venerdì 8 ottobre 2021

L’Amministrazione comunale di Villasimius insiste nel voler privare i propri cittadini e tutti i sardi dei diritti di uso civico - Grig

 

L’Amministrazione comunale di Villasimius insiste nel voler privare i propri cittadini e tutti i sardi dei diritti di uso civico - Grig

L’Amministrazione comunale di Villasimius, assistita dallo Studio legale associato Ballero, insiste con il tentativo di sottrarre i diritti di uso civico ai propri cittadini e, in pratica, a tutti i sardi residenti nei 339 Comuni dove sono già state completate le operazioni di accertamento.

Nelle scorse settimane, infatti, ha chiesto all’Assessorato dell’Agricoltura e Riforma Agro-Pastorale della Regione autonoma della Sardegna l’adozione di un provvedimento di annullamento in via di autotutela della determinazione n. 264 del 24 febbraio 2005 del Direttore del Servizio Affari legali, Controllo Enti e Usi civici con cui è stato oggetto di accertamento il demanio civico di Villasimius ovvero, in via subordinata, l’avvio di una nuova procedura di accertamento.

Dopo più di sedici anni di torpore amministrativo, l’Amministrazione comunale di Villasimius vorrebbe, in pratica, che la Regione si rimangiasse lunghe e faticose procedure di accertamento.

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) ha, quindi, inoltrato (4 ottobre 2021) al Direttore generale dell’Assessorato regionale dell’Agricoltura specifica istanza perché venga dichiarata l’irricevibilità della richiesta comunale per manifesto superamento del termine (12 mesi) in cui un atto può esser annullato per verificate illegittimità (art. 21 nonies della legge n. 241/1990 e s.m.i.) e venga nominato, dopo gli opportuni accertamenti, un commissario ad acta perché provveda al recupero dei terreni del demanio civico di Villasimius illegittimamente occupati, stante la prolungata inerzia comunale (art. 22, comma 2°, della legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.).

Ma da dove nasce questa assurda pretesa dell’Amministrazione comunale di Villasimius?

«da una attenta analisi della documentazione storica reperita, è emerso come il territorio di Villasimius oggi non possa considerarsi gravato da usi civici. Tale affermazione trova riscontro non solo nella corretta lettura e interpretazione della Carta Reale del 15 marzo 1839, della legge   di Sardegna n. 1192 del 1851 e delle Leggi del Regno d’Italia n. 1105 del 4 gennaio 1863 e n. 2251 del 23 aprile 1865 e seguenti, che hanno espressamente abolito gli usi civici in Sardegna, ma altresì nell’atto di concessione da parte del Re di Spagna Ferdinando il Cattolico che nel 1504 concesse il Feudo di Quirra (che comprende anche l’attuale territorio di Villasimius) alla famiglia Carroz in ‘libero e franco allodio’»”.

Così scrive lo Studio legale associato Ballero, “in collaborazione con lo studio Spinas”, incaricato dal Comune di Villasimius (SU) “per l’assistenza occorrente presso le sedi giudiziali di primo grado, incluso tra queste il Commissario regionale per gli usi civici della Sardegna, sia le sedi stragiudiziali, attraverso la richiesta di riesame in autotutela dell’accertamento degli usi civici approvato con determinazione della RAS, Assessorato dell’Agricoltura e della riforma agropastorale n.264 del 24/02/2005”, e così riporta la deliberazione Giunta comunale Villasimius n. 33 del 3 giugno 2021.

Il fatto è che “«si è potuto appurare che una parte rilevante delle aree individuate dalla Regione Sardegna come gravate da uso civico, ricade non solo su aree inedificate (come le aree di Minni Minni) ma su estesi territori sui quali sono presenti strutture alberghiere tra le più importanti del territorio quali Stella Maris (per intero), Timi Ama (parte), Cormoran (parte), Capo Boi (parte) solo per citarne alcuni, e ville di pregio – che peraltro sono state alienate ai privati molti anni orsono dallo stesso Comune di Villasimius previo nullaosta della Regione Sardegna -, con la conseguenza che una eventuale azione di recupero, benchè possa avere, in teoria, come presupposto la nullità dell’atto dispositivo, esporrebbe l’Amministrazione comunale ad un’azione di risarcimento del danno da parte degli acquirenti che in buona fede hanno confidato nella bontà dell’acquisto, con un conseguente e concreto rischio per il Comune di dover rifondere rilevantissime somme a titolo di danni (in questo senso si veda Corte Costituzionale 1991 n. 51), senza considerare il danno all’industria turistica dell’intero paese»”.

