L’Argentina odierna appare la perfetta rappresentazione della narrazione dominante: mentre si celebra il governo dell’anarcocapitalista Milei, come lui stesso si definisce, il paese è ancora una volta in ginocchio a causa di politiche scellerate a livello economico, sociale, ambientale.
Il 1° marzo Milei ha annunciato un accordo con il Fondo Monetario
Internazionale accompagnato da una proposta di legge tesa a sancire il surplus
fiscale (cioè la maggior entità delle entrate rispetto alle spese) come
pilastro della politica economica nazionale. In questo modo Milei vuole stabilizzare
le finanze pubbliche e rimborsare parte del debito pubblico. Il prestito da
parte del Fmi servirebbe ad aumentare le riserve della banca centrale e
permettere un sistema di cambio più flessibile, con l’obiettivo di ridurre la
spesa pubblica al 25% del Pil entro il 2027. La strategia è
semplice: ridurre, se non azzerare, il ruolo dello Stato, favorendo la libera
concorrenza estrema, azzerando le tasse (definite “pizzo di
Stato”), flessibilizzando il mercato del lavoro, licenziando decine di
migliaia di lavoratori statali, eliminando il sostegno alle fasce più deboli.
Mentre si vanta di avere ridotto l’inflazione e aver registrato nel 2024 un
surplus fiscale dopo oltre 15 anni di recessione, Milei non racconta che il
costo per questa operazione, peraltro transitoria, è il 54,5% della popolazione
sotto la soglia di povertà, con i pensionati allo stremo per la riduzione del
sistema pensionistico e le grandi città, come Buenos Aires, invase da folle
di homeless. Fanno parte del piano strategico
economico l’eliminazione del controllo sui canoni degli
affitti e del tetto ai prezzi del carburante, dei farmaci e delle
assicurazioni sanitarie e dell’obbligo per i supermercati di tenere prodotti di cooperative
e piccoli produttori, la privatizzazione di otto imprese statali nel campo
dell’energia, della rete autostradale e di quella ferroviaria, i tagli
imponenti alla cultura, all’ambiente e all’istruzione. Non ultimo è intervenuto
lo scandalo della criptovaluta $LIBRA, promossa dal presidente stesso, che
ha visto un rapidissimo aumento del valore cui è succeduto un altrettanto
rapido crollo con arricchimento dei promotori e perdite
importanti per gli investitori argentini, ma anche statunitensi
(tanto che l’inviato del Dipartimento di Stato per l’America Latina, Mauricio
Claver Carone ha annunciato un’indagine del Dipartimento di Giustizia Usa per
accertare eventuali frodi).
Nel frattempo continua la politica negazionista che vede in prima linea la
vicepresidente Victoria Villaruel, figlia di un ufficiale in servizio
durante la sanguinosa dittatura dei 30.000 desaparecidos. La Villaruel ha fondato, nel 2003, il Centro di studi giuridici sul
Terrorismo e le sue Vittime, ramo di un’associazione fondata nel 1993 dall’ex
capo dei servizi segreti durante la dittatura, Fernando Exequiel Verplaetsen,
con l’obiettivo di una narrazione in cui i militari coinvolti nei processi per
sequestro, stupro, tortura, detenzione clandestina e quanto di peggio si possa
immaginare erano, in realtà, i difensori della Patria contro la sovversione
comunista incarnata dalla guerriglia. Da notare che la Villaruel ha completato
la sua formazione partecipando, nel 2008, a un corso di coordinamento tra le
agenzie antiterrorismo presso il Dipartimento della Difesa degli Usa. Insomma,
una preparazione ad hoc per il varo di un negazionismo
assoluto che si manifesta con la chiusura del programma tv delle Madres de
Plaza de Mayo, con la criminalizzazione della protesta e con l’uso
indiscriminato della forza. C’è stato addirittura il tentativo di chiudere
l’Esma, l’ex scuola meccanica della marina, che è stato il lager clandestino
più importante della dittatura, una vera fabbrica della morte,
divenuta spazio della memoria e dei diritti umani e iscritta, nel settembre
del 2023, nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco. Non avendo potuto
chiuderla, Villaruel e Milei hanno licenziato la quasi totalità dei dipendenti
e chiuso alcune sale deputate a centri culturali.
