Non so se c’è davvero bisogno di scrivere ancora di
veganismo. Si è scritto già tanto, con testi importanti che ben inquadrano la
questione [1]. Se ne parla sempre di più
anche al di fuori dell’ambiente degli attivisti, il più delle volte però, viene
fatto senza conoscerne il significato profondo, limitandosi a superficiali
accenni e considerazioni, o a facili battute ironiche. Molti riconducono
questa, che è una vera e propria filosofia di vita, ad una mera scelta
alimentare, a una fissazione, a una scelta estrema o ancora la classificano
come moda. Spesso ne parlano come se fosse in atto una competizione con chi la
pensa in modo diverso, una gara “vegani” contro “carnisti”, per vedere chi vince.
Niente di più sbagliato.
Allora forse è ancora necessario parlare delle ragioni
d’essere del veganismo, che sono profonde e puntano a un radicale cambiamento
sociale, allo sradicamento della cultura antropocentrica e specista. Non è solo
una questione di cosa mangio oggi, se l’hamburger vegetale, animale o
sintetico, ma si tratta piuttosto di restituire agli animali la totale libertà
dalla schiavitù. Si è vegan per etica e non per “dietetica” e si agisce secondo
un pensiero di uguaglianza di tutti gli animali, umani compresi.
Il primo punto: tutti su un unico piano
E’ bene quindi chiarire subito il primo punto: il
veganismo non colloca gli umani all’apice della piramide (visione
antropocentrica) ma vede tutti, animali umani e non, su un unico piano. E su
questo stesso piano è necessario includere la Natura, tutta, con la sua
vegetazione, l’acqua, l’aria, i territori. Nessun essere vivente può essere al
mero servizio dell’altro, ma tutto conta e vale.
Il veganismo è quindi un atto politico di protesta pacifica
verso questa società umana che tiene gli altri animali sottomessi, collocati
alla base della piramide, al proprio servizio, e che, senza troppi giri di
parole, dispone della loro vita, schiavizzandoli ed uccidendoli in modo
sistematico e organizzato: una fabbrica di esseri senzienti, fatti nascere per
essere uccisi o resi schiavi. Aberrante agli occhi di chi vuole vedere. Tutto
per di più collegato a interessi economici.
Filosofia, protesta e pratica
Essere vegan vuol dire mettere insieme filosofia, azione
e pratica di vita: da una richiesta di giustizia mancata (la liberazione degli
animali), si passa alla protesta (che può assumere diverse forme, anche
scrivere può costituire un atto di protesta) e nel contempo, con le nostre
scelte quotidiane, influenziamo e modifichiamo la società (quando decidiamo
cosa comprare, cosa fare, come mangiare, come vestirci…).
Essere vegan vuol dire non solo riconoscere che quello
che stiamo facendo agli animali sia sbagliato e ingiusto ma soprattutto agire
di conseguenza, permettendoci da subito di diminuire la violenza perpetrata
sugli animali e di non esserne più i mandanti. E’ una scelta con una forza e
una potenza inimmaginabili perché va a incidere davvero sul cambiamento della
società, senza aspettare che siano appunto gli altri, chi ci governa, le
aziende o l’industria, a proporre quei cambiamenti che noi da subito possiamo
attuare. “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” diceva
Gandhi.
Empatia, luoghi comuni, abitudini
Abbiamo occhi e cuore per vedere nell’altro, di
qualunque specie, noi stessi, per immedesimarci e provare empatia. Noi umani,
siamo animali complessi e indiscutibilmente capaci di dominare sugli altri, ma
possiamo -dovremmo- decidere di usare questa nostra forza per proteggere invece
che sopraffare, decidere di tutelare invece di uccidere e sfruttare. Nessuno ci
obbliga a seguire la linea del dominio se non i luoghi comuni, le abitudini,
l’inerzia.
Lottare per cambiare consuetudini e scelte sociali
consolidate è molto complesso ma non per questo impossibile. E’ stato già fatto
in passato e ancora si continua a fare perché non sempre quello che è usuale
può essere giusto. La storia è ricca di esempi di persone che si sono esposte e
impegnate pacificamente per i diritti umani, sradicando abitudini e pregiudizi.
Dobbiamo solo eliminare questa linea di separazione che ci divide dagli altri
animali e portare avanti un’idea di giustizia e rispetto che valga per tutti.
Noi e gli altri animali
Chi può negare oggi che gli animali non umani siano
individui senzienti, quindi persone, che come noi provano sofferenza non solo
fisica ma anche psicologica se sottoposti a maltrattamenti o rinchiusi o
costretti a fare cose lontane dalla loro natura? Nessuno oggi può più affermare
con ragione che “sono solo animali” e che come tali possono essere maltrattati.
Chi continua anche solo indirettamente a sfruttarli, lo fa perché sceglie di
“non voler sapere”, di “non voler vedere”. Quante volte sentiamo dirci: “no,
non farmi vedere come vengono ammazzati, altrimenti non riesco a mangiarli”.
Certo, poi ci sono anche quelli che sanno, che guardano, che uccidono e persino
quelli che godono nel vedere gli animali soccombere (vedi la pesca, la caccia,
la corrida…). Ma sono una minoranza. I più sono persone che solo per abitudine
o per non voler prendere posizione o solo perché “si è sempre fatto così”,
continuano, come se nulla fosse, a far si che la vita degli animali sia un
inferno.