Insomma, in parole povere, si suggerisce di agire davanti al Commissario per gli usi civici al fine di dichiararne l’inesistenza sul territorio di Villasimius.

E così è stato fatto: il 29 ottobre 2021 è fissata la prima udienza davanti al Commissario per gli usi civici

In altre parole, il Comune di Villasimius, gestore ex lege (legge regionale Sardegna n. 12/1994 e s.m.i.) del demanio civico per conto dei cittadini residenti a Villasimius, unici titolari, sembra proprio che cerchi di farlo dichiarare in qualche modo inesistente, con una serie di conseguenze per tutti gli altri demani civici presenti nel 92% dei Comuni della Sardegna.

Il GrIG interverrà nel giudizio per la difesa dei demani civici sardi e del grande patrimonio ambientale che rappresentano.

Ma quali sarebbero le motivazioni sul piano giuridico della pretesa comunale?

 

Quanto alla pretesa abolizione dei diritti di uso civico da parte di norme dello Stato pre-unitario o dal Regno d’Italia, basterebbe rammentare quanto disposto dalla legge n. 1766/1927 e s.m.i., comprendente la Sardegna, mentre in merito all’infeudazione alla famiglia Carroz del feudo di Quirra nel 1504 in “libero e franco allodio”, basterebbe rammentare che i terreni di Carbonara (Villasimius) vennero infeudati perlomeno il 18 luglio 1363 da Pietro IV d’Aragona in favore di Berengario II Carroz[1].

Al di là delle elucubrazioni d’ogni genere e nonostante la concessione in allodio da parte di re Ferdinando il Cattolico dell’8 novembre 1504, erano sempre e sistematicamente riconosciuti usi consuetudini dei residenti dei villaggi collocati nel feudo per garantirne la vita quotidiana, la sopravvivenza, il tributo annuo alla Corona e al feudatario (il che, intuitivamente, era interesse della Corona e dello stesso feudatario) attraverso reciproche pattuizioni “conosciute anche come capitoli di grazia, che stabilivano e in qualche misura cristallizzavano il complesso di norme che regolavano i rapporti tra le comunità e il loro signore”.

Ubi feuda, ibi demania, ibi usa. Chiaro e netto è il brocardo ben noto fra chi si occupa di terre collettive e recepito dalla giurisprudenza in tema (es. Cass. civ., 20 ottobre 1976, n. 3660)[2].

Affermare l’inesistenza dei diritti di uso civico in quella parte di Sardegna e nel resto dell’Isola non sta in Cielo né in Terra e neppure in Mare.  

La finalità, nemmeno tanto occulta, appare proprio quella di privare i cittadini di Villasimius dei loro diritti di uso civico, favorendo nel concreto società immobiliari e occupatori di dubbio titolo, come emerso (2018) grazie alle azioni ecologiste nelle aree boscate di Minni Minni (massiccio dei Sette Fratelli).

Ma qual è la situazione delle terre collettive?

Per certi versi, buone notizie, in prospettiva, per una migliore tutela e gestione del grande patrimonio rappresentato dai demani civici, più di 5 milioni di ettari  in tutta Italia, presenti un po’ dappertutto.

 

Novità dal Parlamento.

E’ stata recentemente approvata la legge n. 108 del 29 luglio 2021 di conversione con modificazioni e integrazioni del decreto-legge n. 77/2021, il c.d. decreto governance PNRR.

La legge contiene, fra le varie disposizioni, una norma, l’art. 63 bis, riguardante integrazioni all’articolo 3 della legge 20 novembre 2017, n. 168, in materia di trasferimenti di diritti di uso civico e permute aventi ad oggetto terreni a uso civico, che consentirà a Regioni e Province autonome di procedere in materia di trasferimenti di diritti di uso civico e permute, sbloccando così una situazione ormai cristallizzata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 178/2018.

La norma, approvata su proposta tenacemente sostenuta dell’on. Alberto Manca (M5S), costituisce un importante passo in avanti per la difesa delle terre collettive e la loro corretta gestione.

