L’ondata di caldo ha colpito con violenza la parte ovest degli Stati Uniti
e del Canada alla fine del mese di giugno, coinvolgendo in particolare le città
di Seattle, Vancouver e Portland, che nel loro insieme contano più di nove
milioni di abitanti.
In particolare, nell’ovest del Canada sono morte decine di persone
per temperature che hanno raggiunto i 49,5 gradi, il livello più alto da quando
sono iniziate le rilevazioni. Una temperatura record di 49,6 gradi è stata
raggiunta in Canada nella cittadina di Lytton, che poco dopo è stata
praticamente distrutta da un incendio. La temperatura più alta in quel paese
non aveva mai superato i 45 gradi.
Anche in Siberia, a Verchojansk, sono state registrate
temperature superiori ai 47 gradi, che potrebbero anche accelerare lo
scioglimento del permafrost, con conseguenti aumenti nelle emissioni di gas
serra. In India l’ondata di caldo ha interessato decine di milioni di persone,
superando i 40 gradi, mentre a New Delhi, con 43,1 gradi, si sono registrate le
temperature più alte dal 2012. Il mese di giugno è stato il più caldo mai
registrato in Nord America, in Finlandia e in alcune zone della Svezia.
Ancora più preocupanti – se possibile – alcune previsioni circolate di
recente in sedi internazionali molto autorevoli. L’Agenzia internazionale
dell’Energia ha affermato che le emissioni globali di anidride carbonica
raggiungeranno nel 2023 livelli record, che tenderanno ad aumentare negli anni
successivi, a causa delle misure assolutamente insufficienti finora adottate.
Secondo una bozza di rapporto dell’IPCC che dovrebbe essere pubblicato
nel 2022 (reperita dall’agenzia di stampa francese AFP), la crisi climatica in
corso avrà un impatto devastante sulla Terra già fra trent’anni, in quanto la
temperatura media globale, ha già superato gli 1,1 gradi e si va verso un
aumento di tre gradi entro la fine del secolo (molto al di là quindi degli
obiettivi di 2 o 1,5 gradi di cui finora si è discusso in base all’Accordo di
Parigi).
Ci potrebbero essere conseguenze irreversibili, tra cui lo scioglimento dei
ghiacciai in Groenlandia e nell’Antartide occidentale e la trasformazione in
savana di parte della foresta amazzonica. Inoltre 350 milioni di persone in più
sarebbero colpite dalla siccità e ancora di più soffrirebbero per le ondate di
calore.
Nel mese successivo, le regioni più colpite dal calore globale soffrono per
incendi dalle caratteristiche ancora non sperimentate, In California, dopo
oltre trenta giorni, il fuoco, il più lungo della storia recente, ha
distrutto duemila chilometri quadrati di territorio, quasi mille edifici
e costretto alla fuga 12mila persone, creando quasi un “proprio clima” e
stimolando la nascita di una nuova branca di scienza, la “meteorologia degli
incendi”. Verso la fine di questo periodo, un ciclone con venti superiori ai
240 chilometri orari, percorre la Louisiana. Ida, così viene denominato, è stato
uno di più potenti dal 1850, fortunatamente si limita a far restare senza
elettricità un milione di persone e a mettere a dura prova il sistema dei
soccorsi.
In Russia, nella Yakutsia, in Siberia, un territori vasto come la metà
della Grecia, è devastato dagli incendi. In Grecia, una serie di 400 incendi ha
investito le foreste intorno ad Atene, l’isola di Evia, quel che
resta di Olimpia, la temperatura, dai 45 gradi dell’inizio è poi scesa a
35. In Italia, la serie di incendi è iniziata i primi giorni del mese in
Sicilia per poi percorrere il resto del paese prima e dopo l’ondata di
calore di metà mese.
Eventi meteo eccezionali oppure disastri conseguenti ai cambiamenti del
clima in accelerazione?
Forse non è questa la sede per provare a rispondere a una domanda così
impegnativa, però non possiamo evitare di cominciare a stabilire qualche
connessione di causa- effetto tra fenomeni considerati finora molto
lontani tra loro. Iniziamo dalla cupola di calore che all’inizio di
luglio ha investito il Canada in un territorio caratterizzato in genere di
questa stagione da un clima temperato e piovoso: temperature record, incendi,
fulmini, e centinaia di vittime hanno travolto la Columbia britannica, una
provincia occidentale dove in una settimana si sono registrate 719 vittime (il
triplo del normale) e 710 mila fulmini, oltre a 136 incendi; la
temperatura, che si aggirava di solito intorno ai 30 gradi, ha raggiunto il
livello record di 49,6 gradi centigradi.
