Pentole: scegli
le più sicure
Chi oggi sceglie un’alimentazione
sana e naturale non può non tener conto delle pentole in cui cucina
i propri cibi. Materiali diversi influiscono infatti su sapore, consistenza,
digeribilità, valori nutrizionali e salubrità degli alimenti.
In vendita troviamo oggi un’ampia varietà di pentole e tegami, ognuno con
caratteristiche e campi di utilizzo diversi e specifici, ma nell’acquisto di
una pentola dovremmo innanzitutto
assicurarci che questa non rilasci sostanze tossiche, nanoparticelle o fumi
velenosi.
Purtroppo, negli ultimi anni numerosi studi hanno evidenziato come molti
utensili per la cottura presenti normalmente in cucina, specie se mal
utilizzati, possano causare nel tempo danni più o meno importanti alla salute.
Teflon e «Pfoa free»: meglio evitarli
Iniziamo questa nostra analisi dalle pentole che hanno fatto più discutere
negli ultimi anni: le pentole in
teflon. A contribuire al loro successo sono state l’estrema antiaderenza, la facilità di pulizia e il basso costo. Si tratta di pentole di
acciaio, ghisa o alluminio con un fondo rivestito da uno strato di politetrafluoroetilene
(Ptfe), un fluoropolimero resistente e untuoso utilizzato anche per
impermeabilizzare i tessuti e presente in vernici, pesticidi, schiume
antincendio e pellicole fotografiche.
La pericolosità del teflon è legata al
surriscaldamento. Già sopra i 240° C inizia a rilasciare una sostanza altamente tossica: l’acido perfluoroottanoico, detto
anche Pfoa, responsabile della cosiddetta «febbre da fumi di
polimero» con sintomi simili a una comune influenza.
Studi condotti dall’Environmental protection agency (Epa) hanno
accertato che questa sostanza può permanere per anni nel sangue, passare al
feto in gravidanza, con possibili malformazioni o danni al nascituro, può
inoltre danneggiare fegato e apparato riproduttivo e predisporre a malattie cardiache e cancro.
Non sono da sottovalutare neanche i danni ambientali, come emerso da una ricerca condotta in Italia
dal 2006, sulla scia del progetto europeo «Perforce»1, che ha
evidenziato alte concentrazioni di Pfoa in molti fiumi
italiani, in particolare nelle acque del Po, probabilmente dovute agli scarichi
industriali in fase di produzione.
Questo pericoloso acido sembra in grado di incrementare la permeabilità cellulare nei confronti di altri composti tossici eventualmente
presenti nell’organismo, come le diossine, potenziandone gli effetti.
Un altro rischio legato all’utilizzo di pentole antiaderenti è il rilascio di nanoparticelle
metalliche che possono contaminare
gli alimenti ed essere ingerite.
Studi condotti da Antonietta Gatti e Stefano Montanari2 hanno
evidenziato come queste particelle di silicio-alluminio-titanio,
inorganiche, non biodegradabili né
biocompatibili, siano trattate dal nostro organismo come corpi estranei
e come, in quanto tali, possano scatenare reazioni infiammatorie croniche alla base di molte patologie
come cancro, infarti e persino diabete di tipo 1.
Dal 2016 il Pfoa è stato bandito dagli Usa e anche in
Italia troviamo ormai quasi esclusivamente pentole «Pfoa free», nella maggior
parte dei casi realizzate con la tecnologia GenX diffusasi dal
2006, che però, in seguito a un’indagine condotta da The Intercept e
sottoposta all’analisi dell’Epa, ha già evidenziato rischi e criticità. Infatti, ratti
esposti al GenX hanno sviluppato forme tumorali benigne, malattie renali, epatiche e polipi uterini,
e un noto ricercatore della West Virginia University, Alan
Ducatman, ha dichiarato come anche le molecole di questa nuova sostanza
potrebbero determinare bioaccumulo non
solo nell’uomo ma anche negli animali selvatici e negli uccelli con conseguenze
preoccupanti.
