Partirei innanzitutto da quale mondo abitiamo. Guerre,
invasioni e morte, terrorismo, fenomeni e squilibri ambientali violenti causano
in intere popolazioni paura e incertezza. E’ diffuso nella maggioranza della
popolazione un senso di sfiducia, indifferenza, ritiro individuale e chiusura
sociale. Oggi poi a causa del Covid19 siamo ancor più preda della
preoccupazione se non di un timore generalizzato, che rende utile una
riflessione sulle ricadute psicologiche sul singolo e sulla società di questa
epidemia.
Siamo consapevoli che la fretta serve poco a individuare strategie
adeguate, mentre l’arma del pensiero riduce la possibilità di errore legata a
soluzioni scientificamente sbrigative o democraticamente non risolutive.
Se partiamo da quelle che sono segnalate come le origini di una buona parte
dei problemi, la responsabilità si attribuisce prevalentemente agli squilibri
provocati dai grandi e troppo veloci cambiamenti avvenuti nelle società, dovuti
anche alla proliferazione di sempre nuove tecnologie. Infatti la
globalizzazione economica ha smantellato conquiste e sicurezze nei lavoratori,
provocando nella popolazione disorientamenti profondi, con perdita di fiducia
in chi la rappresenta e nelle ideologie solidali. I lavoratori hanno perso le
sicurezze legate alla propria capacità lavorativa, con il timore, lo sconforto
o la vergogna per non essere in grado di mantenere le proprie famiglie. Le
nostre competenze lavorative infatti danno fondamento alla nostra identità,
compresa quella sociale.
Gli esperti denunciano da tempo il profilarsi di nuove patologie
psichiche, che stanno assumendo un carattere endemico, e quindi divengono
patologie sociali. Sono il risultato di tentativi di fuga dal dolore
psichico, spesso il prodotto di una rincorsa affannosa per stare al passo coi
tempi, mentre si è superati da sempre nuove macchine, adombrando lo spettro
della disoccupazione insieme con quello dell’impossibilità di una soluzione.
Uno stato di difficoltà si osserva soprattutto fra i giovani. Diffuse
insicurezze esistenziali portano a ritiro, indifferenza, oppure a un aumento
delle soluzioni legate allo “sballo” delle nuove droghe.
OGGI QUINDI il Covid 19 spaventa. Prima di tutto i tempi
lunghi delle notizie, partite da lontano, hanno aumentato l’incubazione nella
mente dei timori. Sicuramente poi il fatto che l’epidemia cammina, è globale
collega le emozioni all’impossibilità di vie di fuga. Ci si sente sempre più inermi
di fronte a un evento troppo enorme. Ai tempi infine delle fake news non
dimentichiamo una incertezza generale rispetto al “vero – non vero” e la
sfiducia nella verità dei fatti e delle notizie.
La paura di un pericolo invisibile, impalpabile, onnipresente, che
rappresenta il peggiore degli incubi, porta con sé l’urgenza di trovare una via
d’uscita. Il rischio è che la paura metta fretta, accechi, non trovi pensiero e
parole, e divenga panico. Non porti ascolto e riflessione ma “faccia massa”.
Se vince la paura, l’emozione prende spazio, si allarga il contagio
emotivo e con esso l’impulso a “fare qualcosa”, che provoca ad esempio
l’esagerata corsa ai supermercati e nelle farmacie.
Il risultato negativo più pericoloso è la sensazione di essere soli,
soli contro tutti. Di certo questo è un primo aspetto traumatico sia a livello
individuale sia collettivo.
Ci sono molte strategie psicologiche per chiudere con la paura e
quelle troppo sbrigative spesso sono poco efficaci. Il bambino di fronte al
pericolo si copre gli occhi, immaginando che ciò che non vede non esiste.
Alcuni poi si proteggono dietro l’individuazione di qualcuno o qualcosa, un
colpevole. Può essere il dire “E’ colpa dei cinesi, dei migranti degli
italiani” ecc.
Si trova un capro espiatorio, che però essendo divisivo delle forze in gioco, diviene pericoloso. Se una cosa infatti oggi è divenuta chiara, anche se complessa nella realizzazione, è che il problema è globale e solo tutti insieme lo si può risolvere. Una risposta adeguata, difficile all’oggi visto il panorama di sfiducia generalizzata, è legata non al rifugio in affidamenti fideistici, ma al credere nella capacità tutta umana di affrontare un problema. Mi riferisco alla capacità di tollerare con la paura l’incertezza. E questa forza la si rintraccia mantenendo il coraggio degli occhi aperti. E’ così che possiamo iniziare a dialogare con la paura, ricostruire una cauta fiducia in noi stessi e negli altri e insieme la speranza nel futuro, che ci riconnette con la saggezza dell’esperienza e con l’umanità.