Negli stessi giorni la “cupola di calore” investe l’ovest degli Stati
Uniti, dall’Oregon a Seattle, causando oltre 200 morti, e nella Valle della
Morte la temperatura registra 56 gradi centigradi.
Le cause immediate si possono solo descrivere: un fronte di aria calda
proveniente dal Pacifico ha viaggiato verso l’est e poi verso nord, è
rimasta bloccata e la “cupola bollente” è stata alimentata dal calore
proveniente dalle superfici. Ma le dimensioni assolutamente inusuali e finora
imprevedibili dipendono dal riscaldamento complessivo delle terre e dei mari,
ancora non abbastanza studiati, ma le cui cause di fondo sono da ricercare
nelle emissioni di gas serra e nell’inquinamento dell’aria.
Un meteorologo si dichiara “interdetto” davanti ad aumenti di dieci gradi
rispetto ai valori massimi raggiunti negli ultimi 100 anni e di almeno 20 gradi
rispetto alle medie e alle rilevazioni meteorologiche.
In effetti ci sono una serie di indicatori che documentano un riscaldamento
globale in fase di accelerazione e quindi un Pianeta che trattiene
sempre più calore e per periodi più lunghi, con conseguenze negative per un
numero crescente di paesi un tempo con clima moderato. (cfr. F. Grazzini, a pag.
3 de Il Manifesto del 3 luglio 2021).
Quasi contemporaneamente, in Germania, a metà luglio un nubifragio
improvviso e davastante ha colpito la Renania-Palatinato e il Nord Reno
-Westfalia, causando oltre 160 morti, distruggendo centinaia di
abitazioni, alluvionando intere regioni. Due dighe sono a rischio, canali e
tubature sono scomparsi, oltre 1000 i dispersi, migliaia gli sfollati.
Situazioni gravi sono state segnalate in Olanda e in Austria, nonchè lungo il
Danubio.
E’ presto per conoscere le origini più lontane di questi eventi, ma la
rapidità con la quale si sono prodotti e la forza delle acque e dei venti sono
talmente fuori dalle logiche di tipo meteorologico da far sospettare
collegamenti a scala planetaria con le modifiche del clima globale in corso.
In Italia, a fine luglio, Sicilia e Sardegna hanno fatto registrare caldo
intenso e numerosi incendi, in particolare a Catania e nell’Oristanese. Alla
fine della prima settimana erano stati registrati 34 roghi.
Poi gli incendi divampano a sud di Pescara, con centinaia di evacuati. Poi
molta pioggia in provincia di Come, esondano il lago e il fiume Varrone.
Il 7 agosto i roghi devastano l’Aspromonte, in Calabria, con morti ed evacuati
e viene lanciata l’allerta massima per il caldo, sono previsti anche 49 gradi
in almeno dieci grandi città.
Alcuni giornali mettono in evidenza il fatto che la situazione attuale era
stata prevista già nel 2004 e che i modelli utilizzati sono stati continuamente
resi più precisi. Il 12 agosto a Floridia, in provincia di Siracusa viene
registrata una temperatura record per l’Europa. 48,8 gradi centigradi e
nel resto del paese si prevedono le giornate più torride, accompagnate da
un alto livello di umidità. A Ferragsto erano le città maggiormente colpite.
Due studi (Ispra e Coldiretti) sottolineano il fatto che nell’anno corrente gli
eventi estremi in Italia sono aumentati del 56% e che ormai il 91, 3% dei
Comuni è a rischio idrogeologico.
E’ molto difficile pensare di essere di fronte a pure coincidenze, ma
forse è necessario essere molto più realisti e previdenti ed elaborare in tempi
stretti interventi diretti a ridurre le conseguenze della crisi climatica
(oltretutto molto costose in termini di soccorsi, ricostruzioni e riparazioni
dei servizi essenziali, oltre che di vittime), senza dimenticare, naturalmente,
i ruoli internazionali che si possono svolgere nelle sedi già impegnate in
azioni concrete.