Acciaio inox: attenzione a nichel e cromo
L’acciaio è un materiale molto presente in cucina. Si tratta di una lega composta da ferro, cromo, nichel e
altri metalli. Il suo successo è dovuto all’elevata resistenza e alla facile lavabilità e manutenzione, tuttavia la sua bassa conducibilità termica può
far attaccare e bruciare i cibi in assenza di grassi o acqua. Questo problema è
stato risolto con la presenza del doppio fondo, intervallato da uno strato di
alluminio, che diffonde in modo più uniforme il calore, richiedendo però un
maggior dispendio di energia.
Il problema principale è legato alla presenza di nichel; sia l’acciaio inox 18/10 che il 18/8 ne
contengono (il primo numero indica infatti la percentuale di cromo e il secondo
quella di nichel presenti), mentre ne è privo l’acciaio 18/c. Nell’acciaio inox
è inoltre presente cromo esavalente che, rispetto alla forma trivalente,
è fortemente ossidante e
quindi particolarmente aggressiva: un’esposizione prolungata può causare infatti
problemi cutanei e tumore ai polmoni3. Occorre però precisare che
sia il nichel che il cromo vengono rilasciati solo in caso di corrosione e che questa sembra favorita sia
dal contatto con cibi di natura acida, come i pomodori, sia da eventuali depositi
di sale sul fondo.
Alluminio e rischio neurotossicità
Le pentole in alluminio sono molto utilizzate nelle cucine industriali, grazie alla
loro leggerezza e
al basso costo. Tuttavia
tendono a deformarsi con facilità, a graffiarsi e scalfirsi rilasciando tracce di metallo negli alimenti;
questa contaminazione avviene per contatto prolungato, specie in presenza di
sostanze acide/agrodolci e sale.
Diversi studi hanno dimostrato come l’alluminio (peraltro presente in
acqua, cibi raffinati e farmaci) tenda ad accumularsi nei tessuti nervosi
determinando disturbi del sonno,
ansia, mal di testa, perdita di memoria4; inoltre questa
sostanza sembra interferire sulla sintesi di calcio, fosforo e fluoro
causando problematiche ossee.
Alcuni studiosi hanno inoltre correlato un’elevata presenza di questa
sostanza con l’insorgere del Morbo di Alzheimer5. Tuttavia uno
studio tedesco6 ha mosso dubbi al riguardo, evidenziando come certe
categorie di persone quotidianamente esposte a questa sostanza, quali soggetti
in dialisi, non presentino in realtà una quantità superiore alla media di beta
amiloide nei tessuti cerebrali.
Più sicuro è l’utilizzo di alluminio «anodizzato», ovvero con uno strato
protettivo di ossido di alluminio e ioni di argento che impedisce il rilascio
di molecole di metallo.
Ceramica sì, ma occhio alle nanoparticelle
Negli ultimi anni sono molto ricercate le pentole con rivestimento in ceramica antiaderente. Vantano un’altissima resistenza a graffi e scalfiture,
diffondono il calore in modo uniforme e costante consentendo un certo risparmio energetico.
A differenza del teflon, non prevedono l’utilizzo di Ptfe o Pfoa,
e rispetto all’acciaio non sono
soggetti a fenomeni corrosivi neppure a contatto con alimenti
acidi.
Tuttavia occorre prestare attenzione che lo strato in ceramica non sia in
realtà costituito da un multistrato di nanoparticelle la cui sicurezza per la
salute come si è già visto non è certa; molta ceramica industriale infatti è
ricoperta da uno strato di
nanomolecole di argento che potrebbero fungere da catalizzatori per
l’accumulo di ulteriori sostanze
tossiche.
Rame, ferro, ghisa, titanio: pentole impegnative
Il rame è uno dei materiali preferiti da molti chef grazie all’elevata conducibilità termica, che
permette cotture di precisione. Ciò che invece ne frena il consumo domestico è il costo
particolarmente elevato e la necessità
di un’accurata manutenzione, come la periodica stagnatura (da far
eseguire a personale specializzato) eseguita da personale specializzato per
evitare che sopra la pentola si formi una patina epato-tossica, il cosiddetto
verderame.
