancio e le principali banche mondiali hanno stanziato 3.800 miliardi di dollari a favore di gas e petrolio. Intesa Sanpaolo, ricordano i curatori del report, nel periodo 2016-2020 ha posto 13,7 miliardi di dollari sull’industria fossile. Principali beneficiari: Eni, Exxon, Novatek, Equinor, Cheniere Energy, Kinder Morgan.

“Ogni dollaro concesso o investito oggi nell’industria fossile -si legge nel report- rappresenta l’ennesimo ostacolo al contenimento del riscaldamento globale, nonché a una transizione che sia giusta e incentrata sui reali bisogni delle persone: alimentando la crisi climatica in corso, la finanza globale di fatto rischia di favorire con le sue operazioni l’insorgere di pandemie e altre, catastrofiche, crisi”.

ReCommon e Greenpeace Italia partono proprio dal carbone, il combustibile fossile più inquinante da cui occorre sganciarsi (per il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres si tratta non a caso di una “dipendenza mortale”).

In tema di “prestiti al carbone” la banca guidata da Carlo Messina sembrerebbe aver fatto un passo avanti, avendo ridotto l’ammontare del 70% tra 2019 e 2020. “Facili entusiasmi” sostengono però ReCommon con Greenpeace: si tratterebbe “pur sempre di 390 milioni di euro concessi a società carbonifere nel solo 2020”, considerando poi l’assenza di “impegni formali” per i prossimi anni e quindi il rischio di una ripresa.

Alla voce “investimenti” la quota resta invece altissima: 708 milioni di euro nel 2020. Alcuni casi di scuola: la società Fortum/Uniper (finlandese), che tra le altre cose nel maggio 2020 ha reso operativa la centrale a carbone Datteln 4 in Germania. Oppure la società energetica tedesca RWE, la “più inquinante d’Europa” per ReCommon e Greenpeace, con le sue centrali a carbone.

I curatori di “Una banca insostenibile” criticano anche la “policy” di Intesa Sanpaolo sul carbone. Impegni giudicati “deboli”, tardivi, limitati solo ai prestiti e non agli investimenti, caratterizzati da un “doppio standard” tra ricchi Paesi Ocse e quelli “in via di sviluppo”. Da questa separazione deriverebbe ad esempio il finanziamento alla centrale a carbone di Tuzla, in Bosnia ed Erzegovina.

La partita più importante, però, si gioca nel campo “oil&gas”. Il report passa in rassegna società e giacimenti. Come l’indiana ONGC Videsh, coinvolta nel progetto Mozambique LNG (capofila è Total), che si inserisce nella drammatica situazione di Cabo Delgado. Nel 2020 Intesa Sanpaolo l’ha finanziata per 61 milioni di euro.

Poi c’è l’Artico, segnato dalla “corsa” alle risorse naturali del Mare glaciale seguita alla progressiva riduzione della calotta polare. Intesa Sanpaolo nel 2020 ha finanziato o investito in Eni (oltre un miliardo di euro), Equinor (norvegese, 60 milioni), Total (francese, 195 milioni), ConocoPhillips (statunitense, 77 milioni).

 

Fonte: “Intesa Sanpaolo contro il clima, l’ambiente e le comunità”, ReCommon – Greenpeace Italia, 2021

 

Anche nell’Artico russo, sull’altra sponda dello Stretto di Bering, è analizzato il ruolo di Intesa Sanpaolo con riferimento agli impianti di liquefazione di gas fossile Yamal LNG e Arctic LNG-2, in pancia alla joint-venture Total e Novatek (russa).

Il primo era già stato “finanziato proprio da Intesa con un’operazione da 750 milioni di euro garantita da SACE”, ricordano ReCommon e Greenpeace Italia. “Stessa sorte spetterà ad Arctic LNG-2”, annotano i curatori del report, che danno per già “arrivato” il supporto finanziario del colosso italiano. Oltre agli istituti di credito russi VEB.RF, Sberbank e Gazprombank, in campo per cinque miliardi di dollari, vi sarebbe infatti una cordata di banche straniere composta da China Development Bank, Bank of Japan for International Cooperation, Intesa Sanpaolo e Raiffeisen Bank International per altri cinque miliardi di dollari. Dall’ufficio stampa della banca, interpellato da Altreconomia, non è giunta smentita o conferma della notizia diffusa da Kommersant.