Nella rivisitazione della storia non poteva mancare la creazione del nemico
interno, di cui sono stato direttamente testimone partecipando alla carovana di
appoggio al popolo Mapuche che si è tenuta nel
gennaio-febbraio scorsi, organizzata da Ya Basta Edi Bese, una ventina di
attivisti italiani, un messicano portavoce di una associazione contadina di
Oaxaca e attivisti argentini (compresi alcuni antropologi dell’Università di
Buenos Aires e Bariloche). Il nostro viaggio ha seguito il corso del rio
Chubut, il fiume che attraversa tutta la regione omonima della Patagonia, 810
km dalla sorgente sulle Ande alla foce nell’oceano Atlantico. Lungo il percorso
ci siamo fermati nelle comunità Mapuche, ascoltando la loro versione della
storia e tessendo reti di solidarietà. Sin dal nostro raduno a Bariloche ed El
Bolson, due località turistiche, abbiamo visto le fiamme degli incendi
che stanno devastando la Patagonia: oltre 100.000 ettari di bosco nei parchi
nazionali Lanin e Nahuel Huapi ridotti in cenere, lambendo i centri
abitati. Una superficie equivalente a oltre un quarto del Piemonte, destinata
purtroppo ad aumentare! Il Servicio Nacional de Manejo del Fuego, l’ente
statale preposto alla prevenzione e controllo degli incendi, ha stabilito che
il 95% degli incendi è di origine dolosa e qui è scattata la menzogna del
Governo, che ha incolpato i Mapuche, popolazione autoctona, di essere gli
artefici di tale scempio. Non un accenno al fatto che Milei ha utilizzato solo
il 26% dei fondi destinati a contrastarli e che una serie di
elicotteri antiincendio è stata venduta all’Ucraina, come
riporta Pagina 12, uno dei periodici a maggior tiratura nel Paese.
Né dobbiamo pensare che tutto ciò sia fine a se stesso. La diminuzione
delle risorse destinate al controllo boschivo e la dolosità degli incendi, ma
soprattutto le zone ove sono stati appiccati rispondono a una precisa
strategia: i Parchi Nazionali, infatti, hanno precise tutele ambientali
che decadono nel momento in cui gli incendi li devastano, lasciando
campo libero all’estrattivismo e alla speculazione immobiliare!
Nel nostro viaggio abbiamo appreso molto sulle barbarie che stanno
affliggendo l’umanità. La Patagonia e il rapporto con i popoli
originari sono lo specchio della direzione che il sistema capitalista ci sta
imponendo e delle strategie per attuare il suo piano criminale.
Nel primo incontro, alle pendici delle Ande, in un luogo incantevole recuperato
da una comunità Mapuche tagliando il recinto di filo spinato messo da Benetton,
ci è stato rivelato come la zona circostante ha visto l’arrivo di investitori
provenienti dal Qatar, che hanno riempito le loro neo proprietà di cervi fatti
arrivare direttamente dall’Europa per organizzare grandi battute di caccia cui
invitare occidentali, arabi e quant’altri possano rivelarsi investitori e/o
clienti in quelle che diventeranno zone sciistiche di extra lusso! In
altri incontri ci hanno raccontato di abitazioni costruite ad altezze
teoricamente vietate dalla legge: il piano di protezione dei parchi stabilisce
che in quelle aree non si può costruire sopra certe altezze. Ma la speculazione
immobiliare in vista degli impianti sciistici non si cura certo della legge,
anche per la connivenza con il Governo Milei! Questa volta gli investitori
provengono dagli Emirati Arabi. Scopriamo inoltre che le acque del Rio Chubut,
la più importante risorsa idrica di quelle zone aride, è stata data in
concessione alla Mekorot, l’impresa statale di Israele che si occupa della
gestione idrica. Darla in gestione non è solo l’anticamera della
privatizzazione, ma anche lo sdoganamento di una modalità aggressiva e violenta
di agire, conoscendo come agisce in Palestina e nelle zone occupate. Man
mano che la nostra carovana avanza scopriamo altre zone destinate a essere
deturpate diventando zone sciistiche di lusso, come il Cerro Leon.