Pensiamo agli allevamenti, milioni di animali
rinchiusi, senza un nome, senza un volto. Pensiamo alla pesca, miliardi di
animali che muoiono per soffocamento. Pensiamo alla corrida, dove il torero
uccide, con orgoglio, un animale messo in condizioni di non potersi difendere,
mentre la folla incita e gioisce nel vedere arrivare la morte. Pensiamo ai
delfini –i nostri amici marini- uccisi a migliaia in Giappone, ma anche in
Danimarca, per tradizione. Pensiamo all’orca Kiska rinchiusa da quarant’anni in
una vasca, mentre rischia la pazzia. Pensiamo alla caccia, animali braccati,
feriti, uccisi per puro divertimento. Pensiamo alla vivisezione, animali
costretti ad avere un rapporto solo con gli umani che li torturano. Pensiamo.
Oppure finalmente possiamo fermarci per comprendere
che ogni nostra singola azione ha una conseguenza, e smettere di essere i mandanti
di azioni che provocano sofferenza e morte. O ancora occorrono le
investigazioni con foto e filmati per sapere cosa succede negli allevamenti,
negli stabulari, negli zoo e per capire quanta sofferenza stiamo portando ad
esseri che non sono in grado di difendersi e che soffrono, soffrono, soffrono?
C’è ancora chi crede alle pubblicità ingannevoli che ci raccontano di mucche
curate con amore, maiali che grugniscono felici, galline che razzolano
nell’aia, delfini che amano gli acquari, macachi negli stabulari che vanno
sacrificati per il nostro bene?
Quelli “da compagnia”
La barriera che abbiamo alzato fra noi e gli altri
animali è un muro altissimo, difficile da abbattere. Appena scalfito, in
apparenza, quando parliamo degli animali “da compagnia”, cani e gatti, che
almeno non vengono mangiati (qui in occidente) ma che non siamo riusciti a
tutelare dalla piaga dell’abbandono e dell’allevamento per razze. O che si
continuano ad importare già morti in forma di bordi di pelliccia, o ancora
impiegati in esperimenti nei laboratori. Poi ci sono i conigli e i cavalli, i
“mezzi salvi”, considerati sia cibo che animali da compagnia. Tanto che c’è chi
è capace di mangiare carne di coniglio pur avendone uno che vive in casa come
pet. Si salva solo quello che appartiene alla famiglia.
Insomma abbiamo di che riflettere. Abbiamo tanta strada
ancora da fare.
Il granello che può bloccare tutto
Viviamo su questa Terra senza certezze comuni – da
dove arriviamo e dove andiamo – ma tutti siamo in grado di capire, se lo
vogliamo, chi prova gioia e dolore e questo dovrebbe bastare per farci agire di
conseguenza, su questo pianeta, in questo tempo presente, che è ora ed è
subito.
Chi vive in un paese libero dalle dittature ha tutte le possibilità di agire
liberamente e scegliere da che parte stare, se difendere i più deboli -al di là
di ogni specie- o assecondare il fare comune e come (quasi) tutti stare dalla
parte dei prepotenti, dando ascolto alle pubblicità ingannevoli, ai luoghi
comuni, alle multinazionali che comandano su tutto. Essere debole dalla parte
dei potenti.
L’idea di parità che il veganismo promuove va a
disturbare il grande ingranaggio che muove la società attuale, è il granello
che potrebbe –speriamo- bloccare tutto. Il numero delle persone vegan è
sicuramente in crescita, il cambiamento è in atto, seppur lento, ma procede e
appare inarrestabile, anche se ancora nascosto dalla massa che preferisce non
prendere posizione in merito alla questione animale. Il veganismo ci invita ad
agire con empatia, a fare quello che fa stare bene anche chi ci circonda, che
siano altri umani, o animali non umani, o l’ambiente: estendere a tutti gli
esseri senzienti il diritto alla vita e alla libertà. E di conseguenza vivere e
agire.
[1] Fra i numerosi testi che
affrontano la questione animale e il veganismo ne segnalo qui solo alcuni, per
chi volesse iniziare ad informarsi:
Adriano Fragano, Disobbedienza vegana,
NFC Edizioni, 2018.
Annamaria Manzoni, In direzione contraria,
Edizioni Sonda, 2009.
Annamaria Manzoni, Noi abbiamo un sogno.
Riflessioni ed emozioni nel rispetto degli animali, Ed. Bompiani, 2006.
Jeffrey Moussaieff Masson, Chi c’è nel tuo piatto, Cairo Publishing, 2009.
Jeffrey Moussaieff Masson, Il maiale che cantava alla luna, Ed. Il Saggiatore,
2005.
Jim Mason, Un mondo sbagliato,
Edizioni Sonda, 2007.
Luigi Lombardi Vallauri, Scritti animali, Gesualdo edizioni, 2018.
Melanie Joy, Perché amiamo i cani, mangiamo
i maiali e indossiamo le mucche, Edizioni Sonda, 2012.
Peter Singer, Liberazione animale,
Arnoldo Mondadori Editore, 1991.
Rita Ciatti, Ma le pecore sognano lame
elettriche?, Macro Saya Edizioni, 2021.
Roger Olmos, Senza parole, Logos
Edizioni, 2014.
Tom Regan, Gabbie vuote,
Edizioni Sonda, 2005.
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