Avete presente la fuga disordinata e catastrofica da Kabul degli occidentali e dei loro collaboratori di fronte all’avanzata dei talebani? Non si erano preparati, nonostante tutti sapessero che gli accordi di Doha non sarebbero stati rispettati. E si sono messi in salvo – non tutti – grazie alla logistica dell’esercito Usa, sconfitto in guerra ma ancora operativo da dieci mila e più chilometri di distanza.
Bene, quella non è che una pallida anticipazione della rotta che rischia di
travolgere tutti gli Stati del mondo insieme ai loro abitanti di fronte all’avanzata
dei fenomeni metereologici estremi provocati dalla crisi climatica e
alle loro conseguenze sull’economia (prezzi, catene di fornitura, sbocchi di
mercato, occupazione). Nessun governo si sta preparando ad affrontarla,
nonostante gli accordi stipulati e confermati nelle 25 COP che si sono
succedute in trent’anni di vita della Convenzione sul clima e che tutti i
governanti sanno che non saranno rispettati, a partire da loro. Come pensare
che l’esito di questo confronto possa essere diverso dalla rotta afghana?
Questa volta però non ci sarà un quartier generale esterno a mettere in
salvo qualcuno. Sarà anch’esso inghiottito dall’imprevisto ma non
imprevedibile sviluppo degli eventi.
La diplomazia ambientale è ormai fatta di dichiarazioni altisonanti – i
blabla denunciati da Greta – ma sembra quasi che l’arte del governo si sia
ridotta a escogitare stratagemmi, trucchi e imbrogli per ritardare,
posporre, ridurre, proporre eccezioni, equivocare, rinnegare, falsare gli
impegni presi. Il ministro Roberto Cingolani è un maestro in quest’arte, che
rischia di tradursi nella famosa profezia che si autoavvera: guidata da uno
come lui, infatti, la transizione ecologica non può che produrre “un bagno di
sangue” (ma i suoi colleghi europei non sono da meno, solo con un po’ più di
stile). Mentre Draghi, uscito dal suo secolare silenzio, si incarica di
coprirne l’operato (il non operato) autoproponendosi come paladino europeo del
clima.
Ma né l’uno né l’altro hanno la minima idea di come affrontare il problema
che esige un mutamento radicale di tutti gli assetti produttivi, occupazionali
e anche sociali del paese e del mondo. E “ciao crescita!”, parola che continua
a rimbombare nelle loro bocche. Ma è un mutamento che diventa tanto più
difficile da realizzare, e persino da concepire, man mano che se ne procrastina
l’inizio. Senza dirlo lo ha confessato lo stesso Cingolani parlando con Greta:
ma voi che cosa proponete? Sembra non rendersi conto che dall’alto di una
poltrona ministeriale e dal basso di piazze svuotate da due anni di covid la
questione delle proposte non si presenta certo nello stesso modo…
Eppure, le cose sono chiare: vanno interrotte subito prospezione,
estrazione e, ovunque non sia indispensabile, utilizzo dei fossili (garantendo
un reddito adeguato a chi resta temporaneamente senza lavoro) e vanno
accelerati con tutte le risorse disponibili lo sviluppo delle fonti rinnovabili
e la drastica riduzione di sprechi e usi superflui dell’energia. Va bloccato il
consumo di suolo, vanno ridimensionati agricoltura e allevamenti industriali,
va cambiato radicalmente il sistema di mobilità, non con la motorizzazione
elettrica di massa, ma con un trasporto pubblico sia di linea che flessibile e
personalizzato, potenziando i mobility manager sia di azienda che di condominio
e quartiere. Ma soprattutto vanno ridotte le distanze da percorrere con un uso
flessibile del web e attrezzando e rivitalizzando gli ambiti territoriali
locali con la città dei quindici minuti. Le scuole devono diventare
il centro della vita di ogni quartiere, aprendo le finestre sul mondo e
mettendo la conversione ecologica al centro dell’attenzione, cosa che Cingolani
si è ben guardato dal fare.
Sono tutte cose che privilegiano la dimensione locale (comunità
energetiche, del cibo, della prossimità) e i relativi governi; che per lo più
oggi latitano (quali e quanti candidati in queste elezioni hanno messo la crisi
ecologica al centro della loro attenzione?), ma che restano il livello
istituzionale più accessibile all’iniziativa dal basso. Non fermeranno, le
poche che si attiveranno da subito, l’avanzata della crisi climatica. Ma lo
stallo finirà per esautorare i governi nazionali – il loro personale, politico
e non, è incapace di ricambi sostanziali – per consegnare alle comunità locali
l’iniziativa nell’adattamento alle peggiorate condizioni ambientali ed
economiche dei prossimi decenni. E grazie alla sua replicabilità e alla
promozione di collegamenti orizzontali tra le forze più attive l’iniziativa
locale potrà fare da argine all’avanzata dell’apocalisse. In attesa di un
completo ricambio, innanzitutto generazionale, di quel personale che ha avuto
in mano il destino del mondo dimostrando di non essere all’altezza del compito.
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