Gli interessi di Benetton sono invece concentrati su altri
obiettivi: dimenticate le pecore e il mercato della lana, ora il gruppo
veneto si è orientato sull’estrattivismo, inteso come ricerca delle
terre rare, lo stesso motivo per cui Trump vuole derubare l’Ucraina con
finti negoziati in cui l’unica bussola è il tornaconto
economico. Quei 17 elementi, fondamentali nell’industria degli
armamenti e della tecnologia, producono un mercato che vale 11 miliardi di
dollari, con la previsione di arrivare, nel 2031, a oltre 21 miliardi. Per fare
questo Benetton e il suo compare Joe Lewis (il magnate inglese che ha
comprato e recintato una zona immensa intorno al lago Escondido) sono sostenuti
dai Gauchos Nacionales, un’associazione di pistoleri
prezzolati che minacciano, malmenano e arrestano i Mapuche, incolpandoli di
essere gli artefici degli incendi. I Gauchos sono
guidati da Victor Hugo Araneda, tristemente famoso per aver aggredito e
malmenato, nel 2023, gli attivisti che protestavano per il blocco, da
parte di Lewis, del sentiero di accesso a un lago che la
legge considera passaggio comune e quindi accessibile a chiunque.
Un ulteriore fattore di crisi è quello delle piantagioni
di pini, che vedono tra gli artefici anche il gruppo Benetton. Negli anni ’90 fu
introdotta la legge Verde por verde secondo la quale gli
imprenditori che, con le loro attività, causavano aumento dell’anidride
carbonica potevano essere esentati dalle multe piantando alberi che smaltissero
tale contaminazione. Gli imprenditori decisero quindi di piantare decine di
migliaia di piante non autoctone come
i pini. E soprattutto piantarono pini di una
varietà che lascia deposti sotto forma di aghi di pino e pigne che
soffocano le piantine usate dai Mapuche come medicina e che
sono altamente infiammabili (come lo stesso albero che, essendo ricco di
resina, brucia con estrema facilità): da cui uno dei motivi della rapida
propagazione degli incendi. Inoltre i pini consumano molta acqua e
acidificano il terreno, a scapito delle piante medicinali.
Cosa fa il Governo in questo contesto? Stabilisce
che i responsabili sono i Mapuche, gli unici a non avere alcun
interesse a che ciò avvenga e la cui cosmogonia prevede il rispetto totale e la
fusione con la natura. Arresta e criminalizza la protesta e crea il nemico
interno, vecchia strategia che echeggia anche
nella politica nostrana… In Argentina un litro di
latte costa 2,20 euro, un caffè al bar fino a 3,50 euro, i supermercati hanno
prezzi europei se non oltre mentre i salari non sono neppure lontanamente
comparabili. Ma per Milei e accoliti il problema sono i Mapuche e si dà grande
risalto alla Resistencia
ancestral Mapuche, un gruppo di giovani già sconfessato dai Mapuche e
praticamente inesistente, che serve per definire terroristi tutti
i Mapuche e poterli reprimere. E, a seguire, una serie di misure:
l’abrogazione della legge che proibiva lo sgombero dei nativi, alcuni decreti
urgenti che praticamente annullano le protezioni dei popoli
originari, l’intitolazione del salone della casa Rosada, sede del Governo,
non più ai popoli originari ma agli eroi delle Malvinas.
Nel nostro viaggio abbiamo condiviso dinamiche di oppressione e
strategie di resistenza ed è triste constatare che subito dopo il nostro
passaggio le comunità sono state attaccate, le persone malmenate e arrestate,
le radio comunitarie distrutte. Come è stato triste vedere che l’accordo con la
Mekorot e la creazione di un corpo unificato patagonico con funzione di
controllo e repressione risalgono al Governo peronista di Alberto
Fernandez. Solo l’unione delle resistenze dal basso può dare qualche
frutto, come ci racconta Yanniello, un attivista di Bariloche che partecipa
alla carovana: ecologisti, antropologi e giornalisti argentini non tanto e non
solo a sostegno dei diritti dei Mapuche, quanto a difesa del territorio contro
la necropolitica del capitale.
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