Dall’Artico ci si sposta nel Permian Basin, al confine tra Stati Uniti e Messico, area di fracking e trivellazione orizzontale. Una “bomba climatica”, spiegano ReCommon e Greenpeace, che ricordano come tra 2020 e 2050 la combustione di tutte le riserve di petrolio e gas possa determinare “l’emissione di 46 miliardi di tonnellate di CO2“. “In prima fila nella produzione e nel trasporto di petrolio e gas del Permian Basin troviamo colossi quali Chevron (130 milioni di euro circa, ndr), ExxonMobil (140 milioni, ndr) e Kinder Morgan (57 milioni, ndr), società che hanno beneficiato abbondantemente dei soldi di Intesa nel 2020″.

Il gas estratto nel Permian Basin raggiunge poi lo snodo del Golfo del Messico per essere liquefatto e trasportato in Europa dalle navi metaniere. Un settore sensibile per le società fossili Freeport LNG e Cheniere Energy, anch’esse sostenute da Intesa per mezzo di finanziamenti (189 milioni di euro ciascuna).

“Non c’è più tempo per false promesse” o “goffi tentativi di presentarsi come banca attenta al clima”, concludono ReCommon e Greenpeace Italia, che al colosso rivolgono poche richieste chiarissime.

Stop a prestiti e investimenti a beneficio di società che stanno realizzando nuove centrali a carbone e a coloro che non prevedono di uscirne entro il 2030. Portare a zero l’esposizione in tema di carbone entro il 2028. Implementare entro quest’anno una “policy” su petrolio e gas, interrompendo le operazioni a riguardo. L’ultima, strutturale, è quella di costruire un piano di uscita dai combustibili fossili in linea con l’Accordo di Parigi sul clima. Includendo però prestiti, investimenti, gestione di asset per conto di terzi.

https://altreconomia.it/perche-intesa-sanpaolo-e-la-banca-fossile-numero-uno-in-italia/

 

Lettera a Intesa Sanpaolo - Greenpeace

24 Aprile 2020

Lunedì 27 aprile si terrà la Assemblea dei Soci di Intesa Sanpaolo, uno dei più grandi gruppi bancari italianiIntesa ha deciso di far svolgere l’assemblea non solo a porte chiuse, ma senza la possibilità di alcuno streaming, seppure la possibilità era stata dal governo italiano proprio per non ridurre gli spazi di democrazia e partecipazione della società civile in questo momento di emergenza sanitaria.
Intesa Sanpaolo è una delle banche italiane che ancora investono maggiormente in gas, petrolio e carbone, finanziando di fatto l’emergenza climatica. Da tempo chiediamo al gruppo torinese di chiudere con il fossile, e avremmo voluto sentire la voce della società civile anche in questa importante assemblea. Per questo, insieme a Re:Common, abbiamo scritto a Intesa Sanpaolo una lettera aperta.

Leggi la nostra lettera.

https://www.greenpeace.org/italy/storia/7320/lettera-a-intesa-sanpaolo/

 

Intesa Sanpaolo presenta una nuova policy sul clima. Greenpeace e ReCommon: “impegni insufficienti e poco ambiziosi”

28 Luglio 2021 

Nelle scorse ore Intesa Sanpaolo ha aggiornato i propri impegni pubblici in materia di ambiente e clima. Un aggiornamento delle policy da parte del gruppo bancario che però per Greenpeace e ReCommon risulta insufficiente e poco ambizioso.

Nello specifico, Intesa Sanpaolo, leader in Italia nel suo settore e tra i trenta gruppi bancari più grandi al mondo, ha rivisto la propria politica sui prestiti al settore del carbone e ha introdotto anche primi, marginali impegni sui sotto-settori più impattanti del comparto petrolio e gas.

«Gli impegni di Intesa Sanpaolo risultano poco chiari e insufficienti, ancora di più nell’anno della COP26 e del G20 a presidenza italiana», commentano Greenpeace e Recommon. «Servono poi a poco se, poco prima della loro entrata in vigore, si concedono finanziamenti a mega-progetti che mettono a repentaglio il clima, l’ambiente e le comunità locali, senza contare che riguardano solamente i prestiti e non gli investimenti, ambito in cui è evidente il supporto del gruppo torinese all’industria fossile. E il rischio è che questo supporto continui ancora a lungo, in direzione contraria rispetto alla urgenza e ambizione richieste dalla crisi climatica in corso».