Meccanismi economici di danno ambientale
La tutela della salute nel periodo della pandemia ha ovviamente avuto la
priorità sulle preoccupazioni per l’ambiente, ma ora sembra giunto il momento
delle prime valutazioni sul cosiddetto “plasticidio”, cioè l’ontenso utilizzo di
prodotti in plastica (mascherine, tute, guanti, ecc. ) con il relativo
inquinamento a causa dell’usa e getta indiscriminato. Un tentativo di
analisi molto organico lo ha realizzato M. Correggia per l’Extraterrestre del
luglio scorso, dal quale traiamo alcuni dati che evidenziano la portata del
fenomeno.
Per le mascherine monouso (dalla produzione all’utilizzo) è stata
calcolata una emissione di 580 grammi di gas serra in CO2 equivalente, mentre
secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente l’aumento della produzione di
mascherine nei paesi membri ha generato emissioni da 14 a 33,5 tonnellate di
anidride carbonica equivalente per ogni tonnellata di prodotto.
A livello mondiale sembra siano state utilizzate 129 miliardi di mascherine
e 65 miliardi di paia di guanti ogni mese. In pratica il danno ambientale è
delle stesse dimensioni di quello creato dalle bottiglie di plastica (43
miliardi al mese), sul quale l’UE non intende intervenire prima del 2O29.
Sembra invece manchino i dati relativi a tutti i flaconi di disinfettanti e di
gel utilizzati, che andrebbero distrutti come gli altri prodotti in plastica.
Un altro prodotto che sfugge ancora alle misure di sicurezza sono i
“concimi” industriali che vengono sparsi in grandi quantità sui terreni
coltivati. La pratica di utilizzare i fanghi che derivano dal trattamento
delle acque civili e industriali è molto diffusa perchè vengono considerati dei
fertilizzanti, ma non cè nessun controllo sulle sostenze tossiche che
potrebbero contenere e che potrebbero avvelenare i terreni o essere presenti
nei frutti delle coltivazioni.
Nell’articolo dell’ExtraTerrestre viene citata l’ordinanza del Gip di
Brescia: “Nei campioni usciti dall’azienda e che sono stati sparsi sui terreni,
le sostanze inquinanti (fluoruri, solfati, cloruri, nichel, rame, selenio,
arsenico, idrocarburi, zinco, fenoli) erano decine se non centinaia di volte
superiori ai parametri di legge”. E’ evidente che si tratta di un problema di
gravità estrema, che dovrebbe essere affrontato con urgenza.
Un terzo meccanismo economico di grande rilievo ambientale è
costituito dal prezzo sempre più elevato dei cibi biologici rispetto a quelli
spesso prodotti da allevamenti intensivi altamente inquinanti.
Ne consegue che una alimentazione più sana è di fatto accessibile solo a
famiglie a reddito più alto, mentre il mercato continua ad essere invaso da
prodotti che sono il risultato di vari inquinamenti, dannosi per i terreni, il
bestiame e gli esseri umani.
Sarebbe ovviamente necessario ribaltare molte componenti di questo mercato,
però nel frattempo sarebbe utile aumentare il grado di conoscenza dei limiti di
certe produzioni (ad esempio della carne) e suggerire una strategia di acquisto
più cosciente dei danni meno apparenti.
Un quarto meccanismo economico spesso sconosciuto è quello della
trasmissione dei dati via cavi sottomarini, che invece negli ultimi anni ha
assunto dimensioni e grado di complessità sempre più pericolosi per diversi
settori della convivenza tra paesi.
Impossibile sintetizzare il prezioso saggio apparso sul Le Monde
Diplomatique di luglio-agosto, due pagine intere fitte di informazioni e valutazioni,
ma alcune notizie essenziali meritano di non essere trascurate nelle analisi
economiche e politiche. In primo luogo, è da notare che il 99% delle
comunicazioni elettroniche intercontinentali utilizza il sistema dei cavi
sottomarini. Anche per questo motivo, i servizi segreti dei maggiori Stati si
inseriscono continuamente nel flusso dei dati per intercettare o bloccare
funzioni essenziali.
Anche la Cina (ma pure la Tailandia e Singapore) ha aumentato di molto i
suoi investimenti nel settore a partire dal 2010 e imprese cinesi negli ultimi
anni sono presenti nel 20% delle costruzioni di cavi, in particolare in aree
strategiche come il canale del Nicaragua o il collegamento tra Francia e Asia.
