(Intervista di Francesco
Bilotta)
La
diffusione del coronavirus come si colloca rispetto alle patologie ambientali?
Ne abbiamo parlato con Patrizia Gentilini, medico oncologo ed ematologo, membro
di Isde-Associazione di medici per l’ambiente, per fare il punto sulle minacce
che incombono sulla nostra salute.
Quale è il
suo giudizio su questo virus e sulle drastiche iniziative che cercano di
isolarlo e impedire la sua diffusione?
I virus
hanno sempre circolato. Questo appartiene alla categoria dei coronavirus e
anche se è nuovo non è particolarmente grave. Non sono spaventata. L’80% delle
persone colpite ha una risposta blanda e il virus sembra risparmiare i più
giovani. Niente a che vedere con la Sars (Sindrome respiratoria acuta), dove la
risposta immunitaria al coronavirus era più violenta ed era la stessa risposta
immunitaria a produrre i danni maggiori, con liberazione di citochine e una
serie di eventi a cascata. Le misure di contenimento sono necessarie per
ridurre il numero di persone che vengono a contatto col virus. La letalità si
attesta intorno al 2%, un valore non particolarmente alto, ma se i contagiati
fossero milioni, allora il numero complessivo di morti sarebbe elevato.
La salute
umana è correlata agli squilibri ambientali e questo vale anche per il nuovo
coronavirus. In che modo le sostanze chimiche di sintesi e gli inquinanti
ambientali possono alterare la risposta immunitaria e facilitare l’azione di
virus e batteri?
Tutte le
sostanze chimiche che agiscono come interferenti endocrini influiscono sulla
capacità immunitaria dell’organismo. Si assiste a una invasione di sostanze
chimiche di sintesi (pesticidi, additivi alimentari) e di inquinanti ambientali
che hanno effetti tossici e mutageni. I sistemi immunitari più efficienti
superano meglio una malattia virale o batterica. Le persone anziane o
immunodepresse hanno più difficoltà.
Questa
epidemia mette in discussione, ancora di più, il rapporto tra l’uomo e
l’ambiente. Gli ecosistemi biologici sono stati profondamente modificati. In
che misura le malattie emergenti sono legati ai fattori ambientali?
Le attività
umane stanno sconvolgendo gli ambienti microbici e le profonde modificazioni
che sono state indotte cambiano anche le modalità di trasmissione e diffusione
di virus e batteri. C’è, inoltre una stretta relazione tra inquinamento
ambientale (suolo, acqua, aria) e l’insorgenza di gravi patologie. Questo virus
è molto potente, nel senso che è riuscito a fermare il mondo, quello che non
riesce a fare l’inquinamento ambientale che produce ogni anno nel mondo,
secondo l’Oms, più di 12 milioni di morti premature e, di questi, ben 8 milioni
sono dovuti all’inquinamento atmosferico. In Italia ogni anno si registrano 80
mila morti a causa dell’inquinamento ambientale e siamo il primo paese in
Europa per mortalità dovuta alle polveri sottili. Si sottovaluta il pericolo
rappresentato dalle sostanze inquinanti. Si mette in atto una indispensabile
mobilitazione per fermare il virus, mentre si adoperano misure palliative
rispetto all’inquinamento. Due pesi e due misure che ha gravi conseguenze.
L’area
lombardo-veneta, dove sono presenti i principali focolai del virus, è anche
quella dove si registrano i tassi più elevati di inquinamento atmosferico e del
suolo. Cosa si può fare, una volta superata l’emergenza coronavirus, per
affrontare la questione delle malattie legate agli squilibri ambientali
prodotti dall’uomo?
Il
coronavirus mobilita e riesce a mettere in discussione le nostre abitudini
perché scatena paure ancestrali. Attualmente, nei paesi occidentali, il 91%
delle morti è causato da malattie non trasmissibili (cardiovascolari,
respiratorie, tumori), con l’ambiente che svolge un ruolo decisivo nel
favorirle, mentre il 9% è causato da malattie infettive. Le aree più inquinate
sono quelle dove si registra la più alta incidenza di patologie. Nella pianura
Padana l’esposizione alle polveri sottili e al biossido di azoto rappresenta
una emergenza sanitaria. Le concentrazioni hanno raggiunto livelli
insostenibili senza che le amministrazioni attuassero misure adeguate. In
Veneto c’è una emergenza ambientale causata dall’elevata concentrazione di Pfas
(sostanze perfluoro alchiliche) nelle acque sotterranee, superficiali e
potabili. Intere comunità sono avvelenate da queste sostanze e una alta
percentuale dei residenti nella regione ha valori elevati nel sangue. Facciamo
fatica a cogliere la dimensione dei fenomeni, c’è una diversa percezione del
pericolo, ma i veleni invisibili meritano la stessa attenzione che stiamo
dedicando al coronavirus.
Nessun commento:
Posta un commento