Un altro aspetto negativo è che oltre i 250° C il rame tende ad
ammorbidirsi, rilasciando metallo che risulta ugualmente tossico per il fegato. Una valida
alternativa potrebbe essere la pentola di rame con interno in acciaio, ma a
questo punto i limiti sono quelli visti in precedenza per l’inox.
Molto più resistente è invece la ghisa, che oltretutto garantisce una distribuzione costante ed omogenea del calore ed è per questo
molto adatta per cotture lente;
tuttavia si tratta di un materiale molto pesante e scarsamente maneggevole, che
richiede molto tempo per scaldarsi e tende ad arrugginirsi con facilità.
Esistono anche pentole di ghisa con rivestimento in porcellana, il rischio
è però è legato proprio alla porcellana che, crepandosi con facilità, potrebbe
rilasciare piccoli frammenti taglienti pericolosi per gli organi digerenti.
Il problema dell’ossidazione appartiene
naturalmente anche alle pentole in
ferro, per cui occorre detergerle con un panno umido e cospargerle con
un sottile strato di olio di oliva; le teglie in ferro hanno il vantaggio di
essere naturalmente antiaderenti,
conservare bene il calore ed essere particolarmente adatte per certi tipi di
cotture come le fritture.
Anche questo tipo di pentole rilascia
piccole quantità di metallo che però, essendo biodisponibile, può rivelarsi
addirittura utile in caso di anemia. Negli ultimi anni stanno infine
riscuotendo un certo successo le pentole
in titanio, una lega molto resistente e antiaderente, anche se molto
costosa; il naturale rilascio di particelle di titanio sembra in genere ben
tollerato dall’organismo, anche se l’esposizione di ratti al diossido di
titanio inalato ha evidenziato piccoli depositi di polvere scura a livello dei
polmoni, mentre in forma nanoparticellare questa sostanza è classificata come
possibile cancerogena. Tuttavia in questa forma è presente soprattutto in
filtri solari, vernici e coloranti alimentari7.
Terracotta e pietra, materiali antichi e sicuri
Fin dai tempi antichi l’argilla cotta ha costituito il recipiente più utilizzato per le cotture,
spesso smaltata con rivestimenti
vetrosi per proteggerla dall’usura e per facilitarne la pulizia. La
terracotta è particolarmente indicata per cotture lente e lunghe come quelle
adatte a legumi, stufati e zuppe, e non fa attaccare i cibi sul fondo. Tuttavia, poiché è molto
porosa trattiene con facilità gli
aromi, per cui l’ideale è cucinarvi sempre lo stesso alimento per non
alterare i sapori.
Una volta acquistata richiede
un ammollo di dodici ore in acqua fredda per reidratarla ed evitare
spaccature al primo contatto con il calore. Per il lavaggio invece sono da evitare detersivi di sintesi,
meglio privilegiare semplicemente acqua con aggiunta di limone o aceto.
L’unico rischio di questo materiale è legato alla smaltatura interna che
deve essere assolutamente naturale ed ecologica; pentole a basso costo e con
smalti lucidi e brillanti potrebbero infatti contenere vernici tossiche a base
di piombo, cadmio, arsenico e uranio, per questo è fondamentale acquistare solo terrecotte ecologiche con
smalti a base di silicati di sodio e calcio.
Molto sicuri sono anche i tegami
in pietra ollare (steatite), roccia composta da magnesio idrato
silicato, penninite e magnesite, antiaderente e
adatta per cotture lunghe e laboriose; al primo utilizzo va trattata con acqua
e sale e asciugata bene, poi unta con olio vegetale e lasciata a riposo per 24
ore. Per evitare piccole crepe è inoltre sempre consigliato scaldarla
gradualmente e disporla sopra una retina spargifiamma.
Gli ultimi ritrovati: vetroceramica e ioni d’argento
Sulla sicurezza del vetro pyrex non abbiamo praticamente dubbi: il vetro
borosilicato è particolarmente resistente al calore, molto facile da pulire, naturalmente antiaderente e
totalmente privo di nichel, per cui è adatto a soggetti allergici e affetti da sensibilità chimica
multipla; il suo unico limite è che non tollera temperature troppo elevate, per cui non può essere
utilizzato né su fornelli né su piastra.
