Nonostante gli incerti pronostici della vigilia, i berlinesi hanno votato a favore dell’esproprio di 200 mila alloggi di grandi società immobiliari. Il referendum, che inizialmente aveva raccolto il numero minimo di firme per essere ammesso, non sembrava allarmare molto questi giganti del mattone. Più preoccupati invece erano i due principali partiti tedeschi: la CDU, profondamente contraria a qualsiasi ipotesi di esproprio, e la SPD piuttosto in imbarazzo al riguardo. Ora sarà il Senato di Berlino a prendere una decisione perché il voto espresso dai berlinesi con una maggioranza del 56,4% rappresenta una volontà politica che, per quanto forte, non è vincolante. Ma potrà la politica tedesca ignorare un voto popolare espresso con tanta chiarezza, un segnale politico tanto potente?
Nel 2019 era già accaduto che il consiglio
comunale della città tedesca avesse approvato il blocco dell’aumento degli
affitti per i successivi cinque anni, ma questo
provvedimento era poi stato bocciato dalla Corte Costituzionale.
Per noi italiani il tradimento della
volontà popolare non è certo una novità. È già accaduto con il referendum sulla
ripubblicizzazione dell’acqua, completamente disatteso, e sta accadendo in
queste ore a quello sulla cannabis legale, colpito da un vero e proprio
tentativo di sabotaggio da parte di 1.400 comuni che ritardano l’invio dei
certificati elettorali dei firmatari.
Ma Berlino non è l’Italia, anche se il
problema che sta affrontando la capitale tedesca è comune a molte città
italiane come Milano, Roma e anche Firenze. I berlinesi giustamente rivendicano
di non voler diventare come Londra o Parigi, dove le case in certi quartieri
non sono più abbordabili per la classe lavoratrice. Oltre tutto, bolle
speculative come quella di Londra hanno portato i quartieri più cool della
città a prezzi folli, con case acquistate esclusivamente dalla ricca élite mondiale, dai sauditi ai russi finanche ai
nababbi italiani. Questo significa anche distruggere il tessuto sociale di una
città e questo i berlinesi lo sanno. I lavoratori finiscono in periferia,
costretti a lunghi spostamenti per raggiungere il lavoro, mentre gli immobili
di interi quartieri sono acquistati da persone che ci vivono per pochi giorni
l’anno e da grandi società immobiliari che affittano a prezzi inaccessibili
anche per la classe media.
Firenze come città d’arte è toccata più
dal fenomeno della turistificazione che da quello della gentrificazione, anche
se gli effetti dei due fenomeni finiscono per coincidere. La nostra città ha
visto negli ultimi anni una fuga dei residenti verso la periferia e verso le
cittadine della cintura e la svendita del patrimonio immobiliare pubblico, e in
parte privato, ai grandi fondi di investimento mondiali.
La risposta degli elettori berlinesi può
essere un apripista per tante città e, proprio per questo, verrà sicuramente
ostacolata sia dalle società immobiliari che dai partiti politici liberisti. Le
prime risposte non si sono fatte attendere. La Deutsche Wohnen – la più grande
società immobiliare che ha visto il suo nome anche nella campagna referendaria
chiamata intitolata Espropiare Deutsche Wohnen (DWE – Deutsche Wohnen
Enteignen) – ha risposto per prima, con l’arroganza del padrone che si crede
padrone anche dei governi, spesso a ragione. Secondo loro, la città di Berlino
andrebbe a pagare 36 miliardi di euro per gli espropri e farebbe meglio a
investire quei soldi per costruire nuovi edifici. Dal canto loro, i promotori
del referendum sostengono invece che il costo degli espropri sarebbe di 14
miliardi, una bella differenza.
La Deutsche Bank, attraverso Jochen
Möbert, senior economist, aveva dichiarato al Sole24Ore prima
dell’esito di non essere preoccupata dal referendum, in quanto non vincolante:
‘se anche il governo dovesse procedere con la confisca, questo non sarebbe mai
forte abbastanza da far deragliare il boom economico dal quale dipende il boom
dell’housing a Berlino.’. Come a dire, fate pure tanto anche se la vostra
volontà venisse rispettata – e non è detto – i prezzi continueranno a salire.
Il suggerimento su dove spendere soldi da
parte della Deutsche Wohnen fa riferimento al forte debito pubblico della città
di Berlino che ammonta a quasi 60 miliari di euro. Ed è proprio l’asfissia
dei bilanci pubblici causata dal debito e dall’obbligo al pareggio di bilancio
il motivo che ha costretto e continua a costringere anche i comuni italiani a
disfarsi delle proprietà immobiliari, con la Cassa Depositi e Prestiti a fare
da liquidatrice del patrimonio pubblico. La trappola del debito pubblico
intacca anche la democrazia, come scrive Marco Bersani nell’ultimo numero di
Jacobin ‘Dopo vent’anni di politiche liberiste, città e Comuni sono stati
trasformati da luoghi della democrazia di prossimità e da garanti dei beni
comuni e dei servizi pubblici in facilitatori dell’espansione degli interessi
finanziari nella società, mettendo sul mercato la ricchezza collettiva delle
comunità territoriali ed espropriandole di democrazia.’.
Il risultato del referendum berlinese è
una risposta anche a questo, l’utilizzo di uno strumento di democrazia diretta
per incidere sulle politiche cittadine. A pensarci bene lo strumento
referendario, reso più snello dall’utilizzo della firma online, permetterebbe
ai cittadini di incidere molto di più sulle proprie città di quanto non sia
possibile allo stato attuale con la democrazia rappresentativa, visto che –
grazie a sistemi elettorali maggioritari – le assemblee elettive non sono più
in grado di spostare le decisioni blindate di sindaci e giunte.
La parola esproprio, che rimanda agli anni
Settanta e a soluzioni ‘sovietiche’ come molte testate allarmate hanno scritto,
è indubbiamente la soluzione migliore dal punto di vista ambientale, non essendo
più sostenibile un ulteriore consumo di suolo. Sono le soluzioni liberiste ad
aver fatto il loro tempo, se Berlino può farlo tutti possiamo.
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