Gli unici aspetti positivi di questo aggiornamento riguardano il carbone, visto che è in programma la chiusura definitiva entro il 2025 delle relazioni con le società operanti nel settore dell’estrazione. A questo si aggiunge inoltre lo stop di ogni finanziamento a quelle società che prevedono di espandere il proprio business attraverso nuova capacità installata o con la realizzazione di nuove centrali termiche a carbone.

Tuttavia, questi passi in avanti sono parziali e limitati, poiché nessuna data di phase-out è prevista per i finanziamenti alla produzione di energia derivante dal carbone. La partita con la più impattante fonte fossile resta dunque ancora aperta, nonostante la comunità scientifica abbia espressamente indicato il 2030 come data per chiudere la partita con la polvere nera in Europa e nel 2040 nel resto del mondo.

Inoltre, il testo della policy incoraggia il passaggio dal carbone al gas, combustibile fossile presentato come “naturale”, “pulito” e “necessario” alla transizione verso le energie rinnovabili. La realtà è però ben diversa: il metano è uno dei principali responsabili dell’emergenza climatica, con un potenziale climalterante 84 volte superiore a quello della CO2 in un orizzonte temporale di venti anni dal suo rilascio nell’atmosfera.

Per quanto riguarda i cosiddetti sotto-settori non-convenzionali del comparto petrolio e gas – in questo caso sabbie bituminose, petrolio e gas di scisto, operazioni nella regione artica e in quella amazzonica – Intesa Sanpaolo si conferma fedele alle sue pratiche di greenwashing.

Se da un lato è positiva la volontà di chiudere la propria esposizione finanziaria con questi sotto-settori entro il 2030, i termini vaghi della policy lasciano intendere possibilità di nuovi finanziamenti a quelle società oil&gas attive nell’esplorazione, produzione e trasporto di idrocarburi in questi ambiti così sensibili. Inoltre, come avvenuto nel caso del finanziamento alla centrale a carbone di Tuzla, in Bosnia-Erzegovina, pochi giorni prima dell’entrata in vigore di questi impegni il gruppo torinese ha sancito la sua partecipazione al mega-progetto di gas fossile Arctic LNG-2, nell’Artico russo. A ciò si aggiunge anche il finanziamento al colosso italiano Bonatti – attivo soprattutto nella costruzione di infrastrutture per petrolio e gas prodotti da scisto, come il Coastal Gaslink – insieme ad altre banche italiane, per un ammontare di 137 milioni di euro.

https://www.recommon.org/intesa-sanpaolo-presenta-una-nuova-policy-sul-clima-greenpeace-e-recommon-impegni-insufficienti-e-poco-ambiziosi/

 

Greenpeace e ReCommon: «Eni si conferma la peggiore azienda italiana per gas serra, Intesa Sanpaolo continua a finanziare la crisi climatica»

4 Novembre 2021 

In occasione della giornata dedicata all’energia della COP26 di Glasgow, Urgewald, ReCommon, Greenpeace e altre 18 organizzazioni della società civile rendono pubblico il Global Oil & Gas Exit List (GOGEL), un ampio database sulle attività di 887 società petrolifere e del gas, che rappresentano più del 95% della produzione globale di idrocarburi.

GOGEL ha un duplice obiettivo: facilitare il monitoraggio delle società che, ancora oggi, continuano a investire nei combustibili fossili e dissuadere le istituzioni finanziarie a concedere loro denaro sotto forma di prestiti, sottoscrizioni e investimenti.

In base agli ultimi dati analizzati, ENI si colloca nella top 20 dei produttori globali di petrolio e gas e, attraverso la sua controllata Vår Energi, nella top 10 delle società che sfruttano le risorse della Regione artica, soprattutto con le piattaforme petrolifere nel Mare di Barents. I rischi associati alla produzione di idrocarburi, già elevati a ogni latitudine, nell’Artico aumentano esponenzialmente: le condizioni estreme, infatti, non fanno che accrescere le possibilità di fuoriuscite e incidenti, minacciando ecosistemi già fragili. A ciò si aggiunge il pericolo del rilascio, dal suolo e dai fondali marini, di enormi quantità di gas serra.

