Esiste un rapporto tra sindemia, debito e cambiamenti climatici? Il rapporto e le interconnessioni sono dovute, ad esempio, al fatto che l’aumento del debito pubblico e in generale il peggioramento dei conti pubblici è stato necessario per sostenere i lockdown e la ripresa delle attività. Ma lo stesso sarà necessario per attivare politiche di contrasto ai cambiamenti climatici. Cosa accadrà ai nostri conti pubblici peggiorati in balia della finanza speculativa? Quali scenari geopolitici avremo di fronte? È possibile neutralizzare gli effetti della finanza ed è possibile non dipendere da essa?
Quanto è costato a ciascun italiano la sindemia? Calo
del Pil nominale pro-capite: 2.371 euro. Aumento del debito pro-capite 3.049
euro. È costato dunque ad ogni italiano in media 5.420 euro. Gli aiuti statali
sono stati 1.858 euro, inferiore di 513 euro alla perdita del Pil pro-capite.
In Germania abbiamo avuto una differenza positiva tra aiuti statali e perdita
del Pil pari a +1.841 euro, in Francia -120 euro.
Al 31
dicembre del 2020 il debito delle amministrazioni pubbliche era pari a 2.569,3
miliardi (155,6 per cento del Pil); a fine 2019 il debito ammontava a 2.409,9
miliardi (134,7 per cento del Pil). Il debito elevato sembrerebbe non
necessariamente un problema o un limite (il costo del debito si annulla per
effetto delle politiche delle banche centrali), ma non c’è nessuna garanzia sul fatto che non
torneremo all’austerità. Il sistema pensa di evitarla sperando nella
crescita, ma la crescita oltre a essere nemica della sostenibilità dipende da
troppe variabili anche di tipo internazionale e non c’è nessuna certezza al
riguardo. La prospettiva meno affascinante è che l’Italia continua a muoversi
con richieste di scostamento confermando il piano di rientro decennale basato
su Austerity e sull’efficacia del PNRR che però si basa su un saldo netto
minimo e su stime sempre fragili.
Ampliando lo
sguardo, come valutare ciò che
accade in Africa? Lì si vorrebbe far ricorso a modelli come
quello dei debt-for-climate-swaps:
il condono del debito in cambio di impegni finanziari sulla transizione
ecologica. Per uscirne, stima la Banca mondiale, avrebbe bisogno di 30-50
miliardi di dollari all’anno fino al 2030. Lo stesso meccanismo dei debt-for-climate swaps resta una
soluzione minoritaria e di difficile esecuzione, come testimonia il naufragio
di una proposta in loro favore che avrebbe dovuto essere pubblicata da Fondo
monetario internazionale e Banca mondiale. Il
rischio è che la via principale resti quella dei prestiti, gonfiando ancora di
più l’esposizione debitoria. Se fai tutto questo ricorso al debito,
devi avere una buona affidabilità creditizia. Ma
le economie africane sono state affossate dal Covid.
Se
attraverso il debito la finanza speculativa incide profondamente, determinando
prima caos climatico (banche fossili), conflitti armati (finanziamento
nucleare) e migrazioni forzate epocali, come possiamo neutralizzare l’effetto
dei padroni del clima? Se la finanza entra nel grande mercato dei prestiti per
il contrasto al cambiamento climatico, non otterremo l’effetto opposto? Ovvero
i Padroni del Clima non diventeranno sempre di più i padroni del mondo? Per
questo gli indigeni in Sudafrica sono in rivolta contro gli accordi della Cop26 di Glasgow: «È ingiusta e
causerà un ulteriore sfruttamento delle risorse naturali», «Nella sua forma
attuale l’accordo è subdolo e non etico. Da un lato il mondo sviluppato si
rifiuta di raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio di 1,5
gradi, dall’altro finanzia progetti di innovazione verde in Sudafrica». «Questo
approccio sosterrà lo sfruttamento delle nostre risorse naturali e minerarie
per il loro guadagno a lungo termine a scapito dei diritti delle popolazioni
indigene, escluse dall’accordo. La Cop26 non può violare i diritti sanciti
dalla dichiarazione delle Nazioni Unite».
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