Si trova un capro espiatorio, che però essendo divisivo delle forze in gioco, diviene pericoloso. Se una cosa infatti oggi è divenuta chiara, anche se complessa nella realizzazione, è che il problema è globale e solo tutti insieme lo si può risolvere. Una risposta adeguata, difficile all’oggi visto il panorama di sfiducia generalizzata, è legata non al rifugio in affidamenti fideistici, ma al credere nella capacità tutta umana di affrontare un problema. Mi riferisco alla capacità di tollerare con la paura l’incertezza. E questa forza la si rintraccia mantenendo il coraggio degli occhi aperti. E’ così che possiamo iniziare a dialogare con la paura, ricostruire una cauta fiducia in noi stessi e negli altri e insieme la speranza nel futuro, che ci riconnette con la saggezza dell’esperienza e con l’umanità.
DOMANI torneremo alla vita “normale” e sarà vitale riflettere su una
situazione ampiamente traumatica come questa. La globalizzazione, nata come
movimento egualitario sull’onda della diffusione di internet, veicolava l’idea
di un uscita collettiva dalle differenze ricchi-poveri. Una sorta di fantasia
di diffusione planetaria della conoscenza alla portata di chiunque e
un’accessibilità generalizzata ai mezzi tecnologici induceva a sognare
l’ingresso nel mondo dell’uguaglianza planetaria. Allo stato attuale si segnala
tutt’altro. La caduta dei “muri” ideologici, che fungevano da barriera di
contatto in equilibrio instabile fra mondi diversi, e la conseguente
globalizzazione, guidata dalla finanza, ha prodotto soluzioni squilibrate e
pericolose estremizzazioni delle differenze. È noto quanto l’idea di
uguaglianza da sempre abbia creato grandi speranze e sogni e anche quanto non
abbia retto alla prova del “reale”potere economico e politico. La sensazione di
onnipotenza, che l’accelerazione delle tecnologie e della globalizzazione ha
prodotto in prima battuta però ha rivelato molti punti deboli. La morale del
“posso fare o essere ciò che voglio” ha necessità di più attente valutazioni.
Occorre mettere al centro della riflessione gli indicatori di sofferenza
del sistema “globalizzazione”, per cercare risposte adeguate. Il
primo indicatore è la diffusione globale del Covid 19, che oggi appare chiaro
che chiama all’alleanza delle forze scientifiche, politiche e umane, come unica
fonte possibile. Un altro segnale sono gli ormai ubiquitari movimenti
migratori. Trovo particolarmente interessante il fatto che gli eventi
attuali hanno sconfessato sui tempi lunghi il fatto che ” la Storia la scrive
chi vince”. Ed hanno portato in primo piano le vicende di popoli che erano ai
margini e che evidentemente, in un fenomeno carsico,hanno lavorato
sotterraneamente per giungere a portare in piena luce le proprie ragioni. Paesi
e popolazioni che sembravano sottomessi, passivamente adattati alla Storia di
civiltà diverse dalla loro, oggi, proprio forse grazie alla diffusione del
mondo web, anche se non con parole o stendardi, vengono a presentare il conto.
Altro indicatore, e ci spostiamo nel micro-cosmo del singolo e delle
famiglie, è la diminuzione della natalità. Fermo restando che
la procreazione debba essere una scelta, proprio per questo è un indicatore
interessante rispetto a quello che si ritiene il destino umano. Altro segnale
ancora è l’aumento della violenza. Penso come esempio al bullismo o ai
femminicidi, spesso inspiegabili e inspiegati dagli stessi che hanno fatto
l’agito violento. E’ frequente osservare come spesso ci sia una distanza, una
cesura, una scollatura tra ciò che si è e l’immagine stereotipata che ci offre
il mondo virtuale, alcuni media o la pubblicità. Così in alcuni, immersi nella
bolla di un mondo virtuale, con una vita reale molto al di sotto dei sogni,
l’agito violento diviene un tentativo di cancellare la realtà della propria,
per loro insostenibile, fragilità, spesso con l’imitazione di eroi negativi,
non essendo in grado di fare quel delicato calcolo costo-ricavi che è il
risultato di un pensiero più intimo. E l’esito è drammatico.
Tutti questi sono segnali di disagio, e a livelli sia del micro sia del
macro-cosmo, hanno bisogno di essere ben individuati e “curati”. E “medicati” a
livello globale.
Questa epidemia, almeno momentaneamente, ha reintrodotto, insieme alla
paura, una preziosa consapevolezza della fragilità umana. Un indicatore
positivo, piccoli eubiquitari segnali di consapevolezza, sono le tante
manifestazioni nel mondo, aggregazioni spontanee di masse, anche molto
differenti tra loro, che mostrano uno stato di sofferenza o di disagio, che
dovrebbero essere ascoltati. Occorre rivedere e riequilibrare i progetti per
uno sviluppo sostenibile, tenendo conto di tutti i soggetti in gioco. Da Noè in
poi si è sempre saputo che la salvezza risiede nello stare tutti su una stessa
barca. Sarebbe un grosso errore sottovalutare tanti segnali. E’ tutto
da studiare perché sappiamo bene cosa sia la guerra e molto poco invece la
pace.
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