 

«ENI si conferma essere la peggior azienda italiana in termini di impatti sul clima del Pianeta», dichiara Luca Iacoboni, responsabile Energia e Clima di Greenpeace Italia. «Nei prossimi decenni inoltre intende continuare a cercare, estrarre, vendere e bruciare gas fossile e petrolio, addirittura aumentando la produzione negli anni a venire. La ricerca di combustibili fossili in Artico è inoltre doppiamente grave, considerando gli enormi rischi ambientali per l’ecosistema».

Incrociando i dati di GOGEL con quelli in possesso di ReCommon e Greenpeace Italia, si possono già fare alcune considerazioni anche sul versante finanziario, e il quadro che emerge non fa che confermare la pessima posizione di un altro attore italiano: Intesa Sanpaolo è la banca nemica del clima numero uno in Italia. Nel solo 2020 la banca torinese ha investito in sei delle otto società dei combustibili fossili che figurano nelle tre principali classifiche di GOGEL. Ovvero la top 20 dei produttori di idrocarburi, la top 20 delle società che hanno intenzione di espandere il proprio business e la top 20 di quelle che hanno speso più soldi nella ricerca di nuovi idrocarburi.

A questo proposito, la recente partecipazione di Intesa alla Net-Zero Banking Alliance, parte della più ampia coalizione Glasgow Financial Alliance for Net-Zero – presentata proprio ieri alla COP26 dall’inviato speciale dell’ONU per finanza e clima Marcus Carney – rischia di risultare l’ennesima operazione di greenwashing del gruppo bancario, nonché di mostrare in maniera evidente i limiti di queste piattaforme finanziarie, con obiettivi opachi e nessun impegno vincolante per il clima.

«ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, BP, Chevron ed Equinor hanno beneficiato di investimenti pari a 604 milioni di euro da parte di Intesa Sanpaolo», commenta Simone Ogno di ReCommon. «Mentre sul fronte strettamente italiano, nel solo 2020 la principale banca italiana ha concesso prestiti a ENI per 866 milioni di euro e investimenti pari a 183 milioni di euro», conclude.

I dati di GOGEL mostrano come l’industria dei combustibili fossili stia crescendo in maniera sconsiderata, nonostante i moniti della comunità scientifica e le recenti dichiarazioni  dell’Agenzia internazionale dell’energia, secondo cui è finito il tempo di realizzare – e quindi di finanziare – nuove esplorazioni e produzione di combustibili fossili.

Se anche il carbone fosse eliminato da un giorno all’altro, le emissioni derivanti dalle riserve di petrolio e gas esaurirebbero presto la quota di CO2 che permetterebbe di rimanere entro 1,5 gradi centigradi di riscaldamento globale. È urgente avviare un percorso di abbandono graduale ma rapido anche di gas e petrolio, eppure più dell’80% dei produttori di queste due fonti fossili analizzati nel database si apprestano a sviluppare nuove riserve di idrocarburi nell’immediato futuro. Le prime cinque società che stanno espandendo il proprio business sono Qatar Energy, Gazprom, Saudi Aramco, ExxonMobil e Petrobras.

Anche sul fronte midstream lo scenario è allarmante: ci sono attualmente 211.849 chilometri di oleodotti e gasdotti in via di sviluppo. Se i tubi fossero posati senza soluzione di continuità e puntati verso il cielo, arriverebbero a metà strada tra la Terra e la Luna.

Nelle giornate della COP26 di Glasgow, per ReCommon e Greenpeace Italia il messaggio che deve passare è chiaro: è arrivato il momento di interrompere la ricerca di nuovi idrocarburi, la loro ulteriore produzione e, di conseguenza, il supporto finanziario all’espansione del business fossile.

https://www.recommon.org/cop26-nuovo-studio-di-greenpeace-e-recommon-eni-si-conferma-la-peggiore-azienda-italiana-per-gas-serra-intesa-sanpaolo-continua-a-finanziare-la-crisi-climatica/

 