Ma già nel 2018 sono state esercitate pressioni sull’Australia per non far
partecipare l’impresa cinese Huawei alla realizzazione del cavo tra tra Sidney
e le Isole Salomone, mentre una impresa cinese ha investito in un cavo tra il
Camerun e il Brasile in cambio di un accesso alle zone di pesca.
Tra le imprese molto presenti nel settore dei cavi marittimi è opportuno
ricordare le cinque multinazionali delle comunicazioni, Google (7%), Apple,
Facebook, Amazon (31%), Microsoft (20%), chiamate anche GAFAM: le cifre tra
parentesi indicano il loro controllo del mercato
Ad esempio, Google sta posando Equiano, un cavo lungo 6600 chilometri lungo
la costa occidentale dell’Africa; Facebook sta realizzando il cavo più lungo
del mondo, 37.000 chilometri intorno al continente africano. In sintesi il
conflitto è tra Cina e Stati Uniti, con l’Europa che sembra aver perso questo
treno.
Infine, le “nuove” materie prime, come ad esempio le “terre rare”, sono
ormai oggetto di analisi più approfondite e critiche, che senza ridimensionare
il loro ruolo in un mondo di energie fossili in fase calante, evidenziano i
problemi che si pongono quando il loro utilizzo diventerà molto attraente per
il sistema economico ancora dominante.
In altre parole, quali imprese e quali Stati cercheranno di monopolizzare i
nuovi mercati e di imporre prezzi crescenti, ignorando ancora una volta le
esigenze urgenti del pianeta? Prima alcune informazioni essenziali.
coltan, cobalto, grafite, litio, neodimio, niobio, ecc.
Diventano sempre più importanti perchè essenziali per le industrie
informatiche e mediche (dai telefonini alle tecnologie diagnostiche più
informate) e per quelle meccaniche (batterie pulite per auto elettriche, turbine
eoliche, sottomarini, ecc.). L’importanza delle 17 terre rare è emersa dal
2010, quando la Cina che possiede il 93% dei giacimenti e che dispone
degli impianti per la loro lavorazione che finora sono stati spesso utilizzati
anche da altri paesi produttori dei minerali greggi, ha improvvisamente chiuso
le sue frontiere a causa dei conflitti scoppiati con il Giappone a causa della
sovranità sulle isole Diaoyu e Senkaku.
Inoltre già ora i tre quarti delle batterie al litio sono prodotte in Cina,
mentre finora gli Stati Uniti importano dalla Cina l’80% delle terre rare che
utilizzano. Oggi però in California e nel mondo si è scatenata la guerra per
produrre le auto elettriche e quindi servono in tempi brevi grandi quantitativi
di litio, anche dieci volte superiori a quelli attuali.
Oggi il maggiore produttore è l’Australia, seguita da Cile, Cina e
Argentina. I maggiore giacimenti di litio si trovano in Cile, in laghi salati
nella zona di Uyuni, a quattromila metri di altezza. Gli Stati Uniti hanno già
elaborato delle licenze per l’estrazione di litio in sei stati americani, ma
devono fronteggiate l’opposizione delle tribù di nativi americani che temono le
conseguenze nefaste delle miniere (scavi fino a 100metri di profondità, milioni
di tonnellate di materiali di riporto, l’utilizzo ogni giorno di milioni di
ettolitri di acqua mista a sostanze come l’acido solforico, che potrebbe
avvelenare le falde acquifere per trecento anni).
Questi esempi sono sufficienti per capire che ci trova di fronte ad una
ennesima contraddizione: le auto elettriche e in generale l’energia
pulita, sono essenziali per non aggravare l’inquinamento generato dall’uso dei
combustibili fossili, petrolio, carbone e gas in particolare, ma
l’estrazione di materiali essenziali come il litio, spinta da multinazionali e
industrie che non si pongono alcun limite, può causare nuovi danni ambientale
di grandi dimensioni, specie in aree densamente abitate.
Le alternative ci sarebbero, ma richiederebbero una coscienza ambientalista
molto raffinata e modifiche strutturale del sistema economico dominante, che
nessuno Stato ancora oggi intende sostenere o imporre.
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