"Volete venire in Europa con
noi?". Altro che porti chiusi. Eravamo un Paese disposto a impegnarsi per
salvare i disperati del mare, capace di mandare una flotta all'altro capo del
mondo pur di offrire sicurezza a chi aveva perso tutto. Un imperativo
umanitario che non si arrendeva davanti alle difficoltà, tanto da allestire in pochi
giorni una missione senza precedenti nel mar della Cina. Cronache del 1979, gli
anni più bui della Prima Repubblica, quando però la politica aveva ancora un
cuore e gli occhi aperti sul mondo. Così nel pieno dell'estate vennero
mobilitati due incrociatori per aiutare il primo popolo obbligato a fuggire sui
barconi: i boat people vietnamiti. Una storia ricostruita nel documentario
"Boat People. Missione Vietnam" che andrà in onda oggì alle 21.50 su
History Channel, ricco di testimonianze e di immagini d'epoca.
Inevitabile il confronto con il presente.
Oggi come allora, per i marinai c'è un solo comandamento, ricordato dai
veterani di quella spedizione: "Non si lascia nulla di intentato per
salvare chi sta in mare". Il soccorso come una necessità, a costo di
attraversare tre oceani. E farlo di corsa, per evitare che il monsone facesse
strage delle persone in fuga dal Vietnam del Sud, dove la ritirata degli
americani e la vittoria del Nord aveva condannato alla persecuzione chiunque
fosse legato all'amministrazione sconfitta. Una moltitudine di famiglie che
scelgono l'unica via di speranza: il mare, pagando a caro prezzo gli scafisti e
i loro complici nell'apparato al potere, affrontando i rischi delle onde e e dei pirati thailandesi.
Due incrociatori - il Vittorio Veneto e
l'Andrea Doria - salpano tra il 4 e il 5 luglio accompagnati da un rifornitore
di squadra. Nel dopoguerra la Marina non si era mai spinta così lontano e non
aveva mai gestito "missioni umanitarie": gli equipaggi sono tutti
maschili, zeppi di ragazzi di leva, più qualche ufficiale medico di complemento
richiamato in servizio e alcuni sacerdoti vietnamiti a fare da interpreti. Ma
quando dopo quasi un mese incontrano il primo barcone, capiscono subito che il
miglior modo di comunicare è l'inglese. E da un gommone un guardiamarina
chiede: "Volete venire in Europa con noi?". La risposta è un urlo,
misto di gioia e disperazione.
Su quel vecchio peschereccio c'erano 408 persone, aggrappate ovunque. Vecchi, donne, tantissimi bambini. Famiglie piccolo borghesi, senza più futuro: come i siriani o i curdi che si sono imbarcati nel Mediterraneo. I filmati d'agenzia o i Super8 dei militari mostrano l'impressionante somiglianza tra il barcone di allora e quelli di oggi, praticamente identici. E raccontano la forza dei rapporti umani che si crearono sui due incrociatori con le novecento persone soccorse in meno di una settimana. "I bambini sono stati i primi ad imparare qualche parola. Correvano dai marinai, gli afferravano i pantaloni e dicevano "Papà, biscotti"". Sì, gli uomini dell'equipaggio diventarono tutti dei papà, a prendersi cura di tanti piccoli spesso partiti da soli - avete presente i minori non accompagnati che ora arrivano dall'Africa? - perché i genitori avevano solo i soldi per pagare il viaggio dei figli. Una storia ricomposta quarant'anni dopo dai racconti commossi di quei bambini, diventati nostri connazionali a pieno titolo. Perché noi italiani, da sempre emigranti, sapevamo accogliere e integrare.
E oggi, cosa siamo diventati? Il documentario "Boat People, missione Vietnam" è importante perché ci obbliga a guardarci allo specchio. Il popolo di santi, poeti e navigatori che fine ha fatto? Nel 1979 gli italiani erano orgogliosi di essere così. Adesso tutto sta cambiando e rischiamo di restare senza cuore e senza identità.
Su quel vecchio peschereccio c'erano 408 persone, aggrappate ovunque. Vecchi, donne, tantissimi bambini. Famiglie piccolo borghesi, senza più futuro: come i siriani o i curdi che si sono imbarcati nel Mediterraneo. I filmati d'agenzia o i Super8 dei militari mostrano l'impressionante somiglianza tra il barcone di allora e quelli di oggi, praticamente identici. E raccontano la forza dei rapporti umani che si crearono sui due incrociatori con le novecento persone soccorse in meno di una settimana. "I bambini sono stati i primi ad imparare qualche parola. Correvano dai marinai, gli afferravano i pantaloni e dicevano "Papà, biscotti"". Sì, gli uomini dell'equipaggio diventarono tutti dei papà, a prendersi cura di tanti piccoli spesso partiti da soli - avete presente i minori non accompagnati che ora arrivano dall'Africa? - perché i genitori avevano solo i soldi per pagare il viaggio dei figli. Una storia ricomposta quarant'anni dopo dai racconti commossi di quei bambini, diventati nostri connazionali a pieno titolo. Perché noi italiani, da sempre emigranti, sapevamo accogliere e integrare.
E oggi, cosa siamo diventati? Il documentario "Boat People, missione Vietnam" è importante perché ci obbliga a guardarci allo specchio. Il popolo di santi, poeti e navigatori che fine ha fatto? Nel 1979 gli italiani erano orgogliosi di essere così. Adesso tutto sta cambiando e rischiamo di restare senza cuore e senza identità.
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