SACE e Intesa Sanpaolo finanziano la devastazione dell’Artico russo - Luca Rondi

22 Novembre 2021

A 10 giorni dalla fine della Cop26 il governo italiano contraddice gli impegni climatici. SACE ha infatti confermato la copertura assicurativa del finanziamento di Intesa Sanpaolo e Cdp per “Artic Lng-2”. “Intesa Sanpaolo si conferma campione di greenwashing”, denuncia ReCommon

A soli dieci giorni dalla fine della Cop26 di Glasgow il governo italiano non rispetta gli impegni presi. SACE infatti ha confermato la copertura assicurativa del finanziamento di Intesa Sanpaolo e Cassa depositi e prestiti per “Artic Lng-2”, un progetto di liquefazione di gas fossile che è in fase di costruzione nella penisola di Gydan, tra i territori più a rischio dell’Artico russo. “Se il buongiorno si vede dal mattino, siamo sicuri che entro la fine del 2022 ci sarà una corsa al finanziamento pubblico di mega-progetti estrattivi come ‘Arctic Lng-2’ che consideriamo l’ennesimo attentato al clima del Pianeta”, spiega Simone Ogno di ReCommon.

Secondo quanto ricostruito da Reuters proprio nei giorni del summit scozzese, mentre l’Italia annunciava impegni per interrompere sussidi pubblici diretti per progetti internazionali legati ai combustibili fossili, i dirigenti della Sezione speciale per l’assicurazione del credito all’esportazione -controllata al 100% da Cassa depositi e prestiti– comunicavano a Giorgio Starace, ambasciatore italiano in Russia, la disponibilità a fornire la copertura assicurativa per “Artic Lng-2”. È l’ennesima garanzia fornita dall’Agenzia per progetti legati ai combustibili fossili: un totale di 8,6 miliardi di euro tra il 2016 e il 2020 per progetti di primo piano. Come sottolineato da ReCommon, SACE compare nei progetti estrattivi di gas da parte di Eni in Mozambico e nel sostegno a banche e imprese direttamente coinvolte in progetti a elevato impatto ambientale sia nella regione artica (come il caso di “Yamal Lng” finanziato con 750 milioni di euro da Intesa Sanpaolo) sia in Africa dove potrebbe entrare in gioco nel contestato oleodotto “Eacop” tra Uganda e Tanzania.

La società russa Novatek, titolare della progettazione di “Artic Lng-2”, ha scelto Intesa Sanpaolo come istituto bancario privilegiato anche grazie ai buoni rapporti tra Mosca e il gruppo finanziario torinese. “La relazione ruota intorno alla figura di Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa Russia e dell’associazione Conoscere eurasia che da anni organizza il Forum economico eurasiatico di Verona, dove questi accordi prendono forma”, spiegano i ricercatori di ReCommon. La prima banca italiana dovrebbe concedere almeno 500 milioni di euro alle società coinvolte nel progetto. Del prestito si parla almeno da due anni ma si è realizzato solo dopo la certezza di una garanzia pubblica che coprisse le eventuali perdite.

Questo finanziamento spiega e chiarisce il perché di una clausola inserita nella policy di luglio 2021 che prevede l’esclusione del supporto a progetti estrattivi offshore nell’Artico permettendo invece quelli sulla terraferma come nel caso di “Arctic Lng-2”. “Intesa Sanpaolo si conferma campione di greenwashing nel panorama finanziario italiano -aggiunge Daniela Finamore di ReCommon-. In occasione della Cop26, la banca si è fregiata di impegni net-zero al 2050, insieme ad altre istituzioni finanziarie internazionali. Impegni molto vaghi e a lungo termine che di fatto significano finanziamenti incondizionati all’industria dei combustibili fossili”.

Quel che si sa, secondo quanto ricostruito da un report curato da ReCommon in collaborazione con Greenpeace, è che nel periodo 2016-2020 la banca ha posto 13,7 miliardi di dollari sull’industria fossile con principali beneficiari Eni, Exxon, Novatek, Equinor, Cheniere Energy, Kinder Morgan. Si aggiunge ora Novatek con un ruolo di primo piano di Intesa Sanpaolo anche nell’Artico segnato dalla progressiva riduzione della calotta polare e dalla conseguente “lotta” per la conquista delle risorse naturali.

https://altreconomia.it/sace-e-intesa-sanpaolo-finanziano-la-devastazione-dellartico-russo

Nessun commento:

Posta un commento