Ha, poi, sbarrato il passo alle proposte di radicale abolizione dei diritti di uso civico presentate incessantemente soprattutto dagli on.li Alessandro Battilocchio e Maria Spena (Forza Italia).

Ricordiamo, infatti, la sentenza Corte costituzionale n. 178/2018 ha dichiarato illegittimi gli artt. 37-39 della legge regionale Sardegna n. 11/2017 che avevano il pregio – caso unico in Italia – di legare qualsiasi eventuale ipotesi di sdemanializzazione di terreni a uso civico irreversibilmente trasformati (seppure illegittimamente, perché privi delle necessarie autorizzazioni) a trasferimenti del diritto di uso civico su altri terreni pubblici di pregevole interesse ambientale (es. coste, boschi, zone umide, ecc.) e sempre previa vincolante procedura di copianificazione Stato – Regione.

Finora le operazioni di riordino dei demani civici attraverso trasferimenti di diritti di uso civico e permute sono state rese estremamente difficoltose.  Potrebbero avvenire, di fatto, solo in via giurisdizionale davanti al Commissario per gli usi civici mediante quelle soluzioni conciliative proprie del procedimento (art. 29 della legge n. 1766/1927 e s.m.i.).

Con l’approvazione dell’art. 63 bis Regioni e Province autonome possono intervenire in campo normativo e amministrativo per consentire il trasferimento dei diritti di uso civico dalle aree ormai irreversibilmente (sebbene illegittimamente) trasformate (es. edificate) prima della legge n. 431 del 1985 (la c.d. legge Galasso) ad altre aree di grande valore naturalistico (boschi, coste, zone umide, pascoli, ecc.) con il mantenimento del vincolo paesaggistico sulle aree sdemanializzate. 

Analoghe operazioni potrebbero esser effettuate mediante permute.

Ora Regioni e Province autonome devono fare la loro parte, per la tutela di questo inestimabile patrimonio ambientale e per i cittadini.

 

I diritti di uso civico.

Come noto, i terreni a uso civico e i demani civici (legge n. 1766/1927 e s.m.i.legge n. 168/2017regio decreto n. 332/1928 e s.m.i.) costituiscono un patrimonio di grandissimo rilievo per le Collettività locali, sia sotto il profilo economico-sociale che per gli aspetti di salvaguardia ambientale (valore riconosciuto sistematicamente in giurisprudenza)[3].

I diritti di uso civico sono inalienabili, indivisibili, inusucapibili e imprescrittibili (artt. 3, comma 3°, della legge n. 168/2017 e 2, 9, 12 della legge n. 1766/1927 e s.m.i.). I demani civici sono tutelati ex lege con il vincolo paesaggistico (art. 142, comma 1°, lettera h, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).  Ogni atto di disposizione che comporti ablazione o che comunque incida su diritti di uso civico può essere adottato dalla pubblica amministrazione competente soltanto a particolari condizioni, previa autorizzazione regionale e verso corrispettivo di un indennizzo da corrispondere alla collettività titolare del diritto medesimo e destinato a opere permanenti di interesse pubblico generale (artt. 12 della legge n. 1766/1927 e s.m.i.).

 

In Sardegna.

Anche in Sardegna, dopo troppi anni di cattiva gestione, di lassismo e di abusi, il futuro dei diritti di uso civico appare migliore.

Dopo parecchi anni di lavoro e – nel piccolo – tante azioni legali e di sensibilizzazione da parte dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico, sta giungendo a positiva conclusione l’operazione di accertamento dei demani civici presenti nel territorio isolano da parte dell’Agenzia Argea Sardegna, delegata in materia dalla Regione autonoma della Sardegna.

E’ stato così finalmente reso nuovamente consultabile l’Inventario regionale delle Terre civiche, il documento fondamentale, di natura ricognitiva, per la conoscibilità dei terreni appartenenti ai demani civici in Sardegna.

Secondo quanto oggetto di provvedimenti di accertamento da parte dell’Agenzia Argea Sardegna, risultano terreni a uso civico in 339 Comuni sui 369 su cui sono state condotte le operazioni. I Comuni sardi sono 377: mancano ancora le attività di accertamento su 8 Comuni, nei quali si stima, comunque, la presenza di terre collettive.

In 30 Comuni, al termine delle operazioni, non sono risultati terreni a uso civico.