Questo problema è stato risolto dalla vetroceramica, un vetro sottoposto a
uno speciale trattamento termico che ne aumenta i cristalli rendendolo molto
più resistente, tanto da poter essere utilizzato anche direttamente sulla
fiamma, oltre ad essere ecocompatibile in
quanto completamente riciclabile.
Un cenno infine anche alle pentole di ultima generazione in metalceramica
agli ioni d’argento, che si avvalgono di un particolare trattamento
elettrolitico che genera uno strato compatto di ossido anodico sulla superficie
di alluminio alimentare: il vantaggio è che queste pentole hanno una protezione
inasportabile (a differenza di altri prodotti in commercio con rivestimenti
esterni sottili e deteriorabili), e sono frutto di una trasformazione
permanente che oltre a garantire un’incredibile resistenza alla corrosione e all’usura, sono altamente refrattarie al calore e
le uniche pentole al mondo battericide.
Note:
1. Zaghi C, Serrini G., «Il progetto di ricerca per la valutazione del rischio ambientale e sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche nei principali bacini fluviali italiani», Ministero dell’ambiente (2013).
2. Gatti A. M., Montanari S. et al, «Detection of micro and nanosized biocompatible particles in blood», Journal of Maerials Science: Materials in Medicine, 15 (4): 469-472 (2004) e Montanari S., Gatti A. M., «Nanopathology and nanosafety», Proceedings of the International School on Advanced Material Science and Technology «G. Occhialini», Course VII 6-9, 174-195 (2005).
3. Ispels (a cura di), Cromo esavalente, Centro ricerche Parma (2008).
4. Conferenza Internazionale «Alluminio e salute. Dalla neurochimica alla neurodegenerazione», Università di Padova (2000)
5. Polizzi S. et al., «Neurotoxic Effects of Aluminium Among Foundry Workers and Alzheimer’s Disease», NeuroToxicology 23, 761–774 (2002).
6. Federal institute for risk assessment (a cura di), «No risk of Alzheimer disease from aluminium in consumer products», Health Assessment, 33/2007, (2005).
7. Manucra D., «Diossido di titanio: un rischio per la salute?», Ecoscienza, 1 (2013).
1. Zaghi C, Serrini G., «Il progetto di ricerca per la valutazione del rischio ambientale e sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche nei principali bacini fluviali italiani», Ministero dell’ambiente (2013).
2. Gatti A. M., Montanari S. et al, «Detection of micro and nanosized biocompatible particles in blood», Journal of Maerials Science: Materials in Medicine, 15 (4): 469-472 (2004) e Montanari S., Gatti A. M., «Nanopathology and nanosafety», Proceedings of the International School on Advanced Material Science and Technology «G. Occhialini», Course VII 6-9, 174-195 (2005).
3. Ispels (a cura di), Cromo esavalente, Centro ricerche Parma (2008).
4. Conferenza Internazionale «Alluminio e salute. Dalla neurochimica alla neurodegenerazione», Università di Padova (2000)
5. Polizzi S. et al., «Neurotoxic Effects of Aluminium Among Foundry Workers and Alzheimer’s Disease», NeuroToxicology 23, 761–774 (2002).
6. Federal institute for risk assessment (a cura di), «No risk of Alzheimer disease from aluminium in consumer products», Health Assessment, 33/2007, (2005).
7. Manucra D., «Diossido di titanio: un rischio per la salute?», Ecoscienza, 1 (2013).
Cucinare
con pentole con rivestimento antiaderente causa il cancro?
·
Nel rivestimento dei tegami si
può trovare il politetrafluoroetilene (più
conosciuto con i nomi commerciali dei prodotti in cui è contenuto, per esempio
Teflon, Fluon, Algoflon, Hostaflon, Inoflon), una sostanza composta da carbonio e fluoro e utilizzata oggi in
diversi contesti.
