venerdì 27 marzo 2020

Strategie psicologiche per affrontare il virus a occhi aperti – Silvia Vessella




Partirei innanzitutto da quale mondo abitiamo. Guerre, invasioni e morte, terrorismo, fenomeni e squilibri ambientali violenti causano in intere popolazioni paura e incertezza. E’ diffuso nella maggioranza della popolazione un senso di sfiducia, indifferenza, ritiro individuale e chiusura sociale. Oggi poi a causa del Covid19 siamo ancor più preda della preoccupazione se non di un timore generalizzato, che rende utile una riflessione sulle ricadute psicologiche sul singolo e sulla società di questa epidemia.
Siamo consapevoli che la fretta serve poco a individuare strategie adeguate, mentre l’arma del pensiero riduce la possibilità di errore legata a soluzioni scientificamente sbrigative o democraticamente non risolutive.
Se partiamo da quelle che sono segnalate come le origini di una buona parte dei problemi, la responsabilità si attribuisce prevalentemente agli squilibri provocati dai grandi e troppo veloci cambiamenti avvenuti nelle società, dovuti anche alla proliferazione di sempre nuove tecnologie. Infatti la globalizzazione economica ha smantellato conquiste e sicurezze nei lavoratori, provocando nella popolazione disorientamenti profondi, con perdita di fiducia in chi la rappresenta e nelle ideologie solidali. I lavoratori hanno perso le sicurezze legate alla propria capacità lavorativa, con il timore, lo sconforto o la vergogna per non essere in grado di mantenere le proprie famiglie. Le nostre competenze lavorative infatti danno fondamento alla nostra identità, compresa quella sociale.
Gli esperti denunciano da tempo il profilarsi di nuove patologie psichiche, che stanno assumendo un carattere endemico, e quindi divengono patologie sociali. Sono il risultato di tentativi di fuga dal dolore psichico, spesso il prodotto di una rincorsa affannosa per stare al passo coi tempi, mentre si è superati da sempre nuove macchine, adombrando lo spettro della disoccupazione insieme con quello dell’impossibilità di una soluzione.
Uno stato di difficoltà si osserva soprattutto fra i giovani. Diffuse insicurezze esistenziali portano a ritiro, indifferenza, oppure a un aumento delle soluzioni legate allo “sballo” delle nuove droghe.
OGGI QUINDI il Covid 19 spaventa. Prima di tutto i tempi lunghi delle notizie, partite da lontano, hanno aumentato l’incubazione nella mente dei timori. Sicuramente poi il fatto che l’epidemia cammina, è globale collega le emozioni all’impossibilità di vie di fuga. Ci si sente sempre più inermi di fronte a un evento troppo enorme. Ai tempi infine delle fake news non dimentichiamo una incertezza generale rispetto al “vero – non vero” e la sfiducia nella verità dei fatti e delle notizie.
La paura di un pericolo invisibile, impalpabile, onnipresente, che rappresenta il peggiore degli incubi, porta con sé l’urgenza di trovare una via d’uscita. Il rischio è che la paura metta fretta, accechi, non trovi pensiero e parole, e divenga panico. Non porti ascolto e riflessione ma “faccia massa”.
Se vince la paura, l’emozione prende spazio, si allarga il contagio emotivo e con esso l’impulso a “fare qualcosa”, che provoca ad esempio l’esagerata corsa ai supermercati e nelle farmacie.
Il risultato negativo più pericoloso è la sensazione di essere soli, soli contro tutti. Di certo questo è un primo aspetto traumatico sia a livello individuale sia collettivo.
Ci sono molte strategie psicologiche per chiudere con la paura e quelle troppo sbrigative spesso sono poco efficaci. Il bambino di fronte al pericolo si copre gli occhi, immaginando che ciò che non vede non esiste. Alcuni poi si proteggono dietro l’individuazione di qualcuno o qualcosa, un colpevole. Può essere il dire “E’ colpa dei cinesi, dei migranti degli italiani” ecc.
Si trova un capro espiatorio, che però essendo divisivo delle forze in gioco, diviene pericoloso. Se una cosa infatti oggi è divenuta chiara, anche se complessa nella realizzazione, è che il problema è globale e solo tutti insieme lo si può risolvere. Una risposta adeguata, difficile all’oggi visto il panorama di sfiducia generalizzata, è legata non al rifugio in affidamenti fideistici, ma al credere nella capacità tutta umana di affrontare un problema. Mi riferisco alla capacità di tollerare con la paura l’incertezza. E questa forza la si rintraccia mantenendo il coraggio degli occhi aperti. E’ così che possiamo iniziare a dialogare con la paura, ricostruire una cauta fiducia in noi stessi e negli altri e insieme la speranza nel futuro, che ci riconnette con la saggezza dell’esperienza e con l’umanità.
