I bambini sono
sempre una luce. Vorrei potervi mostrare due foto di Sammy, ma non si può fare,
le regole non lo permettono, giustamente. Ne ho una di quando arrivò a Ndugu:
si vede un bambino di una decina d’anni dallo sguardo triste, arrogante e
impaurito allo stesso tempo, scalzo, un paio di calzoni stracciati, una
maglietta che una volta era dei colori della Roma trovata chissà dove.
Ne ho un’altra
fatta ieri pomeriggio quando sono andato a Tone la Maji per vedere la
sistemazione dei nuovi arrivati. Ero un po’ stanco, e probabilmente si vedeva.
Sammy appena mi ha visto mi è venuto incontro correndo a braccia allargate per
abbracciarmi. Ho teatralmente rifiutato l’abbraccio, gridando: «No, no,
coronavirus!». Sammy mi ha scansato e si è buttato sul prato, rotolandosi e
ridendo. L’immagine della felicità. Poi mi ha detto: «Padre, qui tutto è così
bello! Grazie!». Lo guardavo e vedevo un bambino che non ha nulla, solo quello
che indossa adesso, nient’altro. Niente. Sammy non possiede niente di
materiale. Non è ciò che ha, è ciò che è, un nodo di relazioni con gli altri.
Ciò che possiede è tutto e solo interiore, le ferite del passato e la gioia del
presente. Spero che a Tone la Maji abbia una lunga crescita che riporti
equilibrio nella sua vita.
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