·
Il rivestimento antiaderente dei
tegami non è associato di per sé a un aumento del rischio di ammalarsi di
cancro o di avere particolari problemi di salute, almeno quando la cottura
avviene senza che si raggiungano
temperature troppo elevate e mantenendo integra la superficie.
·
La potenziale pericolosità dei tegami antiaderenti è legata alla presenza –
sempre più rara nei prodotti moderni – dell’acido perfluoroottanoico (PFOA), utilizzato in alcuni processi di preparazione del prodotto
finale.
·
Il PFOA è
classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro in classe 2B (possibilmente
cancerogeno per l’uomo).
Una
scoperta inaspettata
Lo statunitense Roy J. Plunkett non aveva ancora trent’anni quando, nel
1938, scoprì il politetrafluoroetilene.
Secondo un racconto dello stesso Plunkett, chimico presso l’azienda DuPont, la
scoperta fu del tutto accidentale, tanto che il giovane pensò a un esperimento
fallito quando trovò della polvere bianca in un cilindro che, almeno in teoria,
avrebbe dovuto contenere il gas tetrafluoroetilene (TFE). Quella polvere era il
risultato di un processo che aveva portato le molecole del gas TFE, ciascuna
composta da due atomi di carbonio e quattro di fluoro, a unirsi in quello che i
chimici chiamano un polimero, fatto di tante unità uguali ripetute. Il polimero prese il nome di politetrafluoroetilene (PTFE) e quello che tutti conosciamo
come uno dei più comuni rivestimenti antiaderenti è quindi in origine una
polvere inodore, bianca e leggera, che non si scioglie in acqua e in nessun
solvente. È inerte, ovvero non reagisce con altre sostanze chimiche, non è
infiammabile, non conduce elettricità e rimane stabile fino a temperature molto
elevate (vicine ai 300 gradi). Tutte queste caratteristiche hanno fatto del
politetrafluoroetilene un prodotto di grande successo, presentato al pubblico a
partire dalla seconda metà del secolo scorso.
Dalle pentole agli indumenti
I tegami antiaderenti sono
senza dubbio i prodotti più noti tra quelli che contengono
politetrafluoroetilene, ma non sono gli unici. Nella Seconda guerra mondiale il
politetrafluoroetilene venne utilizzato per rivestire e proteggere attrezzature
militari. Oggi, grazie alle sue caratteristiche, viene impiegato in numerosi prodotti plastici come
per esempio filtri, guarnizioni, valvole e protezioni di vario tipo contro la
corrosione. Ma il PTFE entra anche negli armadi. Alcuni tessuti sintetici altamente
impermeabili e traspiranti sono composti proprio da politetrafluoroetilene microporoso e
viene utilizzato per realizzare indumenti
“tecnici” amati dagli sportivi. Non mancano gli usi del PTFE
in medicina, dalla
creazione di protesi vascolari a base di PTFE espanso all’uso in alcuni
impianti dentali.
Infine ci sono pentole e padelle, presenti a partire dagli anni
Sessanta del secolo scorso nella maggior parte delle case. Il rivestimento
antiaderente è in genere di colore nero ed è composto da diversi strati di PTFE
che rivestono un substrato in metallo, spesso alluminio. Il numero degli strati
può variare, così come il metallo sottostante, e questi due elementi
determinano la qualità del tegame.
Politetrafluoroetilene
e salute: cosa dice la scienza
L’American Cancer Society afferma che il politetrafluoroetilene di per
sé non è cancerogeno e non provoca rischi per la salute alle
dosi con le quali normalmente si viene in contatto.
Il rischio per la salute nell’utilizzo di prodotti che contengono
politetrafluoroetilene è legato in realtà all’acido perfluoroottanoico, noto anche con le sigle PFOA o C8, un composto impiegato in alcune
fasi della produzione del politetrafluoroetilene stesso. Sul PFOA gli studi non
mancano e hanno portato alcune agenzie internazionali a pronunciarsi sull’argomento.
Recentemente l’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (EPA) ha affermato che
i dati oggi disponibili suggeriscono un possibile legame causale tra PFOA (e altri composti simili) e
il cancro; l’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH)
ha classificato il PFOA come cancerogeno
confermato negli animali, con rilevanza ancora incerta per gli esseri
umani (ATSDR 2015).