DOMANI torneremo alla vita “normale” e sarà vitale riflettere su una situazione ampiamente traumatica come questa. La globalizzazione, nata come movimento egualitario sull’onda della diffusione di internet, veicolava l’idea di un uscita collettiva dalle differenze ricchi-poveri. Una sorta di fantasia di diffusione planetaria della conoscenza alla portata di chiunque e un’accessibilità generalizzata ai mezzi tecnologici induceva a sognare l’ingresso nel mondo dell’uguaglianza planetaria. Allo stato attuale si segnala tutt’altro. La caduta dei “muri” ideologici, che fungevano da barriera di contatto in equilibrio instabile fra mondi diversi, e la conseguente globalizzazione, guidata dalla finanza, ha prodotto soluzioni squilibrate e pericolose estremizzazioni delle differenze. È noto quanto l’idea di uguaglianza da sempre abbia creato grandi speranze e sogni e anche quanto non abbia retto alla prova del “reale”potere economico e politico. La sensazione di onnipotenza, che l’accelerazione delle tecnologie e della globalizzazione ha prodotto in prima battuta però ha rivelato molti punti deboli. La morale del “posso fare o essere ciò che voglio” ha necessità di più attente valutazioni.
Occorre mettere al centro della riflessione gli indicatori di sofferenza del sistema “globalizzazione”, per cercare risposte adeguate. Il primo indicatore è la diffusione globale del Covid 19, che oggi appare chiaro che chiama all’alleanza delle forze scientifiche, politiche e umane, come unica fonte possibile. Un altro segnale sono gli ormai ubiquitari movimenti migratori. Trovo particolarmente interessante il fatto che gli eventi attuali hanno sconfessato sui tempi lunghi il fatto che ” la Storia la scrive chi vince”. Ed hanno portato in primo piano le vicende di popoli che erano ai margini e che evidentemente, in un fenomeno carsico,hanno lavorato sotterraneamente per giungere a portare in piena luce le proprie ragioni. Paesi e popolazioni che sembravano sottomessi, passivamente adattati alla Storia di civiltà diverse dalla loro, oggi, proprio forse grazie alla diffusione del mondo web, anche se non con parole o stendardi, vengono a presentare il conto.
Altro indicatore, e ci spostiamo nel micro-cosmo del singolo e delle famiglie, è la diminuzione della natalità. Fermo restando che la procreazione debba essere una scelta, proprio per questo è un indicatore interessante rispetto a quello che si ritiene il destino umano. Altro segnale ancora è l’aumento della violenza. Penso come esempio al bullismo o ai femminicidi, spesso inspiegabili e inspiegati dagli stessi che hanno fatto l’agito violento. E’ frequente osservare come spesso ci sia una distanza, una cesura, una scollatura tra ciò che si è e l’immagine stereotipata che ci offre il mondo virtuale, alcuni media o la pubblicità. Così in alcuni, immersi nella bolla di un mondo virtuale, con una vita reale molto al di sotto dei sogni, l’agito violento diviene un tentativo di cancellare la realtà della propria, per loro insostenibile, fragilità, spesso con l’imitazione di eroi negativi, non essendo in grado di fare quel delicato calcolo costo-ricavi che è il risultato di un pensiero più intimo. E l’esito è drammatico.
Tutti questi sono segnali di disagio, e a livelli sia del micro sia del macro-cosmo, hanno bisogno di essere ben individuati e “curati”. E “medicati” a livello globale.
Questa epidemia, almeno momentaneamente, ha reintrodotto, insieme alla paura, una preziosa consapevolezza della fragilità umana. Un indicatore positivo, piccoli eubiquitari segnali di consapevolezza, sono le tante manifestazioni nel mondo, aggregazioni spontanee di masse, anche molto differenti tra loro, che mostrano uno stato di sofferenza o di disagio, che dovrebbero essere ascoltati. Occorre rivedere e riequilibrare i progetti per uno sviluppo sostenibile, tenendo conto di tutti i soggetti in gioco. Da Noè in poi si è sempre saputo che la salvezza risiede nello stare tutti su una stessa barca. Sarebbe un grosso errore sottovalutare tanti segnali. E’ tutto da studiare perché sappiamo bene cosa sia la guerra e molto poco invece la pace.

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