Complessivamente (considerando anche gli ultimi 8 Comuni dove devono esser svolte le operazioni di accertamento, ma dove se ne stima la presenza), dovrebbero essere 347 su 377 i Comuni dove sono presenti i demani civici, ben il 92% dei Comuni sardi.

 

Sono stati, inoltre, verificati e aggiornati i dati (estensione, catasto, ecc.) relativi ai 377 demani civici (dicembre 2020).

L’estensione complessiva delle terre collettive finora accertate è di circa 305.326 ettari, pari al 12,69% dell’Isola.

Tasti dolenti rimangono alcune gravi carenze gestionali: sui 347 Comuni sardi con presenza di demani civici sono soltanto 46 quelli dotati del regolamento comunale di gestione degli usi civici e solo 24 quelli muniti di piano di valorizzazione e recupero delle terre civiche, mentre migliaia di ettari occupati illecitamente attendono il recupero alla fruizione collettiva.

Nei mesi scorsi, dopo il vero e proprio risultato storico per la difesa delle terre collettive in Sardegna determinato dal primo recupero al demanio civico (addirittura in via bonaria) dei quasi 48 ettari di terreni occupati illegittimamente da Privati avvenuto recentemente a Carloforte, c’è stato un importantissimo segnale positivo dato dal Comune di Desulo che ha deciso, con la deliberazione consiliare n. 33 del 29 novembre 2018, adottata all’unanimità, segno della forte condivisione della proposta, di chiedere all’Agenzia regionale Argea Sardegna il trasferimento dei diritti di uso civico (art. 18 ter della legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.) da poco più di 11 ettari di vari terreni non contigui a più di 1.577 ettari di boschi e pascoli del Gennargentu, per “ … incrementare il proprio patrimonio civico e tutelare sotto il profilo ambientale una vasta area boschiva. In particolare l’apposizione del diritto d’uso civico garantirà, alle generazioni future, l’inalienabilità, l’inusucapibilità e l’imprescrittibilità dei terreni sui quali si trasferirà il diritto”.

 

Il Gruppo d’Intervento Giuridico per la difesa delle terre collettive.

Decenni di ignavia, di disinteresse, di cattiva gestione delle terre collettive in Sardegna stanno venendo consegnati, piano piano, al grande libro del passato anche grazie alla martellante campagna per la tutela delle terre collettive della Sardegna che il Gruppo d’Intervento Giuridico sta conducendo da anni, da ultimo con l’istanza (30 maggio 2018) per il recupero ai rispettivi demani civici (art. 22 della legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.) di migliaia di ettari di terreni a uso civico occupati illegittimamente da Privati e da Società immobiliari e l’emanazione dei provvedimenti di accertamento di ben 120 demani civici rientranti in altrettanti Comuni, nonché la razionalizzazione delle terre collettive.

Analogamente in tutta Italia (dal Lazio all’Umbria, dal Friuli – Venezia Giulia alla Toscana, alla Campania) il Gruppo d’Intervento Giuridico è schierato con forza e determinazione per la salvaguardia e la corretta gestione delle terre collettive, come avvenuto anche in occasione della recente approvazione della nuova norma.

Gruppo d’Intervento Giuridico odv

qui la sezione usi civici dell’Agenzia Argea Sardegna: http://www.sardegnaagricoltura.it/finanziamenti/gestione/usicivici/

qui l’Inventario regionale delle Terre civiche in Sardegna: http://www.sardegnaagricoltura.it/documenti/14_126_20200703135034.pdf


[1] Mario Enrico Gottardi, Governare un territorio nel Regno di Sardegna Il marchesato di Quirra. Secoli XIV-XIX, Università degli Studi di Cagliari (p. 28).

[2] Per chi volesse approfondire, Francesco Lillo, Il principio ubi feuda ibi demania, in AA.VV., Sanzioni amministrative in tema di usi civici, Ed. Giappichelli, 2013.

[3] vds. sentenze Corte cost. nn. 345/1997, 46/1995, 210/2014, 103/2017, 178/2018 e ordinanze Corte cost. nn. 71/1999, 316/1998, 158/1998, 133/1993.  Vds.. anche Cass. civ., SS.UU., 12 dicembre 1995, n. 12719; Cass. pen., Sez. III, 29 maggio 1992, n. 6537.

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