Nel 2016 l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), ente con sede
a Lione (Francia) e legato all’Organizzazione mondiale della sanità, ha classificato il PFOA nel gruppo 2B,
del quale fanno parte le sostanze “possibilmente cancerogene per l’uomo”. In
effetti studi condotti in animali di laboratorio hanno mostrato un aumento di
tumori di fegato, testicoli, mammella e pancreas dopo esposizione a PFOA
(spesso però a dosi molto elevate e per periodi prolungati, condizioni
difficili da realizzare nella vita quotidiana). I dati degli effetti sugli esseri umani sono meno chiari e si
basano in particolare su studi condotti in persone esposte per motivi
professionali o di residenza vicino a un impianto di produzione. Anche in
questi casi ci sono prove di un possibile incremento del rischio di alcuni
tumori (vescica, testicolo, fegato e altri), ma servono dati più affidabili per
arrivare a conclusioni definitive.
Regolamenti
Nel 2006 l’EPA e otto aziende che utilizzavano regolarmente PFOA hanno dato
il via a uno speciale programma, con l’obiettivo di ridurre i livelli di
emissioni e i prodotti contenenti questa sostanza del 95 per cento entro il
2010 e di eliminarli completamente entro il 2015. Secondo i dati e le
dichiarazioni delle aziende, l’obiettivo è stato raggiunto. In Europa la
Commissione europea ha chiesto all’Agenzia europea per la sicurezza degli
alimenti (EFSA) di valutare i
rischi per la salute umana delle sostanze perfluoroalchiliche
(PFAS), delle quali fanno parte anche il perfluorottano sulfonato (PFOS) e il
già citato PFOA, due sostanze che persistono nell’ambiente, hanno tempi di
degradazione molto lunghi e possono accumularsi nell’organismo umano. La prima parte del lavoro, pubblicata nel
2018, sarà seguita da una seconda e conclusiva relazione.
Nel frattempo, come si legge sul sito EFSA, “il 4 luglio 2020 entreranno in
vigore restrizioni alla
fabbricazione e all'immissione sul mercato dei PFOA, dopo le valutazioni
scientifiche effettuate dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA)”.
In
pratica
È possibile utilizzare in modo sicuro le pentole antiaderenti
seguendo alcune regole molto
semplici:
·
non scaldare mai il tegame vuoto perché
così facendo aumenta il rischio di raggiungere temperature troppo elevate nelle
quali la stabilità del materiale è compromessa;
·
mantenere il locale ben areato
quando si cucina;
·
buttare le pentole se il rivestimento è particolarmente rovinato. In quest’ultimo caso il
rischio non deriva tanto dal rilascio di particelle di rivestimento (che
comunque è sempre bene non ingerire), ma piuttosto del metallo sottostante, spesso non adatto
a entrare in contatto con gli alimenti.
In
conclusione
Il rivestimento delle pentole
antiaderenti non è di per sé pericoloso per la salute, ma alcune
sostanze, PFOA in particolare, che possono essere utilizzate nel processo di
produzione del prodotto sono state associate a un aumento del rischio di tumore
e altre patologie. Tuttavia i tegami di produzione più recente non dovrebbero
contenere PFOA. Resta da dire che alcune regole di base per l’adeguato utilizzo
delle pentole con rivestimento antiaderente sono necessarie: acquistare
prodotti di qualità, leggere le istruzioni fornite dal produttore e buttare via
le padelle quando il rivestimento appare molto rovinato.
Padelle
antiaderenti e alternative al teflon
Le padelle da cucina
definite antiaderenti, sono tali perché ricoperte all’interno di uno
strato di PTFE (Teflon), il Teflon è un
polimero del tetrafluoroetene appartenente al gruppo delle olefiniche. Si
tratta del materiale con coefficiente di attrito più basso conosciuto.
Le padelle antiaderenti fanno male
alla salute?
L’argomento è serio e anche piuttosto “spinoso” in quanto molti produttori hanno preso provvedimenti apportando modifiche alla classiche padelle antiaderente in teflon; in più, quando si parla di padelle antiaderenti non si può generalizzare perché il mercato si è diversificato ed esistono anche padelle antiaderenti costituite con materiali differenti dal PTFE (teflon).
L’argomento è serio e anche piuttosto “spinoso” in quanto molti produttori hanno preso provvedimenti apportando modifiche alla classiche padelle antiaderente in teflon; in più, quando si parla di padelle antiaderenti non si può generalizzare perché il mercato si è diversificato ed esistono anche padelle antiaderenti costituite con materiali differenti dal PTFE (teflon).
Parlando delle padelle antiaderenti in teflon,
sembrerebbe che potrebbero avere un impatto negativo sulla salute. Il teflon non fonde a
elevate temperature ma si decompone liberando una gamma di gas fluorurati
tossici. I produttori delle padelle
antiaderente in teflon, così come alcuni esperti di settore, affermano
che per limitare questo fenomeno, basterebbe aggiungere sul fondo della padella
antiaderente solo poche gocce d’olio oppure della semplice acqua, anche solo a
titolo precauzionale cos’ da prevenire la fuoriuscita di gas.
Tra i gas sprigionali
dal teflon quadra l’acido perfluroottanoico meglio conosciuto
come PFOA o C8. Il PFOA è stato collegato al
cancro, alle coliche ulcerose, alle malattie della tiroide e al colesterolo
alto.
Per ovviare al problema
legato al teflon, molti produttori hanno
immesso sul mercato padelle
antiaderenti alternative, in ceramica atossica o titanio. In questo
contesto segnaliamo le padelle
antiaderenti in leghe di titanio Lagostina, la stessa casa produce
anche padelle in ceramica ma se vi interessano le proprietà antiaderenti
(magari per evitare di mettere olio!) la linea in titanio è quella più
indicata.
Questa padella
antiaderente è sicura grazie alla garanzia per l’assenza di PFOA, cadmio e
piombo. Cucinare con questa padella
antiaderente è anche più semplice in quanto c’è un sistema (si
chiama Lagospot) che indica all’utente la giusta temperatura per iniziare la
cottura dei cibi, praticamente basterà osservare il logo posto sul fondo
della padella, quando questo diventa
completamente rosso, la cottura potrà iniziare.
Lo strato antiaderente è
più resistente ai graffi rispetto alle classiche padelle
antiaderenti, il manico è ben isolato e può essere afferrato senza
l’ausilio di presine. In più la particolare composizione del fondo consente la
distribuzione omogenea del calore. Questa padella
antiaderente è adatta alla cottura anche su piani a induzione.
Consigli per
usare la padella antiaderente
-Centrate bene la padella antiaderente sulla
fonte di calore così da distribuire meglio la fiamma. Cercate di usare un
fornello dalle dimensioni appropriate.
-Non tagliare mai gli alimenti direttamente nella padella antiaderente.
-Evitate di lavare la padella antiaderente in lavastoviglie perché i detersivi in pastiglia risultano molto aggressivi e potrebbero alterare il rivestimento antiaderente.
-Per chi usa la padelle antiaderente sul fornello a induzione, ricordate di scegliere padelle idonee (come quella Lagostina che vi abbiamo segnalato) e se dopo l’uso, sul fondo, compaiono degli aloni gialli o azzurri, niente paura! E’ normale, vi basterà toglierli passando del limone o dell’aceto.
-Non tagliare mai gli alimenti direttamente nella padella antiaderente.
-Evitate di lavare la padella antiaderente in lavastoviglie perché i detersivi in pastiglia risultano molto aggressivi e potrebbero alterare il rivestimento antiaderente.
-Per chi usa la padelle antiaderente sul fornello a induzione, ricordate di scegliere padelle idonee (come quella Lagostina che vi abbiamo segnalato) e se dopo l’uso, sul fondo, compaiono degli aloni gialli o azzurri, niente paura! E’ normale, vi basterà toglierli passando del limone o dell’aceto.
Nessun commento:
Posta un commento